Anche su L'Opinione e Notapolitica
Altro che Renzi, che resta in riva al fiume rischiando di distrarsi troppo. Oggi le due anime del principale partito di sinistra, il Pd, sono rappresentate la prima, quella maggioritaria, dal segretario Bersani, che dietro di sé (almeno per ora, almeno formalmente) ha la quasi unanimità del gruppo dirigente; e l'altra, decisamente minoritaria, da una personalità esterna, il presidente della Repubblica Napolitano, forte del suo ruolo e del sostegno "in sonno" di alcuni esponenti del partito. I due sono arrivati al momento dell'incontro/scontro decisivo. Non è un mistero, infatti, che Bersani punta ad un incarico pieno, senza riserva, per presentarsi in Parlamento con una squadra di governo in grado di sedurre i grillini, ripetendo il successo (parziale) dei nomi di Boldrini e Grasso per la presidenza delle Camere. In caso di insuccesso, riportare il paese alle urne già a giugno, ma al volante di Palazzo Chigi e scaricando la colpa sull'irresponsabilità di Grillo. Non ci sarebbe il tempo per convocare nuove primarie e il candidato sarebbe ancora lui: Bersani. Al contrario, la linea del capo dello Stato è sgonfiare, neutralizzare lo tsunami grillino - non inseguirlo - con almeno un anno di buon governo ("di scopo", di "larghe intese") su pochi punti qualificanti (emergenza economica, costi della politica, legge elettorale), frutto di un compromesso "alto" tra le forze politiche responsabili. Tentare tutte le strade, dunque, per dare al paese un governo stabile, come hanno riferito i presidenti delle Camere Grasso e Boldrini dopo il colloquio con il presidente.
L'Italia infatti non può permettersi di andare avanti "a tentoni", per tentativi (prima Bersani, poi semmai avanti un altro), né di sperimentare le maggioranze variabili o altre assurde formule, per poi alla fine precipitarsi al voto balneare, con un governo per gli affari correnti che avrebbe una conoscenza molto meno approfondita dei dossier rispetto a quello uscente. La crisi morde, gli ultimi sviluppi dell'Euro-delirio fanno temere da un momento all'altro una nuova fase acuta da rischio sistemico, e molti nodi cruciali sono in attesa di essere sciolti da un governo nel pieno delle sue funzioni e sostenuto da forze senza "grilli" per la testa: dall'incombenza di nuove stangate fiscali già previste, come nuova Tares e ulteriore aumento dell'Iva, che bisognerebbe scongiurare, al pagamento dei debiti commerciali della PA nei confronti delle imprese, per non parlare del completamento di alcune riforme troppo timidamente avviate dal governo Monti (Autorità dei trasporti, Strategia energetica nazionale, servizi pubblici locali, piano di dismissioni), ma di fondamentale importanza per attrarre investimenti e far ripartire la nostra economia.
Il guaio è che l'inerzia sembra avvantaggiare Bersani. Perché la linea del presidente abbia qualche chance di riuscita, infatti, si dovrebbe passare dall'oggi al domani dalla fase dei veti incrociati tra le forze politiche ad una fase di ricerca delle possibili convergenze. I numerosi richiami di Napolitano al comune senso di responsabilità, le sue esortazioni ad abbandonare una sterile contrapposizione tra i partiti, non solo sono caduti nel vuoto, ma sono stati scientemente contraddetti dalla linea di sistematica occupazione delle istituzioni (presidenza delle Camere e Quirinale) che sta portando avanti il Pd e da dichiarazioni incendiarie (il sì all'arresto di Berlusconi, che nessuna procura ha ancora richiesto), nonché travolti dall'azione della magistratura contro il leader del Pdl, che ha scatenato la prevedibile reazione scomposta del centrodestra e offerto al Pd un buon pretesto per chiudere ad ogni ipotesi di dialogo con coloro i quali vengono chiamati «impresentabili». Anche da giornalisti del servizio pubblico desiderosi di appuntarsi medagliette in vista di futuri prestigiosi (e ben retribuiti) incarichi.
