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Thursday, July 19, 2012

Urrà per Rossella ma non per l'Italia

Urrà per Rossella Urru. La sua liberazione è una bellissima notizia, ma c'è poco da festeggiare. Il suo riscatto non rappresenta certo il riscatto dell'Italia. Soprattutto non dovrebbero lasciarsi andare ad eccessive manifestazioni di giubilo le nostre autorità, che hanno gestito malissimo questa vicenda come altre simili: nove mesi senza toccar palla e alla fine una liberazione, come sembra, dietro pagamento di un riscatto tramite intermediari di altri paesi. E guai a dimenticare le "vacanze" coatte nel Kerala dei nostri due marò. Non se ne parla da settimane, nessun organo di stampa o televisivo sta seguendo gli sviluppi giudiziari. Ma è ormai chiaro che subiranno tutto il processo sotto chiave in India. Una umiliazione nazionale senza precedenti.

Inoltre, visto che qualche procura indaga sulla presunta trattativa Stato-mafia, per quale motivo non si dovrebbe indagare anche sulle presunte trattative Stato-rapitori. Non solo le leggi italiane vietano il pagamento di riscatti in caso di sequestri (divieto che potrebbe non valere se è lo Stato a pagare, ma in questo caso ci si dovrebbe interrogare sul senso e l'umanità di una simile normativa), ma soprattutto mi sembra lampante, chiaro come il sole, che l'eventuale pagamento per la Urru, come per altri ostaggi, costituirebbe un aiuto alle organizzazioni terroristiche, e un pericoloso incentivo al business dei sequestri, esattamente come la presunta attenuazione del 41-bis avrebbe favorito la mafia. Dov'è la differenza? Qualche magistrato è in grado di spiegarcela? La trattativa Stato-mafia, se c'è stata, come le trattative Stato-rapitori, se e quando ci sono state, dovrebbero essere denunciate come scandali politici, cioè di cattiva politica.

Apprendiamo tra l'altro dal profilo twitter dell'on. Gianni Vernetti, ex sottosegretario per gli affari esteri, che «si è sempre trattato e spesso pagato per liberare gli ostaggi in giro per il mondo. Ora lo si dice anche». «quel che ho scritto e la mia opinione - precisa - si è sempre trattato e spesso (quindi non sempre) pagato».

Tuesday, March 27, 2012

L'insostenibile scandalo dei riscatti

L'avevo ipotizzato circa tre settimane fa (qui e qui), oggi ne scrive in prima pagina il SecoloXIX: il 3 marzo si era sparsa la voce che Rossella Urru fosse stata liberata, poi la doccia fredda. Ora qualche ipotesi su ciò che potrebbe essere accaduto trapela sulla stampa: il mediatore ha incassato i soldi del riscatto, li ha girati ai sequestratori ma si è tenuto Rossella o l'ha ceduta ad un altro gruppo. E la giostra continua, con i nostri servizi segreti che si fanno prendere per il naso.

Una giostra alimentata dal comportamento letteralmente criminale dei nostri governi - di destra, di sinistra, di centro, tecnici, tutti allo stesso modo. A forza di pagare riscatti ci stiamo facendo taglieggiare non solo da gruppi terroristici veri o presunti, ma anche da finti mediatori. L'Italia paga i riscatti, e lo fa senza discutere. Se ne sono accorti persino i maosti indiani. Non solo abbiamo alimentato il business dei sequestri all'estero, ora stiamo alimentando anche un mercato di finti mediatori. Una politica che funziona sempre meno nel riportare a casa in tempi ragionevoli i rapiti, e che ormai mette a rischio anche i semplici turisti, in tutte le parti del mondo.

I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti ma nemmeno se ne parla. E per di più, la beffa: una legge - che guarda caso si è rivelata efficace - proibisce in modo categorico alle famiglie dei sequestrati sul territorio nazionale di pagare riscatti, mentre lo Stato all'estero finanzia chiunque mettendo a rischio la pelle di tutti i cittadini. Un doppio standard immorale.

Friday, March 09, 2012

Subalterni per scelta

La morte di Franco Lamolinara è ben più tragica della situazione in cui si trovano i nostri due marò prigionieri in India, richiederebbe altrettanto riserbo, ma in questo caso le autorità italiane non hanno rinunciato ad alzare i toni della polemica con Londra, nonostante nella vicenda gli inglesi non fossero controparte ma alleati. Persino il capo dello Stato Napolitano è intervenuto severamente, bollando come «inspiegabile il comportamento del governo inglese». Ma sono giustificate le rimostranze italiane? E soprattutto, sono opportune? Sì e no. Innanzitutto, le due versioni non sono poi così contrastanti. Il ministro degli Esteri britannico Hague ha ammesso che Roma è stata avvertita «ad operazione in corso», perché la situazione venutasi a creare sul terreno imponeva una decisione in tempi troppo ristretti per poter illustrare i dettagli e aspettare il via libera italiano. Una giustificazione che si può presupporre fondata, veritiera, dal momento che è stato addirittura deciso di condurre il blitz in pieno giorno, quando è noto che in condizioni di normale pianificazione queste operazioni si conducono di notte.

