Pubblicato su formiche
Quasi distensione? Come e perché la visita di
Tillerson a Mosca non poteva andar meglio. Un nuovo, più proficuo
linguaggio tra Washington e Mosca. E persino le posizioni sulla Siria (e
Assad) non sembrano così inconciliabili... Anziché essere già finito il
reset di Trump con Putin, il grande dialogo potrebbe essere solo
all'inizio.
La visita del segretario di Stato
americano Rex Tillerson a Mosca è andata molto meglio di quanto si
possa immaginare leggendo i giornali. E le posizioni di Washington e
Mosca sono meno inconciliabili (persino sulla Siria) di quanto possa
apparire. Ci sono un buon numero di sfumature tra la versione degli
anti-Trump orfani di Obama, secondo cui il presidente sarebbe una
"marionetta" di Putin, che lo ha aiutato a vincere le
elezioni, e la delusione dei "putiniani", secondo cui con
il raid contro la base aerea siriana di al Shayrat Trump si sarebbe
piegato all'establishment diventando un falco anti-russo e sarebbe
tornato alla politica del "regime change".
Dopo aver mandato a dire di essere
troppo occupato per ricevere Tillerson, alla fine Putin ha abbassato
la cresta e l'ha incontrato eccome, per oltre due ore. Dopo le
quattro ore e mezza di colloquio (pranzo insieme compreso) che il
segretario di Stato aveva appena avuto con il ministro degli affari
esteri Lavrov, con il quale dopo la conferenza stampa congiunta ha
avuto un ulteriore scambio di vedute informale di circa un'ora "sulle
opportunità emerse". E il fatto non scontato che Putin abbia
voluto incontrare Tillerson indica che il messaggio portato dal
segretario di Stato al Cremlino valesse la pena di un incontro
inizialmente negato per sgarbo.
Non era serio aspettarsi che la Russia
scaricasse Assad in poche ore, obbedendo alla richiesta di Washington
dopo nemmeno una settimana dall'umiliante raid Usa. Non è
giornalisticamente serio e onesto presentare come un insuccesso la
visita di Tillerson solo perché non si è presentato a braccetto con
Putin annunciando che la Russia accetta di scaricare Assad, o perché
restano le divergenze tra le due potenze.
E' stato certamente aspro il confronto
tra Lavrov e Tillerson in conferenza stampa, senza esclusione di
colpi, con il segretario di Stato americano per nulla intimidito,
anzi proprio da lui forse sono partiti i primi colpi sotto la
cintura. Come hanno ricordato entrambe le parti, siamo in una fase di
estrema sfiducia nei rapporti tra Washington e Mosca. Nessuno quindi
vuole farsi beccare ad "abbassare lo sguardo", nessuno
arretra da uno scontro verbale.
Ma la sensazione è che se tutti
abbaiano, nessuno voglia mordere. Intanto, Usa e Russia sembrano
concordi nel non lasciare che i loro rapporti peggiorino. Parlandoci
direttamente "ci comprendiamo meglio", ha osservato Lavrov.
"Le due maggiori potenze nucleari al mondo non possono avere
questo tipo di relazioni", ha aggiunto Tillerson. Ma oltre gli
auspici, hanno concordato nuovi strumenti per evitare che le cose
peggiorino. Un gruppo di lavoro volto a migliorare le relazioni e
tenere aperto un dialogo quotidiano, mentre Putin è già pronto a
ripristinare il canale di comunicazione militare di "deconfliction"
nei cieli della Siria. "Tillerson ha avuto un dialogo serio a
Mosca, che può aiutare a iniziare ad affrontare le varie questioni.
Un utile primo passo", ha twittato Dmitri Trenin, direttore del
Carnagie Center di Mosca.
All'indomani della visita si è profuso
ottimismo sui futuri rapporti da entrambe le parti: "Le cose si
risolveranno bene tra Stati Uniti e Russia. Al momento giusto, tutti
ritroveranno il buon senso e ci sarà una pace duratura!", ha
twittato il presidente Trump. "Mi è piaciuto il modo in cui"
si sono svolti gli incontri ieri, ha commentato Lavrov: "Potrebbe
volerci un po' perché questi risultati si manifestino - ha aggiunto
- ma almeno abbiamo deciso di stabilire una linea di dialogo
quotidiana su un certo numero di temi, compresi i problemi creati
nelle relazioni bilaterali dalla precedente amministrazione e i
meccanismi per migliorare la comprensione reciproca su varie crisi
regionali, a cominciare da quella siriana".
