Pubblicato su formiche
L'amministrazione Trump si prepara a sovvertire la politica "filoiraniana" di Obama, che ha fatto declinare l'influenza Usa nella regione
Per la prima volta da anni la Russia si trova sotto pressione, messa di fronte alle sue responsabilità di potenza mondiale quale pretende di essere considerata. A pochi giorni dal raid missilistico Usa sulla base siriana da cui è partito l'attacco chimico di Assad, stanno emergendo con maggiore chiarezza effetti e obiettivi dell'iniziativa dell'amministrazione Trump. Certamente la deterrenza alla diffusione e all'uso di armi di distruzione di massa è un vitale interesse di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e non è diretta solo ad Assad, ma anche all'Iran e alla Nord Corea. Ma più che una punizione al regime di Assad per i suoi crimini di guerra, rappresenta un test per Mosca: se la Russia vuole essere considerata una potenza di primo piano sulla scena globale, deve dimostrare di essere un player responsabile, che coopera per la stabilità della regione, e non uno "Stato canaglia" fattore di instabilità. Come spiegavamo qualche giorno fa, i primi passi dell'amministrazione Trump nei confronti di Mosca sono volti a "testare" quanto incondizionato sia il sostegno russo ad Assad e, quindi, quanto solida e strategica la sua alleanza con il regime degli ayatollah.
Per la prima volta da anni la Russia si trova sotto pressione, messa di fronte alle sue responsabilità di potenza mondiale quale pretende di essere considerata. A pochi giorni dal raid missilistico Usa sulla base siriana da cui è partito l'attacco chimico di Assad, stanno emergendo con maggiore chiarezza effetti e obiettivi dell'iniziativa dell'amministrazione Trump. Certamente la deterrenza alla diffusione e all'uso di armi di distruzione di massa è un vitale interesse di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e non è diretta solo ad Assad, ma anche all'Iran e alla Nord Corea. Ma più che una punizione al regime di Assad per i suoi crimini di guerra, rappresenta un test per Mosca: se la Russia vuole essere considerata una potenza di primo piano sulla scena globale, deve dimostrare di essere un player responsabile, che coopera per la stabilità della regione, e non uno "Stato canaglia" fattore di instabilità. Come spiegavamo qualche giorno fa, i primi passi dell'amministrazione Trump nei confronti di Mosca sono volti a "testare" quanto incondizionato sia il sostegno russo ad Assad e, quindi, quanto solida e strategica la sua alleanza con il regime degli ayatollah.
Mentre Barack Obama decise di non
reagire al mancato rispetto della "linea rossa" sull'uso di
armi chimiche da parte di Assad, ignorando le prove della
responsabilità del regime siriano fornite dall'intelligence (anche
turca e israeliana), per non compromettere la sua principale
iniziativa di politica estera, l'accordo con Teheran sul nucleare, il
raid ordinato da Trump venerdì notte è un colpo all'asse
Iran-Russia e indica la volontà della nuova amministrazione Usa di
sovvertire la politica di Obama. E il messaggio di Trump a Putin è
molto chiaro: se la Russia vuol vedersi riconosciuto quel ruolo da
protagonista nell'ordine mondiale che da anni insegue, se vuole
trovare posto al tavolo dei grandi, dove i temi globali vengono
discussi, deve sganciarsi da Assad e da Teheran, e cooperare con gli
Usa per una soluzione in Siria e la stabilità della regione.
L'obiettivo della visita del segretario di Stato Usa Tillerson a
Mosca sarà convincere Putin che da questo dipende ogni speranza di
un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia. In questo caso
interventismo umanitario e realpolitik coincidono, ma è politico, né
militare né morale, il vero movente di Washington. E' il primo atto
di una strategia più ampia per ribilanciare la politica americana in
Medio Oriente in opposizione all'Iran e al suo asse.