Se l'Italia non è stata avvertita dell'avvio del blitz, è però ragionevole presumere - in assenza di lamentele sulla comunicazione tra i due Paesi nei giorni e mesi precedenti - che fosse al corrente degli ultimi sviluppi (l'individuazione del luogo della prigionia e il rischio di "vendita" o uccisione degli ostaggi) e, quindi, del fatto che l'esito della vicenda, a giorni, se non ad ore, sarebbe stato proprio quello del blitz, a maggior ragione considerando la politica britannica in questi casi, in generale più incline all'azione di forza che al compromesso con i terroristi. Da quanto sta emergendo da varie fonti, l'accelerazione sarebbe stata causata dall'arresto, lunedì scorso, di un capo locale e di altri quattro membri di Boko Haram, la setta terroristica islamista responsabile del sequestro, che ha sì permesso di individuare l'edificio dove erano rinchiusi gli ostaggi ma che ha inevitabilmente messo in allarme i rapitori.

Ma la polemica innescata da Roma rischia di trasformarsi in un boomerang per l'Italia. Se davvero gli inglesi hanno condiviso le informazioni fino all'ultimo da maggio scorso, cioè dall'inizio del sequestro, il ritardo di pochi minuti nella comunicazione di un blitz sul quale comunque il nostro governo non avrebbe potuto opporre alcun veto, perché uno degli ostaggi era cittadino britannico, a maggior ragione se verrà confermata la massima urgenza imposta dalla situazione, poteva tranquillamente essere sdrammatizzato. Anche per non sottolineare che la nostra posizione nella vicenda - in termini militari, di intelligence e diplomatici - è stata del tutto secondaria, se non passiva. Quali iniziative, e con quale esito, hanno intrapreso i nostri servizi per la positiva risoluzione del sequestro?

Il governo, probabilmente scottato dal caso dei marò, stavolta ha subito fatto la voce grossa, ma alla prova dei fatti la reazione potrebbe dimostrarsi sproporzionata (ancor di più se paragonata all'acquiescenza con gli indiani). A sottolineare l'irrilevanza italiana, infatti, non è tanto il ritardo con il quale ci è stato comunicato il blitz, ma il fatto che non eravamo al centro dell'azione, e che non ci saremmo stati in ogni caso, blitz o non blitz. Solo pochi giorni fa i mainstream media avevano trionfalmente celebrato il ritorno dell'Italia, per merito del governo Monti, tra i Paesi che contano. La tragica sorte di Lamolinara e quella dei due marò (per non parlare del caso Urru, dove probabilmente ci stiamo facendo taglieggiare da finti mediatori) mostrano entrambe, sia pure per aspetti molto diversi, che non è così facile. L'amara realtà è che il nostro status di media potenza, di serie B se non C, dipende non solo da fattori economici, militari e geopolitici, ma anche da una serie di scelte, di comportamenti e approcci radicatissimi e bipartisan, al dunque condivisi anche dall'opinione pubblica.

Nel primo caso, è la nostra politica sui rapimenti all'estero, che praticamente esclude il ricorso all'uso della forza ed è invece incline al pagamento del riscatto, o a qualsiasi altro tipo di compromesso con terroristi o banditi vari, a metterci in una posizione di subalternità, se non del tutto fuori gioco, soprattutto quando tra gli ostaggi c'è un cittadino americano o britannico. Dovremmo chiederci come mai nei casi di sequestro in Italia c'è una legge specifica che vieta ai famigliari di pagare il riscatto, e mi pare che abbia ben funzionato, mentre all'estero siamo pronti a presentarci valigetta in mano. E' fuor di dubbio che pagando i riscatti, o cedendo alle richieste dei terroristi, si alimenta il "business" dei rapimenti. Si salvano - forse - le vite in pericolo in quel momento, ma se ne mettono in pericolo altre centinaia.

Nel secondo caso, invece, paghiamo lo scotto di un corpaccione diplomatico annoiato, addormentato, che chiamato improvvisamente all'opera si dimostra impreparato: si attiva tardivamente e commette errori imperdonabili. La figuraccia con l'India l'abbiamo già fatta quando qualcuno ha assunto, o avallato, la decisione di consegnare i marò, assumendosi il rischio di una rinuncia di fatto alla nostra giurisdizione sul caso. Fatta la frittata, avremmo potuto rimediare, appena constatata la malafede indiana, con una missione di salvataggio, ma non l'abbiamo nemmeno preso in considerazione. E ora la nostra sovranità, e dignità, è nelle mani di un giudice a Kollam. Ma siamo vittime innanzitutto di noi stessi.

Wednesday, April 11, 2007

L'Italia, un paese in vacanza da una vita

Ve la ricordate quella canzone di un'estate di qualche anno fa?