Insomma, il reset di Trump con Putin è
già finito o è solo all'inizio? Si può parlare di una sorta di
distensione alla luce degli incontri di Tillerson a Mosca? Da ambo le
parti si fa riferimento al fattore tempo. Niente illusioni: ce ne
vorrà, prima di vedere i primi accordi. Per ora si tratta di evitare
lo scontro e ripristinare il livello necessario di fiducia reciproca.
Al di là delle reciproche "punture",
Lavrov non ha ripetuto la versione diffusa da Mosca nelle prime ore
successive all'attacco per assolvere il regime di Assad dall'uso di
armi chimiche. Ha ricordato che la zona colpita è sotto il controllo
di forze ribelli, sollevando dubbi sulla credibilità delle
testimonianze, e che ci sono rapporti secondo cui Damasco ha
eliminato tutte le sue scorte, mentre documentano possesso e uso di
armi chimiche da parte dei gruppi estremisti. Ed è tornato quindi a
chiedere un'inchiesta imparziale e indipendente sull'accaduto prima
di attribuire responsabilità ed emettere condanne.
Da parte sua Tillerson ha ribadito che
gli Stati Uniti sono in possesso di prove che dimostrano la
responsabilità del regime di Assad, ma non ha confermato l'accusa,
fatta circolare a mezza stampa, secondo cui Mosca sarebbe stata
complice, o per lo meno a conoscenza, dell'imminente attacco chimico.
Anzi, ha detto, "non abbiamo informazioni certe che indichino
che ci sia stato un qualche coinvolgimento della Russia o di forze
russe in questo attacco".
Ma leggendo tra le righe persino le
posizioni sulla Siria (e su Assad) non appaiono così inconciliabili.
Tillerson ha ripetuto che per Washington "il regno della
famiglia di Assad si sta avvicinando alla fine. E la Russia, come suo
più vicino alleato, è nella posizione migliore per aiutare Assad ad
accettare la realtà". Ma ha anche spiegato quanto sia
"importante" che la sua uscita di scena avvenga "in
modo ordinato", così che "certi interessi e gruppi" a
lui legati sentano che saranno rappresentati al tavolo del negoziato
per una soluzione politica. "Non pensiamo – ha precisato –
che l'una debba accadere prima che l'altro possa cominciare", ma
"l'esito finale" è che non ci sia un ruolo per Assad nel
futuro della Siria.
Quando Lavrov, rispondendo, chiama in
causa l'ossessione occidentale per la rimozione dei dittatori,
ricordando la fine di Milosevic, di Saddam e di Gheddafi, le
violazioni del diritto internazionale che a suo avviso furono
commesse, e il caos generato in Iraq e Libia ("conosciamo fin
troppo bene cosa accade quando lo fate", "non ricordo un
solo caso di un dittatore rimosso senza problemi e senza violenza"),
sta etichettando la posizione Usa su Assad come "regime change",
l'ennesimo. Ma l'amministrazione Trump continua a negare, anche dopo
l'attacco alla base aerea siriana, di perseguire il regime change in
Siria. In un'intervista al WSJ, sull'uscita di Assad lo stesso
presidente Trump ha detto: "Stiamo insistendo su questo? No. Ma
penso che accadrà a un certo punto". "La prima priorità
in Siria è distruggere l'Isis, non cacciare Assad", ripetono a
Washington. Esito finale, a un certo punto, in modo ordinato, sono le
espressioni usate dagli americani sull'uscita di scena del dittatore
siriano.
E se già prima dell'attacco Usa, il
portavoce del Cremlino aveva chiarito che l'appoggio russo ad Assad
non è affatto incondizionato (è un fatto che il sistema di difesa
russo dislocato in Siria non abbia intercettato i missili tomahawk,
il cui arrivo era stato annunciato un'ora e mezza prima), anche
Lavrov davanti alla stampa ha fatto capire che i russi non si sentono
vincolati ad Assad. Ha confermato che la sua rimozione non è
nell'agenda di Mosca, ma "come ho sottolineato molte volte, noi
non stiamo puntando tutto su una personalità, sul presidente Assad…
Stiamo insistendo sul fatto che tutti si siedano intorno a un tavolo
e arrivino a un accordo… tutti gli attori interessati, e vogliamo
che tutti i siriani, senza alcuna esclusione, siano rappresentati nel
processo politico". Il che sembra non precludere l'esito di una
Siria senza Assad. Non hanno torto i russi quando fanno notare che ad
oggi Assad, il cui esercito è l'unica forza regolare sul terreno, è
determinante per sconfiggere le milizie jihadiste (non solo l'Isis ma
anche al Nusra), ma nel medio-lungo termine potrebbe diventare troppo
costoso anche per loro sostenere la sua permanenza al potere come se
nulla fosse accaduto, e soprattutto come se non avesse ingannato non
solo la comunità internazionale ma lo stesso Putin (che alcune fonti
descrivono come furioso con il dittatore siriano per lo smacco che
gli ha fatto subire dagli Usa).
