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Friday, January 21, 2005

Rivoluzione liberale permanente

Al solito è Christian Rocca, sul Foglio, a descrivere al meglio lo spirito del «Mezzogiorno di libertà» di Bush. Il discorso del presidente americano, «il più radicale manifesto libertario degli ultimi decenni. Una specie di Mister-Gorbaciov-tiri-giù-quel-muro su scala globale», fa proprio lo slogan «Freedom Now».
«Bush ha impegnato il suo paese, ufficialmente, a perseguire una politica antitotalitaria ovunque e dovunque, perché "gli interessi vitali dell'America e le nostre più profonde convinzioni ora sono la stessa cosa". Idealismo più pragmatismo, liberalismo assalito dalla realtà, freedom e liberty, liberty e freedom.
(...)
Il secondo mandato, se qualcuno aveva ancora dei dubbi, sarà ancora più radicale, o neoconservatore, riguardo la promozione della libertà e della democrazia, "non perché siamo la nazione scelta da Dio", ma perché "è nel nostro interesse", "ci crediamo profondamente", "lo richiede la sicurezza della nostra nazione" ed "è l'impegno del nostro tempo"».
Segnalazioni sulla stampa Usa. Sul New York Times è William Safire a tessere le lodi del «Freedom Speech» bushiano. «An American revolutionary», viene definito Bush da Jonah Goldberg su National Review. Per Fred Barnes, Weekly Standard, il merito maggiore del discorso di Bush è stato quello di aver abbattuto il muro che divide idealisti e realisti in politica estera, mentre individua nell'impegno a sostenere i movimenti democratici n tutto il mondo il passaggio più significativo.

«La sicurezza è possibile solo attraverso l'espansione della libertà», è il senso che Andrew Sullivan trae dal discorso,definito «liberal vecchio-stile»: fusione di internazionalismo liberal e ralismo, ecumenico. Sullivan ha a mio avviso il merito di aprire domande coerenti con la tradizionale concezione conservatrice di libertà at home: come si concilia, per esempio, l'espansione della libertà con l'espansione dei poteri e dell'intervento del governo federale? E' davvero questo un presidente conservatore? Mi sembra quanto mai pertinente la domanda di Peter Robinson su National Review.

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