Alla fine è probabile che Napolitano decida per una via di mezzo: non un incarico, ma un mandato "esplorativo" a Bersani che consenta al governo tecnico uscente di restare in carica per gli affari correnti. Ma se, come ampiamente e platealmente annunciato, il M5S confermerà nelle consultazioni la propria assoluta indisponibilità a votare la fiducia ad un governo Pd, il presidente Napolitano non dovrebbe perdere ulteriore tempo e dovrebbe favorire il passaggio ad una nuova fase semplicemente scaricando Bersani e affidando il mandato esplorativo ad un'altra personalità di sua fiducia. Il Pd saprebbe prenderne atto, non mancano segnali in questo senso, anche se il gruppo dirigente è apparentemente allineato dietro il suo segretario. Bersani, viceversa, pretenderebbe di giocare fino in fondo la carta Grillo, e permetterglielo significa non poter cominciare ad esplorare strade alternative. A quel punto, qualsiasi sia l'esito, si verrebbe a creare una situazione in cui, trascorso altro tempo prezioso, a Napolitano non resterebbe che accelerare la sua successione.
Esattamente il disegno di Bersani: rendere impraticabile, per mancanza di tempo e di clima politico, l'iniziativa del capo dello Stato, eleggere prima possibile il suo successore in modo che possa sciogliere senza ulteriori indugi le Camere, tornando al voto ancora da candidato premier.
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Wednesday, March 20, 2013
Wednesday, September 26, 2012
L'Huffa Post, noia assicurata
Quant'è politicamente corretto da 1 a 100 l'Huffington Post sbarcato ieri in Italia? Direi senz'altro oltre la soglia di sopportabilità di chiunque sia dotato di un minimo di spirito critico e curiosità intellettuale. A scorrere la lista dei blogger in homepage non manca proprio nulla dell'armamentario "de sinistra", dall'antagonismo notav al radical chic, in un tripudio di attenzione al "sociale" e al "morale" (direi al moralistico): giornalisti dell'Espresso e di Repubblica, politici e tecnici (come il sottosegretario Catricalà), ma anche antipolitici (la grillina Montevecchi), sindacalisti (il segretario Fiom Landini), ex ministri noglobal (Tremonti), i notav (il fondatore del centro sociale "marxista-leninista" Askatasuna), i gay (la deputata Pd Concia), e ancora le voci dei disabili, degli attivisti per i diritti umani e antimafia, del disagio giovanile dell'agroalimentare rigorosamente "bio". Manca solo Saviano, ma non disperiamo. Un di tutto e di più che promette di annoiarci a morte. Talmente politicamente corretto che la piattaforma pretende anche di essere pluralista, ospitando, a rappresentare il centrodestra (sic!), Giulio Tremonti e Daniela Santanchè.
Il direttore, Lucia Annunziata, è quanto di più old media si possa trovare in circolazione, ma anche una pioniera, sebbene con scarso successo, dell'online (nessuno ricorda il flop de "Il Nuovo.it", primo quotidiano on line italiano?). E nulla forse poteva essere più old media che lanciare l'HuffPost italiano con un'intervista a Berlusconi e il manifesto di Tremonti. Mentre Arianna Huffington mostra tutta la sua originalità esordendo con un paio di luoghi comuni sull'Italia (cinema e Colosseo) e con l'elogio del "riposino pomeridiano", esattamente il contrario di ciò che gli italiani avrebbero bisogno di sentirsi dire.
Per ulteriori approfondimenti, rimando ai post di Simone Bressan («più mainstream di così c'è solo una trasmissione di RaiTre») e, sul letargo editoriale della destra, di Dario Mazzocchi, su The Right Nation.
Per nulla innovativo, nemmeno per un paese arretrato nei new media come l'Italia. Non per i contenuti, né per la veste grafica, né dal punto di vista editoriale (in cosa si differenza da Repubblica, l'Espresso, o una trasmissione di RaiTre?). E' un'operazione che giganteggia per risorse investite solo al cospetto del vuoto editoriale che troviamo nell'area liberale e di centrodestra, dove non solo non c'è l'acuto di una scommessa, ma non sanno nemmeno scegliersi uno stagista.
