Un colpo di reni del ministro Fornero,
che al tavolo di oggi con le parti sociali sulla riforma del lavoro
chiarisce le intenzioni del governo: dialogo sì, ma la riforma
s'ha da fare (ce
lo ha ricordato anche la cancelliera Merkel la scorsa
settimana) e il governo la farà «nel volgere di poche
settimane», anche senza l'accordo con sindacati e
Confindustria.
I messaggi lanciati ieri dal premier
Mario Monti durante le sue apparizioni sulle reti Mediaset,
prima al Tg5 poi a Matrix, confermano che l'articolo 18
è sul tavolo: «Non è un tabù» e «può
essere pernicioso per lo sviluppo in certi contesti», quali
l'Italia, ha fatto capire. Da sempre sull'articolo 18 si scontrano
due visioni diametralmente opposte: chi lo ritiene una tutela
fondamentale, il baluardo dei diritti sociali; e chi invece un
potente feticcio che frena le assunzioni e ostacola la crescita
dimensionale delle imprese. In questa chiave bisogna leggere il
proposito, annunciato ieri sera dal premier, di «ridurre il
terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi è
già dentro e chi fa fatica a entrare o entra in condizioni
precarie». Siccome è impossibile obbligare le imprese ad
assumere a tempo indeterminato – al limite, se si aboliscono tutte
le altre tipologie di contratto, non assumeranno affatto – l'unico
modo per rimuovere o per lo meno ridurre l'apartheid è rendere
meno inamovibili gli insider, così che gli outsider
possano beneficiare della maggiore mobilità.
Confindustria ha preso la palla al
balzo. La presidente Marcegaglia si è detta «d'accordo»
sul fatto che la riforma vada fatta e trova «ragionevole»
che il governo vada avanti, anche perché «non è
un accordo sindacale, su un contratto che deve vedere le parti
sociali assolutamente coinvolte». Mercati ed Europa sono alla
finestra, «aspettano di vedere come faremo questa riforma, che
dimostrerà la capacità di cambiamento del Paese».
Gli industriali sembrano finalmente aver preso coraggio nel sostenere
anche il superamento dell'articolo 18: «Siamo totalmente
d'accordo che non deve essere più un tabù, crea una
dicotomia drammatica, pesantissima all'interno del mercato del
lavoro. Quindi il tema è sul tavolo e noi lo sosteniamo».
In particolare sul tavolo il ministro Fornero avrebbe portato lo stop
al reintegro dei lavoratori licenziati per motivi economici nei casi
di crisi aziendale.
Ma su un altro punto fondamentale della
riforma, il passaggio dal sistema di ammortizzatori attuale, che
tutela il posto di lavoro, anche se improduttivo, ad uno universale
che tuteli il singolo lavoratore, in qualsiasi settore sia impiegato,
che favorirebbe una più rapida ristrutturazione delle aziende
o riallocazione degli investimenti produttivi, Confindustria mostra
una certa resistenza, condivisa dai sindacati.
Sull'articolo 18 i sindacati sono
pronti alla levata di scudi ma sono cauti nelle loro reazioni per non
danneggiare la trattativa in corso. «Confindustria si fa
prendere un po' la mano sulla scorciatoia dei licenziamenti», è
la battuta della segretaria della Cgil Camusso, la quale piuttosto
che i toni ultimativi di oggi preferisce «apprezzare, pur
usando i condizionali d'obbligo, la dichiarazione del governo secondo
cui l'intento è di lavorare per raggiungere un accordo».
Bonanni della Cisl si augura che «in una situazione così
nessuno si metta in testa in modo così pervicace la questione
della flessibilità in uscita» e vede nell'articolo 18 un
modo «per coprire le reticenze del sistema, un ballon d'essai
per coprire altro». Ma il suo è un invito alla cautela:
«Non daremo l'esca a nessun estremista che aizzi allo scontro.
Il governo faccia lo stesso», suggerisce Bonanni.
Un tema, quello dell'articolo 18, che
promette di diventare dilaniante all'interno del Pd, dove si
scontrano la linea largamente maggioritaria, impersonata dall'ex
ministro Damiano e dal responsabile economico Fassina, allineata a
quella dei sindacati, e quella invece “liberale” di Ichino e dei
50 senatori che hanno sottoscritto la sua proposta. In mezzo Bersani,
che dovrà sostenere le scelte del governo Monti, anche nel
caso di un boccone amaro sull'art. 18.
Come prevedibile però la
polemica si è scatenata in particolare su un'affermazione del
premier Monti, quando ieri sera, ospite a Matrix, ha bollato
come «monotono» il posto fisso. Apriti cielo! Dal Pd
reazioni tra l'irritazione e lo scandalizzato, mentre Bersani tenta
di gettare acqua sul fuoco (il pensiero di Monti, «ed io un po'
lo conosco, è un po' più articolato» di quella
battuta). Nel Pdl Sacconi e Gelmini danno ragione al premier, mentre
Casini considera la sua una provocazione efficace, che non può
scandalizzare, e Della Vedova una battuta infelice. L'intenzione del
professore era quella di offrire un momento di verità nel
dibattito spesso pieno di ipocrisie sulla precarietà. Monotono
o meno, il posto fisso non esiste più, o esiste sempre meno,
dunque sarebbe sbagliato indicarlo ancora oggi ai giovani come
modello, come punto d'arrivo. L'unico modo per rendere meno precari i
nuovi lavoratori, senza irrigidire il mercato peggiorando così
il nostro gap competitivo, è rendere un po' meno inamovibili i
vecchi.
1 comment:
Ma quant'è monotono avere il posto fisso da senatore a vita... Meno male che c'è LA Fornero che ha ridotto lo spread con la SUA riforma...
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