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Saturday, April 05, 2008

Pechino ha fatto male i suoi calcoli; ma noi un giorno arrossiremo

Bravo Sarkozy se è vero quanto ha dichiarato a Le Monde il sottosegretario ai Diritti umani, Rama Yade: Sarkozy avrebbe posto tre «condizioni» alla Cina per la sua presenza a Pechino il prossimo 8 agosto alla cerimonia di apertura dei Giochi: dialogo tra le autorità cinesi e il Dalai Lama, stop alle violenze contro la popolazione in Tibet e liberazione dei prigionieri politici, piena luce su quanto è avvenuto a Lhasa. Poi il ministro degli Esteri Kouchner ha smentito. Parigi non pone «condizioni» a Pechino, «il Presidente deciderà secondo l'evoluzione della situazione».

Malgrado la mobilitazione di migliaia di militari, gli arresti di massa e le campagne di rieducazione nei monasteri, proteste e scontri nelle province tibetane proseguono e alcune notizie riescono a trapelare, nonostante la censura imposta dalle autorità cinesi. Sarebbero tra otto e quindici, a seconda delle fonti, i manifestanti uccisi dalla polizia giovedì sera a Garze, nella provincia cinese del Sichuan, a sua volta subito sigillato. Decine i feriti. Le forze dell'ordine avrebbero sparato sulla folla per disperdere le proteste dei tibetani scatenatesi dopo l'irruzione dei militari in un monastero per avviare l'indottrinamento politico. L'agenzia ufficiale "Nuova Cina" ha parlato della rivolta, parlando di un funzionario cinese ferito e di alcuni «spari di avvertimento». Radio Free Asia invece sostiene che la polizia ha sparato su diverse centinaia di persone, sia monaci che laici tibetani, che dimostravano per chiedere il rilascio dei monaci del monastero di Tongkor.

Intanto, il cammino della torcia olimpica si fa sempre più tormentato. Sabato il passaggio a Londra e domenica otto ore di marcia verso Greenwich, durante le quali sono previste durissime contestazioni nei confronti del governo cinese. Lunedì la torcia arriverà a Parigi, dove il sindaco Delanoë ha detto che sarà accolta in modo «critico». Sarebbe gravissimo se, come scrive il Times, Pechino avesse mobilitato gli studenti cinesi in Gran Bretagna (e a San Francisco) per contrastare gli attivisti per il Tibet e i diritti umani.

Un editoriale «coraggioso» è invece comparso sul Southern Weekend, segnala Fabio Cavalera. Il titolo è "Un altro punto di vista sulla questione del Tibet". Lo ha scritto Cao Xin e dice una cosa importante: il Dalai Lama è l'autorità riconosciuta dei tibetani, come lo sono Hu Jintao e Wen Jiabao per i cinesi. Dunque con lui, che non è un criminale, occorre trattare.

Pechino invece sembra convinta di proteggere ad ogni costo l'operazione di propaganda in cui aveva programmato di trasformare quella che però, ormai, secondo Rampini somiglia sempre più a una «trappola olimpica»: «La dirigenza cinese sta accorgendosi di aver fatto male i suoi calcoli. La Cina ha voluto la sua vetrina, ma adesso si vede che c'è molta merce avariata in bella mostra».

Sempre più imbarazzanti le uscite dei dirigenti del CIO. Il vicepresidente e presidente della Commissione di coordinamento dei giochi di Pechino, Hein Verbruggen, mette sullo stesso piano Tibet e Paesi Baschi, Laogai e Guantanamo: «Se guardo le città candidate ai Giochi del 2016, il Comitato olimpico internazionale dovrebbe forse essere obbligato a parlare delle pretese dei Paesi Baschi di essere indipendenti dalla Spagna? Allo stesso modo, visto che Chicago è candidata dobbiamo pronunciarsi su Guantanamo o sull'Iraq?».
Una cosa è certa, ha ragione Bernard-Henry Lévy: «Un giorno ci troveremo ad arrossire».

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