Il direttore, Lucia Annunziata, è quanto di più old media si possa trovare in circolazione, ma anche una pioniera, sebbene con scarso successo, dell'online (nessuno ricorda il flop de "Il Nuovo.it", primo quotidiano on line italiano?). E nulla forse poteva essere più old media che lanciare l'HuffPost italiano con un'intervista a Berlusconi e il manifesto di Tremonti. Mentre Arianna Huffington mostra tutta la sua originalità esordendo con un paio di luoghi comuni sull'Italia (cinema e Colosseo) e con l'elogio del "riposino pomeridiano", esattamente il contrario di ciò che gli italiani avrebbero bisogno di sentirsi dire.
Per ulteriori approfondimenti, rimando ai post di Simone Bressan («più mainstream di così c'è solo una trasmissione di RaiTre») e, sul letargo editoriale della destra, di Dario Mazzocchi, su The Right Nation.
Per nulla innovativo, nemmeno per un paese arretrato nei new media come l'Italia. Non per i contenuti, né per la veste grafica, né dal punto di vista editoriale (in cosa si differenza da Repubblica, l'Espresso, o una trasmissione di RaiTre?). E' un'operazione che giganteggia per risorse investite solo al cospetto del vuoto editoriale che troviamo nell'area liberale e di centrodestra, dove non solo non c'è l'acuto di una scommessa, ma non sanno nemmeno scegliersi uno stagista.
Friday, May 29, 2009
Tra Usa e Russia, l'Italia rischia la spaccata/2

Che alcune nostre politiche, e alcune recenti mosse avventate, infastidiscano i nostri alleati americani è fuor di dubbio. La ricostruzione di Carioti sul fastidio che a Washington provocano le intese tra Eni e Gazprom, l'ultima sul gasdotto South Stream, è ineccepibile. Tuttavia, mi chiedo: la politica dell'Eni sarebbe diversa senza Berlusconi al governo, o addirittura con un governo di centrosinistra? Era forse diversa durante il governo Prodi? A quanto mi risulta, che «l'intesa con la Russia non fosse solo economica, ma - per ammissione dei protagonisti - politica», era evidente anche con il governo di centrosinistra, quando altri «protagonisti», Prodi e D'Alema, parlavano esplicitamente di «partnership strategica» con Mosca.
Non inganni l'ostentata amicizia tra Berlusconi e Putin. E' reale, ma dietro di essa ci sono politiche rigorosamente bipartisan. Non è "l'Eni di Berlusconi" ad accordarsi con Gazprom, ma è "l'Eni italiana" punto. Nei confronti della Russia (come della Cina), al di là del "feeling" tra Berlusconi e Putin esiste una continuità sufficientemente bipartisan della politica italiana da non giustificare da parte di Washington complotti contro Berlusconi.
Sarà anche vero che a livello europeo si voleva tenere in gioco l'Ucraina e che, almeno a parole, si punta sul gasdotto Nabucco che esclude i russi, ma poi mi pare che tranne Gran Bretagna e Francia (meno dipendenti degli altri dal gas russo), gli altri paesi europei trattino con Mosca come fa l'Italia, ciascuno avendo a cuore il proprio particolare.
Mi sembra inoltre esagerato parlare di «appoggio dato da Berlusconi all'operazione militare russa in Georgia». E' vero che nelle prime ore la reazione del governo italiano apparve fin troppo comprensiva nei confronti di Mosca, ma subito dopo il tiro fu corretto. In questo genere di crisi, e in generale quando si creano tensioni tra Washington e Mosca, Berlusconi è sempre andato alla ricerca di visiblità internazionale, vantando un ruolo di mediazione forse sopravvalutato, forse velleitario, ma appunto di mediazione. Durante la crisi georgiana la nostra posizione inizialmente troppo filorussa e la nostra iniziativa di mediazione furono sfumate e riassorbite nell'alveo di un'iniziativa a livello europeo a guida francese.
