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Wednesday, July 26, 2006

Conferenza sul Libano. Strada in salita per una forza internazionale

Da destra: D'Alema, Prodi, Annan, RiceNon c'è accordo sulla richiesta di una tregua «immediata», ma solo «urgente», perché Israele abbia "mani libere" almeno fino a sabato. Accordo - più apparente che sostanziale - sulla forza multinazionale

E' il nodo centrale del vertice di oggi e degli sforzi diplomatici dei prossimi giorni. Un piano di "pace" per il Libano c'è già e tutti concordano - Stati Uniti, Europa, Onu, paesi arabi presenti alla conferenza di Roma - che non occorre inventarsene di nuovi: è la risoluzione 1559. Da cosa dipendeva allora il successo o il fallimento di questo vertice? Si tratta di come farla applicare, se non si vuole che la faccia applicare Israele a forza di bombardamenti, e di assicurarsi che i piani siriani e iraniani di controllo del Libano falliscano.

Chi si aspettava che dalla conferenza di Roma sul Libano uscisse la richiesta, ultimativa per Israele, di un «immediato» cessate-il-fuoco - noi non siamo tra questi - è rimasto deluso. Certo, singolarmente presi i partecipanti hanno auspicato una rapida cessazione delle ostilità, ma la dichiarazione finale sottoscritta dai presenti parla di «determinazione a lavorare immediatamente per raggiungere con la massima urgenza un cessate-il-fuoco che metta fine alle attuali violenze e ostilità». Urgenza quindi, è il termine che ha avuto l'ok del Segretario di stato Usa, e non immediato, come volevano i francesi e la maggior parte dei paesi arabi ed europei. La differenza che passa tra il chiedere una tregua immediata e una tregua con urgenza rappresenta la distanza tra chi cerca solo di contrastare la «sproporzione» della reazione di Israele (la Francia) e chi invece ha come obiettivo disarmare Hezbollah e il rispetto della risoluzione 1559 (Stati Uniti e Gran Bretagna).

Anche perché, com'è noto, Bush e Blair hanno concesso ancora tutta questa settimana a Israele per terminare il lavoro "sporco" contro Hezbollah: "disinfestare" i confini; distruggere arsenali e postazioni; con un pizzico di fortuna, decapitare i vertici; prendere il controllo di una zona cuscinetto in attesa di una forza multinazionale.

E' sulla forza multinazionale che si è registrato un consenso diplomatico di fondo. «Dev'essere con urgenza autorizzata sotto mandato Onu per sostenere le forze armate libanesi nel garantire un contesto di sicurezza». Per un «Libano libero, indipendente, e democratico, che eserciti un effettivo controllo su tutto il suo territorio». A prima vista, quindi, consenso sugli obiettivi della forza multinazionale, ma solo a parole. Costa poco infatti, dichiararsi d'accordo per una forza multinazionale che assicuri l'applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sul Libano, la 1559 e la 1680, se poi c'è il serio rischio che nessun paese offra la propria disponibilità a parteciparvi.

L'obiettivo finale è un «cessate-il-fuoco duraturo, permanente e sostenibile». La «condizione fondamentale per una sicurezza duratura in Libano è la piena capacità del governo di esercitare la sua autorità su tutto il suo territorio». «Duraturo», nel linguaggio diplomatico della Rice, vuol dire che non è possibile tornare allo «status quo ante». La crisi libanese deve essere l'occasione per far nascere un «nuovo Medio Oriente».

«Una forza di sicurezza è fondamentale per non tornare allo status quo ante», ha dichiarato la Rice nella conferenza stampa conclusiva del vertice (il video): «Abbiamo convenuto che deve esserci un'autorità che coordini la forza militare. Il mandato per la forza di sicurezza sarà discusso nei prossimi giorni», ha fatto sapere la Rice, che ha aggiunto: «Vogliamo avere un Libano stabilizzato e democratico. E' giunto il momento che tutti facciano una scelta».

Venerdì il primo ministro britannico Tony Blair sarà a Washington ed è probabile che il giorno stesso il Consiglio di Sicurezza si riunirà per discutere del mandato della forza multinazionale. La forza multinazionale sarà anche al centro dei colloqui di martedì prossimo al Consiglio dei ministri degli Esteri Ue. Brutto segnale dal portavoce Nato a Bruxelles, secondo cui i Paesi dell'Alleanza «non hanno una posizione comune» sulla forza che potrebbe essere dispiegata in Libano. Buon segnale, invece, le parole di Kofi Annan: se «a breve termine potrebbe aiutare nelle operazioni umanitarie... a lungo termine potrà aiutare il governo libanese nell'applicazione degli accordi di Taef, delle risoluzioni 1559 e 1680 del Consiglio di Sicurezza» e, in modo particolare, «aiutare il governo libanese nell'estendere la sua sovranità su tutto il territorio», a riprendere il «monopolio dell'uso della forza». Potrà «aiutare a rafforzare l'esercito libanese e a disarmare tutte le milizie libanesi e non libanesi».

L'organizzazione di una forza multinazionale da mandare in Libano sta quindi trovando diversi ostacoli, primi fra tutti la difficoltà di definirne la missione e di trovare paesi disponibili ad inviare truppe, come confermava il Los Angeles Times stamattina, anticipando che proprio la consistenza e i compiti di questa forza sarebbero stati tra i principali temi trattati alla conferenza di Roma. Fonti americane hanno spiegato al quotidiano californiano che si discute di quanto ampia dovrebbe essere la forza internazionale, di quali regole dovrebbe seguire nei conflitti a fuoco, e se dovrà operare solo nel sud del Libano o in tutto il paese. Più incisivo il ruolo, maggiori (evidentemente) i problemi nel trovare paesi disposti a impegnare le proprie truppe.

«Se Hezbollah non sarà disarmato o respingerà un accordo per il cessate-il-fuoco, chi verrà? Nessuno», avverte Robert Hunter, ex ambasciatore americano alla Nato. Quindi non è sufficiente trovare un consenso diplomatico di fondo - obiettivo già di per sé difficile - per il tipo di forza aggressiva che secondo l'amministrazione Bush è necessaria per stabilizzare il Libano, ma poi occorrerà convincere alcuni importanti paesi a parteciparvi nonostante i rischi.

La Turchia, per esempio, uno dei paesi candidati addirittura a guidare questa forza multinazionale, fa già sapere di essere disponibile, ma solo se Israele ed Hezbollah concorderanno un cessate-il-fuoco. Anche l'Italia, che frettolosamente aveva offerto la propria disponibilità, ansiosa di fare bella figura, ora si sta rendendo conto della complessità dell'impegno, soprattutto considerando l'instabilità interna del governo Prodi, che non ha una maggioranza in politica estera.

Gli Stati Uniti hanno già anticipato di non voler prendere parte alla forza internazionale, Londra afferma di aver già troppi soldati impegnati all'estero, la Francia considera addirittura «prematuro» parlarne, mentre la Germania non vuole mandare soldati al confine con Israele - preoccupata, ma suona come una scusa, dell'impatto della Wehrmacht sugli umori della popolazione ebraica.

2 comments:

Ottavio said...

Si fanno i conti senza l'oste. Cosa ne pensano Libano ed Israele? Se anche loro saranno d'accordo vedremo chi avrà il coraggio di aderire alla forza internazionale.

Ottavio said...

A proposito, rivolgo un paio di domande a chiunque abbia tempo e voglia di rispondermi.

La forza internazionale dovrebbe avere un ruolo attivo (cioè poter sparare quando serve) o solo di osservatore?

L'Italia dovrebbe parteciparvi?

Grazie.