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Thursday, April 22, 2010

Fini dichiara guerra: tenterà il logoramento

Fini non ha affatto pronunciato il discorso che mi aspettavo, alto e di prospettiva, con aplomb istituzionale. Ha scelto le basse polemichette. Ma la sostanza non cambia, l'esito della direzione di oggi è esattamente quello che avevo previsto nel post di ieri. Non bisogna farsi confondere dalle questioni di merito che ha toccato nel suo intervento, alcune delle quali messe efficacemente in ridicolo dagli interventi precedenti e successivi, altre senz'altro importanti per il partito e da dibattere, anche se in modo costruttivo e non 'antagonista', come hanno voluto fare Fini e i suoi in questi mesi.

Ed è proprio questo il punto: mettersi d'accordo su ciò che è realmente accaduto in questi mesi. Sono state avanzate richieste di dibattito interno al partito su questioni politicamente rilevanti, o si è dato vita ad un "controcanto" sistematico e potenzialmente logorante, usando la postazione in teoria 'super partes' della presidenza della Camera, e spesso da parte dei finiani indicando nella persona di Berlusconi un modello deteriore di politica, usando nei suoi confronti gli stessi identici pregiudizi della sinistra, bocciati sonoramente dagli elettori?

E' stato tutto sommato un bel momento quello dello scontro, in cui i due leader si sono affrontati a viso aperto, in modo trasparente, come in un colloquio privato. La chiave politica della direzione di oggi l'ha infilata nella toppa Berlusconi quando ha replicato rivelando con linguaggio semplice e diretto, con fare inusuale per i "professionisti" della politica, il contenuto dei loro colloqui privati dei giorni scorsi. E' lì che ha smascherato Fini, che poco prima aveva cambiato totalmente la sua posizione: 'Caro Gianfranco, oggi vieni qui in direzione a chiederci occasioni di dibattito mai richieste prima (mai sono state avanzate richieste formali di convocare gli organi statutari su quei temi) e che nessuno ha intenzione di negarti (una delle richieste, quella di una commissione ad hoc sul federalismo fiscale, Berlusconi l'ha accolta su due piedi), ma l'altro giorno, in presenza di Letta, mi hai detto che ti eri pentito di aver contribuito a fondare il Pdl ed eri deciso a costituire gruppi autonomi in Parlamento'.

Le questioni che oggi lo hanno spinto a chiedere più dibattito interno (avanzando in particolare la ragionevole proposta di un paio di commissioni di lavoro), assicurando comunque di volersi rimettere al volere della maggioranza, sono le stesse per cui qualche giorno fa sembrava fermamente intenzionato ad andarsene? Quando tutti hanno potuto sentire dalla voce di Fini le «questioni politiche» a lui care, tutti hanno riconosciuto l'importanza di discuterne, ma a nessuno sono apparse tali da giustificare l'apertura di una crisi simile, tanto più all'indomani di un successo elettorale. E' questa la debolezza di Fini: l'enorme distanza tra le questioni, pure importanti, che pone, inserendole in un contesto di successi elettorali e apprezzamento generale per l'operato del governo che lo stesso Fini ha riconosciuto, e la radicalità delle decisioni che era pronto ad assumere solo pochi giorni fa, così come l'intensità del "controcanto" suo e dei suoi degli ultimi mesi.

Ma come dicevo, per capire il gioco che ha deciso di giocare in questa partita, basta guardare al ruolo che si è scelto: perché non è voluto entrare nel governo, con un incarico anche nel partito, ma ha preferito la carica di presidente della Camera? Basta guardare a come quel ruolo è stato interpretato dai suoi predecessori (Casini e Bertinotti) e a come lo sta interpretando lui oggi (mi chiedo sempre dove siano finiti i "custodi" della Costituzione), per capire il suo gioco. I suoi continui interventi "politici", squisitamente da leader politico, e da oggi esplicitamente anche leader della minoranza interna al partito di maggioranza, sono compatibili con il ruolo di garanzia della presidenza di una Camera? La questione vera, che si finge di non afferrare, non è che Fini, da presidente della Camera, debba rinunciare ad ogni attività di partito, non è questa in conflitto con la sua carica. Certo che può intervenire e dire la sua nelle direzioni e nei congressi. Il punto è che non deve fare il capocorrente quando parla fuori dal partito, in veste di presidente della Camera, ai convegni o nelle occasioni istituzionali, o nelle sue passeggiatine con i cronisti intorno a Montecitorio, quando si diverte a fare il "controcanto" al presidente del Consiglio.

Quelle di Fini dopo la direzione sono dichiarazioni di guerra che confermano la sua strategia. Una guerra di trincea, che prenderà la forma del logoramento. Che riesca non è detto, ma ci proverà. E non è del tutto vero che non è anche una questione di "posti". Sia nel suo intervento che dopo la direzione, Fini ha voluto sottolineare che si è aperta una «nuova fase»: non solo non è più quella dell'unanimismo ma è quella del confronto. Ma ha anche detto chiaramente che da oggi non ha più senso parlare di quote 70-30 tra ex FI ed ex An, come a dire che adesso c'è una «minoranza interna, di tipo politico-culturale, che supera la vecchia divisione tra Alleanza nazionale e Forza Italia», e che quindi rivendica una propria rappresentanza, anche solo 90-10. E ha chiesto a Berlusconi di prenderne atto, di averne consapevolezza, pur rimettendosi, per quanto riguarda gli organigrammi, alle sue decisioni. Almeno per ora.

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