Infine, sull'Iran, esclusi dal 5+1, vedo nelle mosse italiane maldestri tentativi per recuperare un posto in prima fila nei negoziati, più che una tentazione "doppiogiochista". Nei confronti dell'Iran, di Hezbollah e su tutta la politica mediorientale, il governo Prodi-D'Alema si è mosso in modo molto più ambiguo e tale da suscitare, quello sì, l'irritazione della Casa Bianca.
Vedremo ora quale sarà l'atteggiamento italiano nei confronti del trasferimento di detenuti di Guantanamo in Europa, un altro tema spinoso. Insomma, c'è senz'altro più d'un motivo di tensione e di freddezza nei rapporti tra Italia e Stati Uniti, ma non vedo aria di «complotti». Tra l'altro, è poco verosimile che a Washington si siano mossi per rimuovere "l'ostacolo Berlusconi" senza prima individuare una valida e praticabile alternativa, cioè un altro leader politico italiano - di centrodestra o di centrosinistra - in grado sia di ottenere il consenso degli italiani sia di ribaltare la politica dell'Eni. E' difficile in Italia trovare un politico fino a tal punto filo-americano. Fini? Tremonti? D'Alema? Non ne vedo.
Sarei invece più portato a pensare che nei rapporti freddi con la nuova amministrazione Usa Berlusconi paghi semmai l'amicizia con George W. Bush, altrettanto solida e ostentata di quella con Putin. E' più verosimile, a mio avviso, che l'amicizia tra Berlusconi e Bush, cementata dalla posizione italiana durante la crisi irachena, abbia supplito in questi anni alla scarsa rilevanza internazionale di fondo del nostro paese, illudendoci di essere alleati preziosi per Washington, addirittura necessari, mentre oggi, con Obama, siamo tornati a contare poco o nulla, è tornata l'Italia «che più di tanto non ha da dare agli Stati Uniti».
Un'analisi perfetta è quella di Daniele Raineri oggi su Il Foglio. I rapporti tra Usa e Russia stanno peggiorando su tutti i fronti (nonostante il bottone di reset offerto da Obama e H. Clinton ai russi): su tutti Iran (i russi si stanno impegnando a minare la credibilità della deterrenza di un raid aereo contro gli impianti nucleari di Teheran, neanche un succoso do-ut-des li ha indotti a desistere) e Afghanistan (Mosca sogna la disfatta Usa e Nato per recuperare influenza sulla regione). Quindi, con Usa e Russia che si allontanano, come ebbi modo di scrivere mesi fa, l'Italia rischia la spaccata: «Il nostro tradizionale ruolo di cerniera, il Cav. con lo Stetson da cowboy e il Cav. con il colbacco in testa, non è più possibile. O da questa o da quella parte. In attesa di capire che cosa faremo, la Casa Bianca non si fa sentire», conclude Raineri.
Ma purtroppo Berlusconi è sentimentalmente legato allo spirito del vertice Nato-Russia di Pratica di Mare, un'era politica ormai lontana anni luce. L'errore di Berlusconi (e di Frattini) è stato non comprenderlo mesi fa, quando cambiare linea gli sarebbe valso qualche bella figura sulla democrazia e i diritti umani e qualche punto "simpatia" con qualsiasi amministrazione Usa, sia che avesse vinto Obama che avesse vinto McCain. Invece, mi sembra che tuttora il Cav. non si sia accorto che tra Washington e Mosca è cambiata aria.
In tutto questo, però, i complotti lasciamoli ai no global e occupiamoci di politica.
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Wednesday, April 11, 2007
L'Italia, un paese in vacanza da una vita
Ve la ricordate quella canzone di un'estate di qualche anno fa?
La situazione di permanente incertezza e fragilità in cui si trova il nostro paese l'ha fotografata perfettamente Lucia Annunziata, su La Stampa di ieri.