La situazione di permanente incertezza e fragilità in cui si trova il nostro paese l'ha fotografata perfettamente Lucia Annunziata, su La Stampa di ieri.

Dopo l'epilogo nel fango della vicenda Mastrogiacomo e il racconto del soldato Lozano, al New York Post, di quella tragica notte, in Iraq, in cui fu costretto ad aprire il fuoco sull'auto con a bordo Calipari e la Sgrena, «è difficile non vedere come in un unico, sfortunato, giorno sia arrivata al collasso un'intera politica». Del centrosinistra, ma anche del centrodestra. Sì, perché se mai si era caduti così in basso da accettare un accordo che prevedesse la salvezza per l'ostaggio italiano e non per quelli afghani, è pur vero che nella sostanza anche il Governo Berlusconi ha scelto la linea della trattativa opaca per risolvere sequestri in zone di guerra. E chissà quanto c'è di "non detto", se Berlusconi stesso si è precipitato a frenare le polemiche dei suoi contro il Governo Prodi.

La scelta "buona" degli italiani di trattare per gli ostaggi, osserva la Annunziata, «finisce nel sangue». Danni collaterali che sempre più rivelano il bilancio negativo di certe operazioni.

Siamo un paese che per sé ritaglia sempre lo spazio per «un'eccezione alle regole». Prendiamoci tutto, ma non le nostre responsabilità. I soliti italiani "furbetti", che ci sono ma s'imboscano; che fanno parte dell'alleanza, ma conducono trattative separate con il nemico; che sono in guerra ma si sentono in pace... Siamo una «nazione che dal fondo profondo delle sue vacanze permanenti vuole solo i propri ostaggi indietro, così da poter riprendere la propria vita». Vogliamo la pace, ma soprattutto che ci lascino in pace.

Il guaio sta «nel modo con cui il nostro Paese è entrato in questa fase di guerre iniziata con gli attacchi terroristici del 2001. Un nuovo ciclo di conflitti, una vera e propria terza guerra mondiale secondo alcuni, di cui l'Italia - a cominciare da quella di Berlusconi... - non ha mai voluto prendere davvero atto».

Un'Italia "caso speciale", «per la quale gli stessi alleati sono sempre stati pronti a fare un'eccezione». Gli Usa chiudendo un occhio sul caso Sgrena, pronti a fare altrettanto sul caso Mastrogiacomo; la Merkel che «sprezzante» rivendica "Noi non trattiamo con i terroristi"; Karzai che si commuove per il governo Prodi «a rischio caduta». Una comprensione «un po' pelosa», che ci ha esposti a recitare la parte dei pusillanimi nelle relazioni internazionali.

Ma ora il meccanismo s'è inceppato. Nota la Annunziata che «non importa, infatti, quanto ce ne freghiamo delle regole delle alleanze, le alleanze alla fine ci costringono; non importa quanti ponti vogliamo lanciare ai nostri nemici, essi rimangono nostri nemici. Non importa insomma quanto vogliamo sfuggire alla guerra, la guerra ci insegue comunque». Ciò che possiamo cambiare è come scegliamo di comportarci.

I sequestri in Iraq e Afghanistan rappresentano «lo strappo dentro la tela della nostra pretesa di chiudere gli occhi, di pensare che se facciamo finta di niente la realtà si azzera». Un'illusione di cui gli stessi rapiti sono stati vittime, se è vero che tutti loro - giornalisti, operatori umanitari e guardie del corpo - erano «in buona fede convinti di poter girare in un mondo in guerra più impunemente degli altri occidentali proprio perché italiani, e dunque non davvero in guerra».

Un detto, rammenta la Annunziata, non a caso inglese, recita che «la realtà trova sempre un modo per riafferrarti». Se la politica ha un compito, è proprio quello di «adeguare la nostra posizione a questo avvertimento del reale». Ma stavolta «senza furbizie ed eccezioni, non è più possibile sfuggire al nostro rapporto con la guerra».
«Le opzioni ci sono: l'Italia può voler ritagliare per sé una sorta di ruolo da paese terzo, una specie di Svizzera del lavoro con i civili, o può decidere una piena partecipazione alle guerre in corso. In un caso o nell'altro dovrà pagare dei prezzi, e dovrà dotarsi di una giusta e solida convinzione teorica per sostenere la sua scelta. Ma in entrambi i casi non saremo più vittime della più seria delle tragedie: quella che ci coglie di sorpresa».

Sunday, April 01, 2007

Adesso si paghi per riavere Barbara

Paghi il Governo, non la famiglia, i 4 milioni di euro che i sequestratori di Barbara Vergani, una ragazza rapita nella notte di ieri, chiedono per farla tornare a casa. Non crediamo che la sua vita valga meno di quella di Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica rapito dai talebani e liberato grazie al rilascio di cinque terroristi. E un blitz sarebbe troppo rischioso per la vita dell'ostaggio. Questa volta, però, evitare di coinvolgere Emergency.