Pagine

Monday, January 31, 2005

Iraq. Lo schiaffo della realtà

L'analisi largamente prevalente, perché scaturisce dai fatti, sulle prime pagine delle maggiori testate italiane, americane e inglesi, sul voto di domenica in Iraq è che si sia trattato della vittoria della voglia di libertà e di democrazia dell'intero popolo iracheno sull'incombente minaccia del terrorismo di Al Zarqawi e degli ex baathisti, che qui in Europa insistiamo a chiamare "guerriglia", quando non "resistenza". Una vittoria della democrazia sulla tirannia, un voto che rappresenta una scelta di vita.

Gli iracheni - ora alle persone oneste dovrebbe essere chiaro - vogliono la democrazia, e la vogliono tanto fino al punto di rischiare la pelle. La vogliono e, come gli altri popoli arabi, ne sono capaci. E' fuor di dubbio che quanti chiedono riforme democratiche negli altri Paesi autocratici del Medio Oriente riceveranno dalla giornata di ieri maggiore forza e un'arma di attrazione in più, proprio lì, a due passi dai loro confini geografici, culturali, religiosi. Si conferma dunque, che una vera politica estera realista è possibile oggi solo se ha come base, e obiettivo, la promozione della democrazia.

Andrew Sullivan sul Sunday Times chiude la partita:
«One more conviction that makes hope possible: the belief that freedom is a universal value, that it knows no cultural limits, and that all societies have a chance to achieve it».
Così come Angelo Panebianco sul Corriere della Sera:
«Si conferma, persino in un caso estremo come quello iracheno, che le persone, quale che sia la cultura di appartenenza o le condizioni, anche terribili, in cui vivono, se e quando hanno l'opportunità di votare e di dire così la loro sul proprio destino, lo fanno, anche a sprezzo del pericolo. Il "relativismo culturale", proprio di chi pensa che la "democrazia" non possa riguardare i non occidentali, ha ricevuto ieri dagli ammirevoli elettori iracheni (come, pochi mesi fa, da quelli dell'Afghanistan) lo schiaffo che una simile visione, così intrisa di razzismo, si merita.
(...)
Nella storia i fenomeni di contagio sono onnipresenti e potenti. È possibile che le prime elezioni libere dell'Iraq diano, nei prossimi anni, frutti anche in altri Paesi, spingendo tanti arabi (e tanti iraniani) a chiedere con sempre maggior forza libere elezioni agli autocrati che li governano».
In Europa i nemici della Quarta Guerra mondiale e «coloro che considerano le elezioni in Iraq una farsa, un "trucco degli americani", continueranno a farsi sentire», Panebianco ne è certo.
«È normale in un'Europa che, come ha denunciato ieri sul Corriere un vero eroe della libertà, Vaclav Havel, non si vergogna di riaprire le porte al tiranno Fidel Castro e a chiuderle in faccia ai suoi oppositori interni. Non ci sono alibi. Chi trova che Fidel Castro sia una "brava persona", chi non ha gioito quando è caduta la statua di Saddam Hussein, chi ha accolto con lazzi e frizzi le elezioni in Afghanistan (e le immagini di quelle lunghe, commoventi, file di donne che, col burqa, andavano a votare), chi nei prossimi giorni ci riproporrà le menzogne sulla "resistenza" irachena si rassegni: egli non ha né gusto né rispetto della libertà».
Magdi Allam, sempre sul Corriere, sottolinea l'atteggiamento delle maggiori tv satellitari arabe: «Gioia da Al Arabiya ("è la prima volta che uno Stato arabo affida le scelte cruciali al suo popolo"), veleni da Al Jazira». La vittoria della democrazia è stata anche evento mediatico in tutto il Medio Oriente, il migliore spot in cui potessimo sperare.

Un commento suggestivo è quello di Marco Pannella, su Radio Radicale. Oggi gli uomini e le donne iracheni «sono risorti», «il prezzo degli errori americani è alto, ma l'essenziale oggi si è manifestato». Denunciando l'indifferenza europea per la promozione della democrazia, Pannella si fa venire in mente una considerazione di estrema gravità, ma vera in molti modi: l'Europa ha continuato «in modo scandaloso» a far vivere la shoah su altri popoli, quelli del Medio Oriente. «La shoah continua, è continuata, e l'Europa l'ha trasferita dall'Europa ad altrove». Ma oggi gli iracheni sono «scampati dalla shoah». Senza l'impegno profuso a Nassiryia, oggi sarebbe per l'Italia «un giorno di vergogna, come ho l'impressione che lo possa essere per Francia e Germania... E' dimostrato che la missione era ed è per assicurare il diritto degli iracheni a esserci».

Con onestà il New York Times:
«This page has not hesitated to criticize the Bush administration over its policies in Iraq, and we continue to have grave doubts about the overall direction of American strategy there. Yet today, along with other Americans, whether supporters or critics of the war, we rejoice in a heartening advance by the Iraqi people. For now at least, the multiple political failures that marked the run-up to the voting stand eclipsed by a remarkably successful election day».
Ancora più chiaro il Washington Post:
«For the emerging democratic regime to have any chance of taking root, U.S. soldiers will have to continue fighting, and dying, to protect it. The elections probably won't make their job any easier, or the price any lower, in the short term. Yesterday, however, Americans finally got a good look at who they are fighting for: millions of average people who have suffered for years under dictatorship and who now desperately want to live in a free and peaceful country. Their votes were an act of courage and faith - and an answer to the question of whether the mission in Iraq remains a just cause».
John Podhoretz sul New York Post assapora il gusto della rivincita:
«There are literally millions of Americans who are unhappy today because millions of Iraqis went to the polls yesterday. And why? Because this isn't just a success for Bush. It's a huge win. It's a colossal vindication».
Amir Taheri sul Times già prevede quale sarà la nuova cantilena dei cinici:
«Now that the elections have gone ahead, these same critics, joined by doomsters suffering from Euro-pessimism, claim that yesterday's election will signal the start of a bloody civil war. Their claim is based on the prediction that the emergence of a Shia majority would provoke the Arab Sunnis into revolt and push the Kurds towards secession. None of that is going to happen.
(...)
The ballot box won't lead to the coffin; it is the cradle of a new Iraq».
Imperdibili da leggere. Le tante, davvero tante buone news dall'Iraq confezionate per la rete da Chrenkoff, le congratulazioni della piccola Debbie, e di molti altri, al blogger Hammorabi, e il gioioso "ve l'avevo detto" di Mohammed, di Iraq the model, che ora però invita a non abbassare la guardia:
«Every person has realized that he's not fighting alone in this battle and that all Iraq, from the very north to the very south is sharing this view even in the cities where security is a big concern, like Diyala, Mosul, and Tikrit; even in Fallujah, the boxes weren't empty.
The majority wasn't silent yesterday and the people's confidence now is at its peak and we should encourage and invest this feeling now and rebuild the bridges between us, I mean the government, the coalition and the people so that we can find the best way to exterminate the terrorists and the criminals who we know now how few and isolated they are». Continua
Imperdibili da vedere: USA Today, Wash Post, BBC, Powerline, NY Times, Pentagon, CSM, Hammorabi, Registan, Kurdo.

No comments: