Sessant'anni di Repubblica popolare cinese compiuti al prezzo del sangue versato sulla stessa piazza dove oggi si è tenuta la principale celebrazione, un'imponente parata militare. Se, infatti, quei ragazzi che nel 1989 sfidarono i carri armati a Piazza Tienanmen avessero vinto la loro battaglia di libertà, oggi il regime comunista non starebbe spegnendo le sue 60 candeline, perché sarebbe stato decurtato di vent'anni di vita. Una lunga scia di sangue lega quel primo ottobre 1949, quando Mao Tse tung annunciò la fondazione della Repubblica popolare, ai giorni nostri, passando per la repressione di Tienanmen. Sotto la guida di Mao, per 27 anni, milioni di persone morirono tra purghe, repressioni e rivoluzioni culturali, e decine di milioni morirono vittime di tremende carestie, sacrificate sull'altare di quell'assurdo esperimento di ingegneria sociale che è il comunismo.
Sessanta colpi di cannone hanno dato il via alla festa. Davanti al presidente Hu Jintao – casacca grigio-scura stile Mao – sono sfilati in 200 mila tra soldati e comparse, e i gioielli delle forze armate cinesi, compresi i missili intercontinentali in grado di trasportare testate nucleari. «E' da qui che il presidente Mao ha annunciato solennemente la fondazione della Repubblica popolare cinese, e da allora il popolo cinese si è rialzato», ha detto Hu davanti a ospiti e militari. «Oggi una Cina socialista che abbraccia la modernità, abbraccia il mondo e abbraccia il futuro si erge alta e compatta. Il progresso in questi 60 anni dimostra pienamente che solo il socialismo può salvare la Cina». Hu ha promesso che la Cina continuerà a svilupparsi, e a cercare la «completa riunificazione della patria» (con Taiwan) in modo pacifico, ma nello stesso tempo ha esaltato la «forza militare dell'esercito». Il messaggio che la leadership cinese vuole ribadire al mondo e al suo popolo è chiaro: la scelta del partito unico è quella vincente per governare 1,3 miliardi di cinesi e trasformare la Cina in una superpotenza.
Quella della Repubblica popolare è la storia di un partito contro il suo popolo. Una storia che è tabù, perché i cinesi non possono nemmeno raccontarla ai loro figli. Sessant'anni di sofferenze per lo stesso popolo cinese, ha riconosciuto Samdhong Rimpoche, premier del governo tibetano in esilio. "Contro il popolo" è il titolo di questa storia, persino nel giorno dell'orgoglio. Solo 20mila civili hanno potuto assistere alla parata, quelli selezionati e "invitati" dal regime, che a tal punto non si fida della popolazione di Pechino da impedirgli persino di partecipare alle celebrazioni. Come per le Olimpiadi dell'anno scorso, i pechinesi sono "invitati" a restare in casa. Ai residenti nell'area di Tiananmen e nei viali circostanti è stato ordinato di «non aprire finestre o affacciarsi ai balconi», «non invitare amici o altre persone».
Sarebbe facile indulgere nella retorica, ma al di là del fattore umano c'è di che dubitare delle sorti magnifiche e progressive che attendono la Cina. Quella cinese, anche recente, è una storia cosparsa di «grandi fallimenti», ricorda Bernardo Cervellera, direttore di Asianews: è un tipo di progresso «in cui lo Stato controlla oltre il 70% dell'economia, frenando la creatività e garantendo promozioni e favori senza alcun merito; rampante corruzione; mancanza di sostegno sociale a poveri, pensionati, disoccupati; strutture sanitarie ed educative allo sfacelo; genitori che mettono in vendita i loro organi per pagare l'università ai figli; inquinamento, soprusi, sequestri di terre e di case da parte di membri del Partito...». I 100mila «incidenti di massa» in un anno (proteste con centinaia o migliaia di persone, 87 mila nel 2006 secondo i dati ufficiali) «dicono che il popolo vuole contare». E non basta la forza economica e militare, per essere "potenza" occorrono anche un modello culturale e uno stile di vita attraenti, che questa Cina non offre neanche lontanamente.
Il partito «non tiene più il passo del popolo dinamico che governa», osserva Gordon Chang sul Wall Street Journal. «Non bisogna farsi impressionare». Nonostante la sua «apparente forza», lo Stato cinese è «profondamente insicuro». Non c'era una folla festante lungo Chang'an Avenue. Quasi un milione di poliziotti e "volontari" hanno tenuto lontani dalle celebrazioni i cittadini normali, da cui il Partito comunista «è sempre più scollegato». Non può fidarsi di loro. «I cinesi stanno cambiando velocemente». Lo sviluppo economico ha reso la gente sempre più «consapevole, assertiva e, al contrario dei leader, sicura di sé. Ormai, questo cambiamento sociale ha preso slancio e il partito non può più fermarlo. Può dispiegare su larga scala soldati al passo dell'oca – conclude Chang – ma non può stare al passo del suo popolo, che, nel vero senso della parola, è l'unico in marcia».
7 comments:
Caro Jimmomo, ti occupi di politica internazionale, certo più importante delle misere beghe italiane (ma ancora non hai riposto alla domanda Perché Sircana sì e Berlusconi no? né della posizione del governo che insultare il presidente del consigli sia come insultare gli italiani, identificazione parafascista pure questa);
ma a proposito di politica internazionale, perché tu e Capezzone continuate a glissare sull'appoggio entusiasta del governo italiano a tutte le dittature con cui l'Italia ha a che fare, dalla Cina alla Russia alla Libia e ora all'Eritrea, anche al costo di irritare gli Usa del pur titubante Obama, sempre però accusando Obama di titubare?
Ai tempi di Prodi, per voi la politica estera del governo era un elemento determinante del giudizio politico, adesso che abbiamo con berlusconi il governo più amico di tiranni e assassini della storia italica, non conta più niente?
Return
Non penso che il PCC abbia le ore contate; neanche gli anni, se è per questo. I decenni, forse, con un po' di fortuna.
La burocrazia di partito è scollegata dai cinesi reali? Probabilmente sì. Ma ha mostrato un'incredibile capacità di adattamento; e dall'altra parte, anche i cinesi si sono adattati alla dittatura. Le repressioni, impressionanti in termini assoluti, in relazione alla grandezza della Cina colpiscono solo regioni lontane o contesti socioculturali marginali; non impressionano certo l'abitante medio di Shangai.
Certo, potrebbero ribellarsi i milioni di abitanti delle regioni rurali trattati come cittadini di serie B e schiavizzati nei cantieri delle megalopoli... ma non mi pare probabile.
Segnalo questo articolo su epistemes:
http://epistemes.org/2009/09/30/buon-compleanno-mao-60-anni-dopo-di-sicuro-la-sua-rivoluzione-non-ha-perso/#more-1839
Che facciamo, adesso, le dieci domande a Jimmomo? Grazie per tanta attenzione...
Mi pare che qui non si sia taciuto sui rapporti di Berlusconi con Libia e Russia.
Riguardo la Cina, molte delle cose nell'articolo di Epistemes sono purtroppo fondate e le ho scritte qui tante volte: il capitalismo e l'apertura dei mercati non porta con sé inevitabilmente libertà e democrazia.
Visto che Jimmomo non risponde le domande vengono semplicemente reiterate. All'americana, direbbe Capezzone.
Il governo Berlusconi è o non è oggettivamente uno dei più amichevoli d'Occidente verso molte dittature, e per i rapporti personali del presidente del consiglio, e per le politiche di aperta cooperazione con regimi come quello libico, russo, cinese, eritreo?
Come mai questa impostazione di fondo della politica estera italiana non induce i wilsoniani tutti d'un pezzo di un tempo (cioè del tempo Bush-Prodi) a denunciare la cosa col vigore di un Guzzanti?
Come mai nessuno di voi ha organizzato, in concomitanza delle peggiori iniziative berlusconiane, sit -in, petizioni proteste a sostegno dei poveri libici, dei poveri tibetani, dei poveri uiguri, dei poveri eritrei, dei poveri somali, insomma dei diritti civili negati anche con la legittimazione internazionale dell'Italia?
Return
Alla prima domanda rispondo che il governo Berlusconi è amichevole al pari degli altri in Occidente.
Mai stato wilsoniano e se Berlusconi non brilla per la sensibilità sui diritti umani, il governo Prodi fece anche peggio.
E ora spero che mi lasci in pace, caro Return. Questo è uno spazio per commenti, non per provocazioni personali. Anzi, mi lasci dire che lei è piuttosto indesiderato da queste parti.
"Abbiamo chiuso la questione coloniale, non solo con la Libia", sostiene il premier dal palco: "E abbiamo l'apprezzamento di tutti i governi africani". Mancano pochi minuti alle sette di sera, domenica 27 settembre, festa del Pdl a Milano. La platea osannante è esaltata dagli insulti contro l'opposizione: "Sono adoratori di dittatori sanguinari come Stalin, Mao, Pol Pot", dice il presidente del Consiglio. Nessuno in sala immagina che nel 2009 siano proprio lui, Berlusconi Silvio, e il suo governo i principali sostenitori dell'ultimo dittatore comunista sopravvissuto in Africa: Isaias Afewerki, 64 anni, presidente dell'Eritrea dal 1993. Un record di atrocità che secondo le Nazioni Unite batte la Corea del Nord.
E ancora complimenti.
Return
Mi pare che scegliersi come fonti per capire la cina:
1) il leader di un gruppo indipendentista
2) asianews, l'organo di stampa delle missioni pontificie in asia
3) gordon chang, un autore ultraconservatore amerciano che aveva scritto "The Coming Collapse of China" nel 2001, evidentemente capendoci poco
non aiuti per niente a fare un discorso coerente.
Senza esaltare cose che non lo meritano, la Cina di oggi e` frutto di un lungo percorso fatto di errori tremendi, ma anche di conquiste. Non va dimenticato qual'era il paese dove 60 anni fa e` stata dichiarata la Repubblica Popolare.
Andare a leggere la cina con gli occhi di chi ha interessi specifici contro il regime (o chi semplicemente non ci ha capito nulla, evidentemente) non aiuta a capire che e` successo e non aiutera` a interpretare il futuro.
dasnake
Post a Comment