Camera d'albergo. Aprii gli occhi nell'oscurità di quella notte morente. Una fredda camera d'albergo. Le pareti spoglie, dai colori privi di libertà. Uno squallido e minuto balconcino di finto rococò dava sul viale centrale. Ex cuore d'Europa. Vi filtrava un chiarore azzurrino tenue e diffuso su ciò che rimaneva di una vecchia e stanca carta da parati. Biancori improvvisi, artificiali, ombre contorte sugli arredi poveri di gusto.
Ma io mi soffermavo a guardare accanto a me. Il profilo delle tue spalle nude riluceva nella penombra. Tu dormivi ancora, nonostante tutto, beata. Anche quando i carri armati cominciarono ad attraversare la città. I cingoli pesanti e spietati rullavano sulle strade lastricate dei quartieri ormai vuoti. Verso il castello, verso la piazza principale, verso il palazzo del governo. Cupi in lontananza colpi d'artiglieria dalle campagne già occupate. Squarciavano la terra stuprata della miseria. Mi alzai adagio e andai verso la finestra, senza tirar via le lenzuola per coprirmi. La colonna avanzava già da parecchi minuti nella notte, la vedevo sfilare implacabile sbirciando dalla tendina. Avrei voluto davvero averti vicina, se fosse stato per me. Sarei rimasto, ma le prime luci dell'alba sul tuo viso, ancora addormentato dopo l'amore dei miei sguardi e delle mie mani. Dovevo lasciare in fretta quella nostra stanza d'albergo. Ignara, serena, angelo al fresco delle lenzuola. Non potevo portarti con me, così è stato meglio non svegliarti. Dovevo lasciare in tutta fretta quella città. Il nuovo giorno mi impediva di amarti, giungeva rapido insieme a quei carri armati a cancellare la mia notte insonne di tormenti e rimorsi. Vicino, i tuoi occhi chiusi. L'alba di quel nuovo giorno ti ho sfiorata l'ultima volta, per un timido ricordo, e corsi via con i pugni stretti in tasca. L'amore si era posato su di te, ma fuori c'era una guerra che schiacciò la nostra buia camera d'albergo. Chissà poi cosa ti sarà successo.
28.12.1995
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