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Friday, July 02, 2010

Semipresidenzialismo a corrente alternata

Con tutto il rispetto per il presidente Napolitano, il cui ruolo in questi due anni di legislatura va in gran parte apprezzato per il suo equilibrio, c'è da chiedersi però se la sua uscita di ieri sul ddl intercettazioni non sia per caso dovuta a una botta di caldo che lo abbia colpito a Roma o a Malta. Prima di tutto, è palesemente falso che non sia stato ascoltato dalla maggioranza il suo «consiglio», di alcuni giorni fa, di dare priorità alla manovra finanziaria nei lavori parlamentari. La decisione presa a maggioranza nella conferenza dei capigruppo della Camera a cui si riferisce, infatti, fissa l'inizio della discussione sul ddl intercettazioni il giorno dopo la fine - obbligata (il decreto scade il 30 luglio) - dell'esame del ddl di conversione della manovra. Ma una volta licenziata la manovra, non si vede perché i deputati non possano passare ad occuparsi di intercettazioni, provvedimento palleggiato tra i due rami del Parlamento da oltre due anni. E' falso, dunque, quanto afferma il capo dello Stato.

A meno che giorni fa, invocando di dare priorità alla manovra finanziaria, non abbia in realtà voluto sostenere l'opportunità - a prescindere dalla manovra - di rinviare l'esame del ddl intercettazioni a dopo l'estate, e quindi caldeggiare ulteriori cambiamenti al testo. Ma a questo punto ci troveremmo di fronte ad una inedita e gravissima ingerenza del capo dello Stato sul calendario dei lavori del Parlamento, appena dissimulata dall'argomento - condiviso anche dalla maggioranza - di dare priorità alla manovra. Facendo inoltre capire inequivocabilmente di condividere i «punti critici» della legge uscita dal Senato che «risultano chiaramente dal dibattito in corso e dal dibattito svoltosi in Commissione Giustizia della Camera, nonché da molti commenti di studiosi, sia costituzionalisti sia esperti della materia», e anticipando che senza «modifiche adeguate» non promulgherà la legge, Napolitano sconfina del tutto dal suo ruolo costituzionale, partecipando attivamente e pubblicamente al processo di formazione delle leggi. Può rinviare una legge alle Camere, ma non può minacciarlo preventivamente, condizionando così i lavori del Parlamento e le mediazioni in corso sul testo all'interno della maggioranza.

Un errore, quello del suo parere anticipato, in cui già incorse con il decreto Englaro, quando con il suo intervento di fatto chiuse qualsiasi spazio di mediazione all'interno del Cdm, trovatosi a quel punto a dover difendere le prerogative del governo. Ma è un errore, bisogna dire, incoraggiato in questi anni anche da governo e maggioranza, che sempre più di frequente hanno richiesto al Quirinale pareri preventivi sottobanco, instaurando veri e propri negoziati sui testi, per non incorrere in "incidenti" di firma, con il risultato "presidenzialista" che alcune leggi e decreti vengono di fatto scritti sul Colle.

Come già con il decreto Englaro, anche stavolta l'intervento presidenziale, come emerge dalla verosimile ricostruzione di Ugo Magri su La Stampa, ha l'effetto di irrigidire le posizioni all'interno del Pdl e di restringere gli spazi per un compromesso tra maggioranza del partito e "finiani". Quindi, se la buona intenzione del presidente era quella di scongiurare il rischio di una crisi istituzionale che potesse compromettere la tenuta della maggioranza e quindi della legislatura, in realtà con la sua «bomba» di ieri da Malta non ha fatto altro che aumentare quel rischio. E infatti la giornata di ieri è finita con lo scontro tra Bondi e Fini, con quest'ultimo che si spinge a rivendicare il diritto al dissenso di fatto anche nel voto parlamentare, mentre fino ad oggi aveva assicurato di condividere il metodo della discussione e della decisione a maggioranza negli organi di partito.

Oggi lo sconfinamento di Napolitano è ancor più grave, perché si tratta non di un decreto ma di una legge, non del governo ma del Parlamento, cui sta praticamente dicendo: "Se non cambiate quella legge, non la firmo". Dalla facoltà di rinvio alle Camere si passa a un quasi diritto di veto preventivo, che in ogni caso condiziona i lavori parlamentari, trasforma il presidente in attore politico nel processo di formazione delle leggi, e in indebita sponda istituzionale per le forze politiche che spingono per cambiare od ostacolare il ddl. Un comportamento che conferma quanto già sospettiamo da tempo: quando al governo c'è Berlusconi, ci troviamo di fatto in una Repubblica semipresidenziale. Solo che al contrario che in Francia, la maggioranza uscita dalle urne è posta sotto la tutela di un presidente eletto indirettamente e dalla legislatura precedente. E di fronte a un governo di centrosinistra, il presidente ritorna ad essere un tranquillo notaio.

1 comment:

Anonymous said...

napolitano sono 2 anni che interviene durante la stesura delle leggi e, se qualcuno glielo fa notare, si incazza di brutto. Ora raccoglie ciò che ha seminato.