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Friday, July 17, 2009

Rafsanjani rilancia la sua sfida

Devo correggermi. Il sermone pronunciato oggi all'Università di Teheran dall'ex presidente e ayatollah Rafsanjani, per la prima volta dalle contestate elezioni presidenziali, non sembra affatto suggellare un compromesso tra il fronte moderato e "riformista" e la coppia Khamenei-Ahmadinejad. Neanche una tregua. Il problema politico rimane e Rafsanjani insiste, anzi rilancia la sua sfida alla Guida suprema, la rende pubblica, anche se il suo discorso segna l'istituzionalizzazione della crisi, con la conseguente marginalizzazione del movimento popolare, e richiama l'establishment all'unità e alla fratellanza per la salvaguardia della Repubblica islamica. Ma è il massimo che ci si poteva realisticamente aspettare. A scanso di equivoci, non stiamo parlando di una rivoluzione democratica, ma di uno scontro che prosegue, all'interno del sistema khomeinista, e che ha comunque ancor di più ridotto la sua legittimazione politica agli occhi degli iraniani e che nel medio-lungo termine potrebbe evolversi fino alla caduta del regime.

Il tentativo dell'ex presidente è di riconquistare uno spazio centrale nella struttura di potere e nella politica iraniana, di porsi come mediatore e riconciliatore, senza rinunciare ad attaccare i suoi rivali. Per questo, forse, il sermone non è stato trasmesso in diretta tv, ma solo alla radio. Nel passaggio politicamente più rilevante del suo sermone Rafsanjani critica il Consiglio dei Guardiani, che «non ha usato nel miglior modo possibile» il tempo supplementare concesso dalla Guida suprema per esaminare i ricorsi presentati dai candidati sconfitti, e cita l'Imam Khomeini, quando usava ricordare le parole del Profeta Maometto al successore Alì: «Se il popolo non ti vuole, non puoi essere Wali (guida, n.d.r.)». Un monito nei confronti del governo di Ahmadinejad, ma anche di Khamenei.

Quindi, propone la sua «soluzione» a quella che definisce una vera e propria «crisi» della Repubblica. Premette di essersi «consultato» con i membri del Consiglio degli Esperti e del Consiglio per il Discernimento dell'Interesse del regime, lasciando intendere che non il Consiglio dei Guardiani, ma il Consiglio degli Esperti, di cui è presidente e sul quale può esercitare una maggiore influenza, è la sede istituzionale più qualificata a indicare la via verso la soluzione della crisi. Dopo le elezioni del 12 giugno si è creata una situazione «amara». «Un gran numero di iraniani nutre dubbi sul risultato delle elezioni», osserva Rafsanjani, sollecitando la «rimozione» di questi dubbi. «Il popolo iraniano ha perso la fiducia nel governo» e questa «fiducia» deve essere «riguadagnata», dice, elencando i suoi «suggerimenti». Innanzitutto, «dobbiamo tutti attenerci alla legge»; «dobbiamo creare le condizioni per cui ciascuno possa parlare»; «non si devono imporre vincoli ai mezzi d'informazione, entro i limiti della legge». Poi chiede di scarcerare i manifestanti arrestati durante le proteste («nella situazione attuale non è necessario avere persone in prigione, dovremmo permettere loro di tornare dalle loro famiglie») e di presentare le «condoglianze» alle famiglie che hanno sofferto delle vittime.

Rafsanjani non ci sta a lasciare campo libero a Khamenei e ad Ahmadinejad, ma i numerosi richiami al rispetto della legge, a «uscire da questa situazione solo attraverso le vie legali», e gli appelli al dialogo e all'unità indicano la sua lealtà al sistema khomeinista: «Siamo tutti membri di una famiglia e spero con questo sermone che possiamo attraversare questo periodo difficile che può essere definito una crisi». Insomma, la soluzione può e deve essere trovata secondo i principi della Repubblica islamica, non contro.

In un altro passaggio importante del suo sermone infatti si concentra sul ruolo del consenso popolare e sulle parole dell'Imam Khomeini. Per governare è «necessario» il consenso popolare, «senza di esso il governo non ha legittimità», sottolinea Rafsanjani ricordando come in Iran «il potere è in mano al popolo... tutte le istituzioni vengono elette dal popolo», per volere dell'Imam Khomeini, fondatore della Repubblica islamica, che «ha sempre enfatizzato il ruolo del popolo». Facendo pesare la sua storia personale di fedeltà alla Repubblica e di protagonista della rivoluzione e della vita politica del paese al fianco di Khomeini, Rafsanjani trasforma il suo sermone in una vera e propria lezione sui fondamenti istituzionali della Repubblica islamica.
«Abbiamo organizzato lo Stato prendendo come punto di riferimento la volontà del popolo. Ecco perché è il popolo che elegge l'Assemblea degli Esperti, che a sua volta elegge la Guida, così come il popolo elegge il Parlamento ed è il popolo che deve scegliere il presidente... Se l'elemento islamico e quello repubblicano della rivoluzione non sono preservati, ciò significa che abbiamo dimenticato i principi della rivoluzione».
Ovviamente Rafsanjani non ci convincerà mai che l'Iran degli ayatollah è una democrazia, ma è chiaro - ed è ciò che qui ci interessa - chi tra le righe sta accusando di tradire la rivoluzione.

I commenti degli iraniani che si possono leggere in rete sono molto diversi tra loro. Alcuni sono molto contenti delle parole di Rafsanjani; altri sorpresi, conoscendo la sua proverbiale cautela, ma avrebbero voluto che andasse oltre; altri ancora sono rimasti delusi e credono che abbia "liquidato" il popolo. La storia politica di Rafsanjani è fatta di opportunismi e ambiguità. Ha sempre evitato di assumere posizioni che limitassero i suoi spazi di manovra e anche oggi ha tenuto fede al suo tatticismo, ma questa volta sembra intenzionato a contrastare - sia pure con i suoi metodi e credendo di salvaguardare al meglio i principi della rivoluzione khomeinista - la totale conquista del potere da parte di Khamenei, Ahmadinejad e delle Guardie rivoluzionarie.

UPDATE: Il testo in inglese del sermone (fonte: Cfr.org).

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