C'è un comune denominatore nell'amara - quanto strameritata - eliminazione di Brasile e Argentina: il non saper reagire al primo vero momento di difficoltà del Mondiale, come se nei giocatori e nei ct fossero convinti che tutto sarebbe andato liscio fino all'inevitabile esito positivo. Avevano ragione i critici casalinghi delle rispettive nazionali a non farsi abindolare dalle facili vittorie nel girone e agli Ottavi. Incontrando le prime squadre vere, quelle splendenti corazzate di talenti si sono sciolte come neve al sole. Complici le scelte sbagliate dei loro ct - nelle convocazioni e negli assurdi puntigli - ma anche la presunzione. Fin qui le similitudini.
Mentre Dunga e i brasiliani hanno peccato di arroganza, e reagito nervosamente al pareggio fortunoso dell'Olanda - rosicando, si direbbe da noi - gli argentini sono sorprendentemente mancati dell'unica cosa di cui tutti eravamo convinti fossero provvisti: il carattere. Flebile la reazione dopo lo svantaggio, neanche dopo l'intervallo c'è stata una scossa. E ciò dovrebbe farci capire che non basta qualche pacca sulle spalle e qualche bacio a rendere un allenatore davvero carismatico. La squadra di un allenatore davvero carismatico reagisce e lotta, non declina verso la sconfitta compiaciuta comunque del suo talento.
Maradona ci aveva quasi convinti del miracolo. In realtà, senza l'aiuto di Rosetti questa Argentina avrebbe avuto difficoltà a passare contro il Messico. In realtà, tutte le lacune che si indicavano alla vigilia, ed emerse anche all'esordio contro la Nigeria, hanno pesato: portiere e difensori scadenti e poco filtro a centrocampo (mentre Zanetti e Cambiasso venivano lasciati a casa); il gioco lasciato troppo ai solisti (Messi, Tevez e forse anche Di Maria insieme sono ridondanti); poco movimento senza palla, tutti ad aspettare il pallone sui piedi o la giocata risolutiva di qualche big.
Le vittorie di Olanda e Germania sono state la vittoria dell'organizzazione e del gioco di squadra contro la pretesa improvvisazione dei singoli. Insomma, nulla di nuovo, nulla di soprendente, l'eterna disputa del calcio. Non so se Messi e Robinho non sono all'altezza dei giocatori di una volta, oppure - e protendo per questa seconda - se il calcio è cambiato e ormai quasi tutte le squadre dal punto di vista atletico e organizzativo non concedono troppo ai fuoriclasse. Ma sarebbe ingiusto dare l'idea che Olanda e Germania sono squadre prive di talenti (Robben e Snejider lo sono, come Muller e Ozil). Hanno saputo però meglio mettere questi talenti al servizio della squadra.
Dopo le prime partite i commentatori ci avevano ripetuto fino alla noia che questo sarebbe stato il Mondiale della scuola sudamericana, e invece è stata la rivincita del calcio europeo (3 squadre su 4 in semifinale) e per la prima volta nella storia dei Mondiali una squadra europea potrebbe vincere fuori dai confini dell'Europa (alla faccia di Blatter, che vuole togliere posti alle squadre europee). L'esito drammatico di Uruguay-Ghana conferma che il calcio è cosa serissima, e come la vita sa essere crudele. Papere dei portieri a parte (altro che jabulani!), gran spettacolo! Addolora lo psicodramma degli africani, dal paradiso all'inferno in pochi secondi. Ma sarebbe ingiusto dire che l'Uruguay non ha meritato. Ha creato grandi occasioni, senza dimenticare che l'azione del Ghana al 120' era viziata da fuorigioco e un netto rigore su Abreu poco prima.
A questo punto, anche se non brillante, la Spagna continua a sembrarmi la squadra più completa. Grande qualità in tutti i ruoli (anche in panchina), carattere e saggezza tattica (cose che mancavano agli spagnoli fino a qualche anno fa). La Germania vive un momento di grande esaltazione psicologica, ma non è completa in tutti i ruoli come la Spagna: difficilmente portiere e difensori spagnoli concederanno ai tedeschi di passare in vantaggio così facilmente come con Inghilterra e Argentina, e poter quindi colpire in contropiede. Apertissima anche la sfida tra uruguaiani e olandesi: ai primi mancherà la classe di Suarez davanti, ma potrebbe essere più pesante l'assenza del perno del centrocampo olandese, De Jong, che rende la squadra solida difensivamente come forse l'Olanda non è mai stata.
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