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Monday, November 15, 2004

Arafat ha compromesso la pace per gli anni a venire

Niente di buono, neanche dalla sua morte.

Sul Washington Post, l'editorialista neocons Charles Krauthammer offre una descrizione impeccabile della figura di Yasser Arafat. Spiega come mai nei giorni della sua morte viene rimpianto come un grande leader e i palestinesi si disperano, mentre allo stesso tempo, con la sua scomparsa viene annunciata una grande opportunità per la pace. Per i suoi difensori, Arafat ha peccato in «debolezza», «ambiguità», «indecisione». Invece, per Krauthammer è esattamente il contrario:
«Era assolutamente risoluto e dotato di mentalità univoca. Non era complesso, riguardo il destino di Israele, mai combattuto. In realtà la ragione del suo successo (...) fu precisamente la sua univocità di vedute. Non riguardo lo Stato palestinese - se quello era il suo obiettivo, avrebbe potuto ottenere il suo Stato anni fa - ma riguardo l'eliminazione dello Stato ebraico. (...) E' vero, firmò gli accordi di Oslo per mettere piede in Palestina. Ma lo fece sempre con l'obiettivo di continuare la lotta da una posizione strategica migliore. (...) Il suo progetto in definitiva, fino al giorno della sua morte, fu uno Stato palestinese costruito sulle rovine di uno sradicato Israele».
Sta qui la sua fortuna tra i palestinesi: mosse e contromosse tattiche mantenendosi fedele ad un obiettivo fermo: «Rivoluzione fino alla vittoria». Totale. Senza compromessi. E dopo la sua morte, la "rivoluzione" continua:
«Arafat ha fatto in modo che essa gli sopravvivesse. Ha creato un nazionalismo palestinese e gli ha dato una forma rivoluzionaria che ci vorranno anni, forse decadi, per disfare».
Il suo è un «retaggio» che comprende due parti: mezzi e fini. I mezzi: la violenza.
«Sviluppando ogni strumento di propaganda - televisione, radio, giornali, ma soprattutto scuole e campi estivi per ragazzi - la sua Autorità palestinese ha nutrito la sua gente di un tale virulento antisemitismo e diniego del legame tra gli ebrei e la terra che nessun successore potrà neppure pensare di rompere il precedente del negazionismo arafattiano. Il retaggio di Arafat - la romanticizzazione della violenza, la negazione di Israele, l'indottrinamento di una nuova generazione all'intolleranza e all'odio - richiederà un lungo tempo per essere superato. Richiederà anni, forse anche generazioni. Richiederà nuovi leader palestinesi coraggiosi che siano in notevole antitesi con Arafat».

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