Com'è noto le pensioni d'oro costituiscono uno scandalo tutto italiano, che ha contribuito non poco al dissesto delle nostre finanze e all'esplosione del debito pubblico. Si tratta di assegni molto cospicui: 90 mila, 150 mila, 200 mila euro lordi l'anno e oltre (senza considerare chi cumula fino a tre trattamenti). Ne usufruiscono, spesso a partire da un'età non molto avanzata (ben prima dei 60 anni, a volte persino prima dei 50), soprattutto gli appartenenti alle varie "caste" statali: manager pubblici, uomini delle istituzioni, magistrati, professori universitari. A tutti gli effetti pensioni d'oro anche quegli assegni più modesti ma percepiti fin da una "tenera" età: le famigerate baby-pensioni ai trenta-quarantenni. Abbiamo smesso da tempo di concederne di nuove, ma un esercito di persone continua a percepirle.
Molto difficile arrivare a guadagnarsi una pensione così dorata con il sistema contributivo. La maggior parte di esse, infatti, sono maturate sotto il regime retributivo o misto.
Il modo più equo per intervenire non è certo imponendo contributi di solidarietà indiscriminati, né "tetti" validi per tutti, ma procedere ad un ricalcolo delle pensioni d'oro sulla base dei contributi effettivamente versati, fissando una soglia di esclusione (per esempio, 3-4.000 euro lordi mensili), al di sotto della quale non si effettua il ricalcolo e, per coloro che la superano, non potrà scendere il nuovo assegno. Il risultato sarebbe quello di debellare l'oscenità delle pensioni d'oro, ma secondo un criterio di merito, per cui avrà comunque di più chi ha versato più contributi.
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