Insomma, se è solo una questione di
tempistica, allora le posizioni russe e americane non sembrano
proprio inconciliabili. Certo, proprio per la mancanza di fiducia, né
Mosca né Washington possono permettersi che convergano ora. Il
problema infatti è che sul destino di Assad si incrociano le
reciproche ambiguità e diffidenze. Anche perché, se non lo è per
Mosca, Assad è una figura irrinunciabile per l'Iran, la cui
influenza la nuova amministrazione Usa vuole contenere. Da una parte,
i russi non si fidano degli americani perché temono che, combattendo
solo l'Isis e non anche gli altri gruppi dell'opposizione siriana,
stiano in realtà coltivando allo stesso tempo un piano per il regime
change. Dall'altra, gli americani non si fidano dei russi perché
temono che, inseguendo una vittoria militare piena puntino in realtà,
in totale accordo con Teheran, a mantenere Assad al potere e a
sabotare il processo politico prima che entri nel vivo. Nell'appoggio
russo "non incondizionato" ad Assad, Washington ha
intravisto un varco stretto in cui inserirsi per tentare di rompere
l'asse Iran-Russia.
L'attacco missilistico ordinato da
Trump sulla Siria è un messaggio politico su diversi piani e
destinato a molteplici attori. E al Cremlino sembrano averlo
afferrato, seguiranno riflessioni e approfondimenti. Trump non ha
cambiato idea né sulla Siria (la priorità è distruggere l'Isis,
non cacciare Assad), né sulla Russia: bisogna almeno tentare di
migliorare i rapporti. Troppo importante per l'Occidente avere buoni
rapporti con la Russia, quando le minacce esistenziali e i rivali
strategici del XXI secolo non si trovano a Mosca. Il che non
significa fare regali a Putin, anche perché come Obama dovrebbe aver
imparato a sue spese, le concessioni unilaterali e il non intervento
rendono i russi più arroganti e aggressivi, non più disponibili. Al
contrario, dimostrare la propria risolutezza è l'unico modo per
farli tornare sul serio al tavolo del confronto. Accecati dal loro
pregiudizio negativo su Trump, i commentatori si aspettavano invece
di vedere un reset nei termini di qualche regalo presentato a Putin
su un piatto d'argento e non hanno riconosciuto le mosse iniziali di
una lunga partita. Né hanno visto – con lo strike sulla base aerea
siriana e la crescente pressione politica americana sulla Russia (tra
accuse e ultimatum) nei giorni e nelle ore precedenti la visita di
Tillerson – la profonda trasformazione delle regole del gioco.
Obama ha danneggiato la credibilità della deterrenza americana e
l'amministrazione Trump l'ha voluta iniziare a restaurare. Sta
prendendo forma un approccio totalmente diverso da quello di Obama
nel trattare con alleati e avversari. Un approccio che,
semplificando, si può definire "bastone e carota". Uso
della forza e minacce, ma anche trattativa e mutuo rispetto. E da
quello che abbiamo visto a Mosca, in occasione degli incontri di
Tillerson, i russi sembrano aver riconosciuto il nuovo approccio e
non esserne così dispiaciuti. Americani e russi hanno cominciato a
parlarsi usando lo stesso linguaggio.
A cambiare, rispetto
all'amministrazione Obama, è anche la politica nei confronti di
Teheran. Si dice Assad, si legge Iran. L'aut aut presentato a Mosca
non riguarda tanto il dittatore siriano, quanto il regime degli
ayatollah. "La Russia deve scegliere se schierarsi con gli Stati
Uniti, e i Paesi che la pensano allo stesso modo, o con Assad, Iran e
Hezbollah", sono le esatte parole usate da Tillerson
all'indomani dell'attacco. Non importa quando, ma prima o poi la
Russia deve scaricare Assad, cioè l'Iran, è il messaggio.
Nonostante le tensioni, con la visita di Tillerson il dialogo tra
Washington e Mosca sembra ripartito a 360 gradi, i canali di
comunicazione sono aperti e destinati a rafforzarsi. Insomma, siamo
all'inizio di qualcosa, una partita nuova. Non è scontato, ma è una
possibilità ancora sul tavolo che nel medio termine Mosca ripensi la
sua politica in Siria e il suo asse con l'Iran. La sensazione è che
di fronte alla prospettiva di un'intesa a tutto campo con Washington,
non solo sulla crisi siriana ma su tutti i fronti, insomma di fronte
alla proposta di una nuova Yalta, Putin potrebbe anche decidere di
compiere questo passo. Ma il presupposto è la fiducia e per
ricostruirla ci vorrà tempo.
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