Come ha spiegato Lee Smith, dell'Hudson
Institute, sul Weekly Standard, la ricerca di un accordo con Teheran
"ha determinato sia la politica in Siria sia la più ampia
strategia dell'amministrazione Obama in Medio Oriente, un
riavvicinamento all'Iran. Obama ha declassato alleati tradizionali
come Israele, Giordania, Egitto, Arabia Saudita e Turchia (un membro
della Nato), mentre promuoveva gli iraniani e apriva una finestra di
opportunità per la Russia, grata di essere di nuovo un attore in
Medio Oriente dopo 40 anni di assenza". Non ha mostrato alcun
interesse a "difendere l'architettura della sicurezza regionale
che gli Stati Uniti avevano edificato nell'arco di 70 anni".
Sarà anche stato poca cosa, ma il raid ha mostrato quanto in realtà
sia vulnerabile la posizione russa in Siria. La fase in cui Putin
poteva ampliare liberamente e a costo quasi zero l'influenza russa in
Medio Oriente, approfittando del fatto che a Obama interessava solo
non irritare gli iraniani, si è conclusa. Ora il leader russo deve
ripensare la sua politica in Siria, dove si trova circondato da
alleati Usa rassicurati, e la sua alleanza con Teheran.
All'indomani del raid, il segretario di
Stato Usa Rex Tillerson ha sottolineato che la Russia ha fallito
nella sua responsabilità di far rispettare l'accordo del 2013 sullo
smantellamento dell'arsenale di armi chimiche di Assad, quindi Mosca
è stata "o complice o incompetente". Un duro atto d'accusa
che, come riporta il Times di domenica, Tillerson si prepara a
portare direttamente a Mosca nella sua visita di martedì e
mercoledì. "Questa settimana America e Gran Bretagna
accuseranno direttamente la Russia di complicità nei crimini di
guerra in Siria e chiederanno che Putin stacchi la spina al
sanguinario regime di Bashar al-Assad". Tillerson volerà a
Mosca con "le prove che la Russia era a conoscenza"
dell'attacco chimico di Assad e "ha cercato di insabbiarlo".
Militari russi erano presenti nella base da cui è partito l'attacco,
un drone russo ha sorvolato la zona bombardata poco prima che un
aereo di fabbricazione russa colpisse l'ospedale locale,
verosimilmente per cancellare le prove dell'uso di armi chimiche.
Insomma, i russi erano là, sanno cosa è successo, e stanno
diffondendo una falsa versione per coprire non solo Assad, ma anche
se stessi.
Ma nonostante le tensioni di questi
giorni, non è ancora compromessa la possibilità di un dialogo
costruttivo tra Washington e Mosca. Non solo i russi sono stati
avvertiti dagli americani attraverso canali militari dell'attacco
missilistico, ma all'indomani Washington si è affrettata a precisare
che il raid non rappresenta l'inizio di una guerra contro Assad:
nessun "regime change" e nessun cambio di politica in
Siria. Nessun bis del catastrofico intervento obamiano e clintoniano
in Libia. Come ha ribadito Tillerson alla Cbs, "è importante
che le nostre priorità restino chiare" e la "prima
priorità" per gli Stati Uniti in Siria resta distruggere
l'Isis, un obiettivo che precede anche la stabilizzazione del Paese.
Solo in un secondo momento si potrà aprire il processo politico per
la Siria e gli Stati Uniti "sperano che la Russia scelga di
giocare un ruolo costruttivo". Non ora, ovviamente (prima c'è,
appunto, da distruggere l'Isis), ma la sorte di Assad sembra segnata.
Nessuna soluzione politica sarà possibile in Siria fino a quando
Assad resterà al potere, ha ribadito l'ambasciatore Usa alle Nazioni
Unite, Nikki Haley, in un'intervista alla Cnn. "Non c'è alcuna
opzione che prevede una soluzione politica con Assad a capo del
regime. Se si guarda alle sue azioni, se si guarda alla situazione,
sarà difficile vedere un governo pacifico e stabile con Assad".
Ma detto questo, si tratta di un esito a cui arrivare al termine di
un processo politico. Anche Nikki Haley infatti ha chiarito quale
debba essere per Washington la tempistica. "Primo, sconfiggere
l'Isis. In secondo luogo, non vediamo una Siria pacifica con Assad.
In terzo luogo, occorre tenere fuori l'influenza iraniana". Ma
non è detto, è tra le righe il messaggio di Washington a Mosca, che
l'uscita di scena di Assad avvenga a scapito di interessi e influenza
della Russia in Siria...
Da parte russa, il sistema di difesa
anti-aerea dislocato in Siria non ha intercettato i tomahawk
americani (e poco prima il portavoce del Cremlino aveva definito "non
incondizionato" l'appoggio russo ad Assad). Nelle reazioni
all'attacco Mosca si è limitata alle condanne verbali e all'annuncio
di sospensione della "deconfliction line", il canale di
comunicazione militare aperto per evitare incidenti durante le
operazioni in Siria (anche se al Pentagono non risultano richieste
ufficiali in tal senso dai russi). Non è stata nemmeno annullata la
visita a Mosca del segretario di Stato Tillerson in programma martedì
e mercoledì.
Se dopo aver elaborato il "lutto",
al Cremlino afferrano il messaggio (se capiscono cioè che i loro
interessi e la loro influenza in Siria non devono essere per forza
legati alla sorte di Assad, che in ogni caso è al capolinea, o
allineati a quelli iraniani), il rapporto con Putin non è finito
prima di cominciare... Ora sì - dimostrato che l'America è tornata,
che intende difendere il suo status, e che l'amministrazione Trump fa
sul serio - può iniziare il vero confronto con Mosca. La necessità
di trovare un nuovo equilibrio, un accordo generale, tra Stati Uniti
e Russia, resta una priorità sia per Putin, che per Trump. Senza
Mosca è impossibile una soluzione al caos siriano. E Putin sa che
senza Washington non otterrà lo status che cerca per la sua Russia.
Chi si aspettava, sia tra i fan di
Trump che tra i suoi detrattori, che il tentativo di normalizzazione
dei rapporti con Mosca partisse con qualche concessione, per esempio
cancellando le sanzioni, si sbagliava di grosso. Bush e Obama hanno
iniziato la loro presidenza offrendo "carote" a Putin,
apertura di credito e concessioni, ma nei loro ultimi giorni entrambi
si sono trovati quasi in guerra con Mosca. Trump, viceversa, sta
iniziando quasi in guerra e chissà, forse avrà miglior fortuna
agitando il "bastone"... La Russia, aveva spiegato il
segretario di Stato Tillerson nella sua "confirmation hearing"
al Senato, "ha bisogno di vedere una risposta forte prima di
considerare un passo indietro".
In ogni caso, come fa notare Robert Kagan sul Washington Post, ci vorrà molto di più per rimediare ai
disastri di Obama in Siria, per arrestare la progressiva caduta
dell'influenza americana in Medio Oriente. "Trump non aveva
torto nell'incolpare il presidente Obama per la catastrofica
situazione in Siria". Grazie alle politiche delle
amministrazioni Obama, infatti, "la Russia ha progressivamente
soppiantato gli Stati Uniti come principale potenza nella regione.
Anche alleati storici come Turchia, Egitto e Israele hanno guardato
sempre più verso Mosca come rilevante player regionale". E
l'accordo per lo smantellamento dell'arsenale chimico di Damasco, di
cui i russi si sono fatti garanti, non solo non ha impedito ad Assad
di gasare donne e bambini, ma ha aperto le porte all'intervento russo
che ha salvato il regime di Assad dal possibile crollo e aumentato
l'influenza politica e militare di Mosca in Medio Oriente. "Le
politiche di Obama - scrive Kagan - hanno anche reso possibile
un'espansione senza precedenti dell'influenza e del potere iraniano.
Se si aggiunge il devastante impatto del flusso di profughi siriani
sulle democrazie europee, le politiche di Obama non solo hanno
consentito la morte di quasi mezzo milione di siriani, ma hanno anche
significativamente indebolito la posizione globale dell'America e la
salute e la coesione dell'Occidente".
Gli avversari dell'America, Russia,
Iran e Cina, continueranno a sfidare la risolutezza
dell'amministrazione Trump. Se l'attacco di venerdì notte non
resterà un atto isolato, ma "il primo passo di una coerente
strategia politica, diplomatica e militare", conclude Kagan, c'è
una "reale chance di invertire la rotta della ritirata globale
cominciata da Obama".
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