Dalle comunicazioni del premier Monti alla Camera è emerso chiaramente che pur con tutti i mal di pancia i partiti sono ancora disposti a digerire di tutto. Il governo ha avuto finora, ma ha e avrà ancora, sulle politiche anti-crisi, la massima libertà di manovra. Peccato che si dimostri incapace di usarla. A ben vedere, infatti, a dispetto di facili luoghi comuni, piuttosto che scontrarsi con le lungaggini parlamentari e le resistenze di partiti e lobby, i provvedimenti e le riforme chiave sono usciti in ritardo e annacquati non già dal Parlamento, ma dal Consiglio dei ministri (liberalizzazioni e riforma del lavoro), o peggio non ne sono usciti affatto (dismissioni e tagli alla spesa). Insomma, il virus della paralisi è interno all'esecutivo tecnico così come era interno ai suoi predecessori.
Sia pure sobriamente e garbatamente il presidente del Consiglio ci ha provato a scaricare le colpe sui partiti, sulla lentezza del Parlamento, ma il segretario del Pdl Alfano gli ha ben risposto: assicurandolo che il sostegno dei partiti - con più o meno entusiasmo e convinzione, com'è ovvio, a seconda del singolo provvedimento - c'è stato, c'è, e ci sarà, ma facendo anche notare che «la macchina l'ha guidata Lei». La lentezza dell'iter parlamentare della riforma del lavoro, notoriamente decisiva per il giudizio dei mercati, si deve alla scelta del governo di non procedere per decreto (un favore al Pd). Monti ha usato tutti gli argomenti e gli alibi dell'odiato governo Berlusconi: l'Italia ha deficit, debito privato e tasso di disoccupazione più bassi degli altri paesi, e un sistema bancario più solido; il governo ha già fatto molto per la crescita (ma ci vuole tempo per i risultati), e bisogna mostrarsi uniti per non offrire il fianco ad osservatori esteri tutt'altro che ben disposti verso il nostro Paese.
Nelle parole del premier anche la conferma di una strategia tutta rivolta verso Bruxelles e rinunciataria sul fronte interno. Monti ha mostrato di sapere benissimo cosa chiedere all'Europa (e alla Merkel) - investimenti pubblici, Eurobond - ma di non avere le idee chiare su cosa fare in Italia. Nessuna indicazione precisa, infatti, sull'agenda dei prossimi mesi, ma solo la preghiera ai partiti di accelerare l'approvazione dei provvedimenti pendenti.
Niente alibi per Monti, dunque, il suo è ancora un mandato pieno. E' ancora saldamente al timone e pienamente responsabile della rotta. Ne sono consapevoli i più autorevoli osservatori esteri, anch'essi preoccupati nel vedere il professor Monti impegnato a cercare una scappatoia nella politica europea piuttosto che ad affrontare la sfida del cambiamento in Italia.
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