Dopo l'epilogo nel fango della vicenda Mastrogiacomo e il racconto del soldato Lozano, al New York Post, di quella tragica notte, in Iraq, in cui fu costretto ad aprire il fuoco sull'auto con a bordo Calipari e la Sgrena, «è difficile non vedere come in un unico, sfortunato, giorno sia arrivata al collasso un'intera politica». Del centrosinistra, ma anche del centrodestra. Sì, perché se mai si era caduti così in basso da accettare un accordo che prevedesse la salvezza per l'ostaggio italiano e non per quelli afghani, è pur vero che nella sostanza anche il Governo Berlusconi ha scelto la linea della trattativa opaca per risolvere sequestri in zone di guerra. E chissà quanto c'è di "non detto", se Berlusconi stesso si è precipitato a frenare le polemiche dei suoi contro il Governo Prodi.
La scelta "buona" degli italiani di trattare per gli ostaggi, osserva la Annunziata, «finisce nel sangue». Danni collaterali che sempre più rivelano il bilancio negativo di certe operazioni.
Siamo un paese che per sé ritaglia sempre lo spazio per «un'eccezione alle regole». Prendiamoci tutto, ma non le nostre responsabilità. I soliti italiani "furbetti", che ci sono ma s'imboscano; che fanno parte dell'alleanza, ma conducono trattative separate con il nemico; che sono in guerra ma si sentono in pace... Siamo una «nazione che dal fondo profondo delle sue vacanze permanenti vuole solo i propri ostaggi indietro, così da poter riprendere la propria vita». Vogliamo la pace, ma soprattutto che ci lascino in pace.
Il guaio sta «nel modo con cui il nostro Paese è entrato in questa fase di guerre iniziata con gli attacchi terroristici del 2001. Un nuovo ciclo di conflitti, una vera e propria terza guerra mondiale secondo alcuni, di cui l'Italia - a cominciare da quella di Berlusconi... - non ha mai voluto prendere davvero atto».
Un'Italia "caso speciale", «per la quale gli stessi alleati sono sempre stati pronti a fare un'eccezione». Gli Usa chiudendo un occhio sul caso Sgrena, pronti a fare altrettanto sul caso Mastrogiacomo; la Merkel che «sprezzante» rivendica "Noi non trattiamo con i terroristi"; Karzai che si commuove per il governo Prodi «a rischio caduta». Una comprensione «un po' pelosa», che ci ha esposti a recitare la parte dei pusillanimi nelle relazioni internazionali.
Ma ora il meccanismo s'è inceppato. Nota la Annunziata che «non importa, infatti, quanto ce ne freghiamo delle regole delle alleanze, le alleanze alla fine ci costringono; non importa quanti ponti vogliamo lanciare ai nostri nemici, essi rimangono nostri nemici. Non importa insomma quanto vogliamo sfuggire alla guerra, la guerra ci insegue comunque». Ciò che possiamo cambiare è come scegliamo di comportarci.
I sequestri in Iraq e Afghanistan rappresentano «lo strappo dentro la tela della nostra pretesa di chiudere gli occhi, di pensare che se facciamo finta di niente la realtà si azzera». Un'illusione di cui gli stessi rapiti sono stati vittime, se è vero che tutti loro - giornalisti, operatori umanitari e guardie del corpo - erano «in buona fede convinti di poter girare in un mondo in guerra più impunemente degli altri occidentali proprio perché italiani, e dunque non davvero in guerra».
Un detto, rammenta la Annunziata, non a caso inglese, recita che «la realtà trova sempre un modo per riafferrarti». Se la politica ha un compito, è proprio quello di «adeguare la nostra posizione a questo avvertimento del reale». Ma stavolta «senza furbizie ed eccezioni, non è più possibile sfuggire al nostro rapporto con la guerra».
La situazione di permanente incertezza e fragilità in cui si trova il nostro paese l'ha fotografata perfettamente Lucia Annunziata, su La Stampa di ieri.
