E' chiaro che idea si abbia qui dell'operazione di logoramento, del governo e di Berlusconi, cui si sta abbandonando (mi sembra questo il termine più adatto) Gianfranco Fini (del tutto irrazionalmente anche per se stesso), ma scambiare Fini con Casini a chi abbia un minimo, ma proprio un minimo, di memoria politica, non può che apparire un gioco «a somma zero», come dice Giuliano Ferrara. Anzi, addirittura «in perdita», per i motivi indicati dal direttore del Foglio, tra cui non ultimo, non bisogna dimenticarlo, il fatto che Casini vuole liquidare il bipolarismo a vantaggio di un sistema in cui il "centro" possa lucrare una rendita di posizione. Dunque, dopo un primo periodo, i centristi si lancerebbero in un logoramento ancora più forsennato di quello del presidente della Camera. E va ricordato che l'Udc è l'unico gruppo ad aver votato contro il federalismo fiscale, come dire una bomba ad orologeria. In queste cose Bossi ci vede lungo.
Detto questo, però, non credo - a differenza di Ferrara - che Fini si accontenti di essere «messo in grado di vivere dignitosamente in una casa che è anche sua, anche dei dissenzienti». Il problema è che il «socio di minoranza», anche se può apparire illogico, sembra mostrare proprio tutto l'«interesse a sfasciare la ditta e a raccogliere solo cocci». Ambisce ad essere leader di una destra "deberlusconizzata", non accetterebbe mai di dovere la sua eventuale leadership del centrodestra a Berlusconi, quindi sta cercando in tutti modi di costruirsi un'identità antiberlusconiana. Imbarcare Casini è una tentazione cui resistere, ma il problema Fini rimane e non credo che basti un compromesso "di potere".
E' evidente che Fini e Casini ambiscono entrambi alla leadership di un centrodestra, o un centro, moderato e "deberlusconizzato", e questo li porta a considerarsi rivali, ma nel breve-medio periodo hanno lo stesso identico interesse a logorare Berlusconi, come fecero benissimo tra il 2001 e il 2006. E quindi, averli entrambi nella maggioranza, lungi dall'essere il contrappeso l'uno dell'altro, per il premier significherebbe un doppio freno ad un'azione di governo già quasi del tutto immobile di per sé.
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