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Il panorama sul 2013 che i dati Istat hanno aperto ai nostri occhi è piuttosto desolante ma non sorprendente: mentre volge al termine un 2012 in cui sembra acquisito un calo del Pil del 2,3-2,4%, nemmeno il prossimo anno torneremo a crescere, come invece prevede ottimisticamente il governo. Nonostante un moderato recupero nel secondo semestre, infatti, la variazione media annua sarà ancora negativa (-0,5%), prevede l'Istat in sintonia con l'Fmi. Una stima tra l'altro suscettibile di revisione al ribasso, in caso di peggioramento delle prospettive mondiali e di eventuali perturbazioni sui mercati finanziari. Nel 2013 il tasso di disoccupazione continuerebbe a salire fino all'11,4% (dal 10,6 di quest'anno) e i consumi delle famiglie continuerebbero a scendere, di un altro 0,7% dopo il -3,2% di quest'anno.
Tutto, insomma, sembra confermare che le politiche attuate da Monti nel suo anno di governo hanno evitato – per ora – al nostro paese la morte traumatica, per infarto, che rischiava nel novembre scorso, ma non scongiurato una morte lenta, per dissanguamento delle attività economiche. Sappiamo più o meno in cosa è consistita la ricetta Monti, e sappiamo quindi che nel prossimo biennio non basterà. Come interpretare il continuo riferimento, nel dibattito politico, all'"agenda" Monti? Se s'intende la linea di politica economica che abbiamo visto all'opera già quest'anno, c'è da preoccuparsi; se invece il professore ha una sua "agenda" segreta per i prossimi anni, è questo il momento di illustrarla al paese, agli elettori.
Anche perché la legge di stabilità all'esame delle Camere sembra abbandonata alle smanie elettoralistiche dei partiti di maggioranza, ciascuno ansioso di mostrare al proprio elettorato la capacità di influenzare le scelte dell'esecutivo. Il primo risultato ottenuto dall'azione combinata dei relatori – Brunetta per il Pdl e Baretta per il Pd – è la rinuncia del governo allo scambio Irpef-Iva. Dunque, niente riduzione delle aliquote Irpef da una parte, niente aumento Iva sull'aliquota agevolata (quella al 10%) e niente tagli a deduzioni e detrazioni fiscali dall'altra. Ma come decideranno di utilizzare le risorse in questo modo liberate, che dovrebbero aggirarsi sui 6,7 miliardi in tre anni?
Nonostante le buone intenzioni sbandierate un po' da tutti, cioè usare quei soldi per ridurre il cuneo fiscale (agendo su salari di produttività e Irap), il rischio concreto è che il mini-taglio dell'Irpef non venga sostituito da una misura altrettanto tangibile e significativa, e che le risorse vengano disperse in troppi rivoli. La lista dei desideri è già piuttosto lunga: il Pd vuole meno rigore per i Comuni, meno tagli alla scuola («basta schiaffi», ripete Bersani) e 1 miliardo «per il sociale» (in cui rientrano gli "esodati"); l'Udc invoca l'aumento delle detrazioni per lavoro dipendente e famigliari a carico; nel Pdl monta il pressing per salvaguardare il comparto sicurezza e Brunetta promette l'abolizione dell'Imu sulla prima casa in tre anni.
Se la riduzione dell'Irpef sarebbe scattata già dal 2013, il "tesoretto" diventa corposo solo nel 2014-2015 (3,1 e 2,5 miliardi), mentre è minimo il prossimo anno (1,1 miliardi). Insomma, può darsi che fosse un bluff, una mossa di Monti per appropriarsi del «cavallo di battaglia» del Pdl, come sostiene Brunetta, ma al momento non è chiaro cosa guadagneranno gli italiani al suo posto.
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