Dopo l'epilogo nel fango della vicenda Mastrogiacomo e il racconto del soldato Lozano, al New York Post, di quella tragica notte, in Iraq, in cui fu costretto ad aprire il fuoco sull'auto con a bordo Calipari e la Sgrena, «è difficile non vedere come in un unico, sfortunato, giorno sia arrivata al collasso un'intera politica». Del centrosinistra, ma anche del centrodestra. Sì, perché se mai si era caduti così in basso da accettare un accordo che prevedesse la salvezza per l'ostaggio italiano e non per quelli afghani, è pur vero che nella sostanza anche il Governo Berlusconi ha scelto la linea della trattativa opaca per risolvere sequestri in zone di guerra. E chissà quanto c'è di "non detto", se Berlusconi stesso si è precipitato a frenare le polemiche dei suoi contro il Governo Prodi.
La scelta "buona" degli italiani di trattare per gli ostaggi, osserva la Annunziata, «finisce nel sangue». Danni collaterali che sempre più rivelano il bilancio negativo di certe operazioni.
Siamo un paese che per sé ritaglia sempre lo spazio per «un'eccezione alle regole». Prendiamoci tutto, ma non le nostre responsabilità. I soliti italiani "furbetti", che ci sono ma s'imboscano; che fanno parte dell'alleanza, ma conducono trattative separate con il nemico; che sono in guerra ma si sentono in pace... Siamo una «nazione che dal fondo profondo delle sue vacanze permanenti vuole solo i propri ostaggi indietro, così da poter riprendere la propria vita». Vogliamo la pace, ma soprattutto che ci lascino in pace.
Il guaio sta «nel modo con cui il nostro Paese è entrato in questa fase di guerre iniziata con gli attacchi terroristici del 2001. Un nuovo ciclo di conflitti, una vera e propria terza guerra mondiale secondo alcuni, di cui l'Italia - a cominciare da quella di Berlusconi... - non ha mai voluto prendere davvero atto».
Un'Italia "caso speciale", «per la quale gli stessi alleati sono sempre stati pronti a fare un'eccezione». Gli Usa chiudendo un occhio sul caso Sgrena, pronti a fare altrettanto sul caso Mastrogiacomo; la Merkel che «sprezzante» rivendica "Noi non trattiamo con i terroristi"; Karzai che si commuove per il governo Prodi «a rischio caduta». Una comprensione «un po' pelosa», che ci ha esposti a recitare la parte dei pusillanimi nelle relazioni internazionali.
Ma ora il meccanismo s'è inceppato. Nota la Annunziata che «non importa, infatti, quanto ce ne freghiamo delle regole delle alleanze, le alleanze alla fine ci costringono; non importa quanti ponti vogliamo lanciare ai nostri nemici, essi rimangono nostri nemici. Non importa insomma quanto vogliamo sfuggire alla guerra, la guerra ci insegue comunque». Ciò che possiamo cambiare è come scegliamo di comportarci.
I sequestri in Iraq e Afghanistan rappresentano «lo strappo dentro la tela della nostra pretesa di chiudere gli occhi, di pensare che se facciamo finta di niente la realtà si azzera». Un'illusione di cui gli stessi rapiti sono stati vittime, se è vero che tutti loro - giornalisti, operatori umanitari e guardie del corpo - erano «in buona fede convinti di poter girare in un mondo in guerra più impunemente degli altri occidentali proprio perché italiani, e dunque non davvero in guerra».
Un detto, rammenta la Annunziata, non a caso inglese, recita che «la realtà trova sempre un modo per riafferrarti». Se la politica ha un compito, è proprio quello di «adeguare la nostra posizione a questo avvertimento del reale». Ma stavolta «senza furbizie ed eccezioni, non è più possibile sfuggire al nostro rapporto con la guerra».
«Le opzioni ci sono: l'Italia può voler ritagliare per sé una sorta di ruolo da paese terzo, una specie di Svizzera del lavoro con i civili, o può decidere una piena partecipazione alle guerre in corso. In un caso o nell'altro dovrà pagare dei prezzi, e dovrà dotarsi di una giusta e solida convinzione teorica per sostenere la sua scelta. Ma in entrambi i casi non saremo più vittime della più seria delle tragedie: quella che ci coglie di sorpresa».
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