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A dar credito alle anticipazioni filtrate da fonti governative l'annunciata riforma del catasto sarà «a saldo zero», nel senso che non aumenterà la pressione fiscale complessiva sulla casa. Servirà ad aggiornare le rendite adeguandole ai valori di mercato; ad eliminare imbarazzanti sperequazioni negli estimi tra centro e periferie nelle grandi città; ma gli adeguamenti saranno accompagnati dall'abrogazione dei «moltiplicatori» e dalla riduzione delle aliquote. A parità di gettito però, non potrà che mutare, ovviamente, la posizione fiscale del singolo proprietario. In breve: qualcuno pagherà di più e qualcuno meno.
Ma ammesso e non concesso che il suo impatto immediato sia davvero «a saldo zero» - e c'è da dubitarne fortemente, anche per le difficoltà tecniche - la vera operazione per la quale, neanche troppo surrettiziamente, il governo getta le basi con il nuovo catasto è quella di una patrimoniale ordinaria. E' come se caricasse una pistola e la puntasse alla tempia degli italiani, promettendo di non premere il grilletto. Per ora. E' scritto nero su bianco nel documento elaborato dal ministero dell'Economia circolato in questi giorni, infatti, che uno degli obiettivi della riforma, il primo anzi, è «la costituzione di un sistema catastale che contempli assieme alla rendita (ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene), il valore patrimoniale del bene, al fine di assicurare una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione».
Ciò significa che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione copernicana della filosofia stessa del catasto. Fino ad oggi il suo scopo era quello di rappresentare la redditività di un immobile, calcolata sulla base del canone medio, al netto delle spese, al quale lo si potrebbe affittare. Il nuovo catasto dovrebbe affiancare al valore reddituale quello patrimoniale, cioè il prezzo di mercato dell'immobile, «da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione». E' proprio questo il senso del passaggio dai vani al metro quadrato. L'aumento dell'imposta dovuto alla rivalutazione della rendita catastale può essere compensato riducendo «moltiplicatore» o aliquote, ma adeguare le rendite ai valori di oggi non implica necessariamente il passaggio dal concetto di redditività a quello di valore patrimoniale.
Dunque, mentre i giornali si sbizzarriscono in tabelle e simulazioni su chi pagherà di più e chi meno, il bersaglio grosso della riforma non è il mero aggiornamento delle rendite, ma comporre un quadro attendibile del valore degli immobili come primo tassello di qualsiasi imposta patrimoniale. Ricordate come lo stesso Monti ha giustificato in queste settimane la mancata introduzione di una patrimoniale ordinaria, come richiesto dai partiti di sinistra e persino da Confindustria? Non può essere introdotta senza prima possedere le necessarie informazioni sul valore reale dei patrimoni degli italiani. E di quei patrimoni la casa è il "mattone" fondamentale. La riforma del catasto offre una straordinaria occasione per acquisire quelle informazioni propedeutiche. Non sarebbe un'eresia, tutt'altro, pensare di tassare la ricchezza accumulata e immobilizzata piuttosto che quella investita in attività produttive, ma si deve trattare, appunto, di spostare il carico fiscale dall'una all'altra e non semplicemente di aggiungerlo. Ma qui di un taglio drastico alle aliquote sui redditi e sulle imprese non si vede nemmeno l'ombra.
Se i nostri sospetti si dimostrassero fondati, bisognerebbe concludere che il governo Monti si sta impegnando a fondo per far esplodere anche in Italia la bolla immobiliare. Prendiamo come esempio un patrimonio immobiliare di 1 milione di euro. Un'aliquota patrimoniale del 5 per mille significherebbe dover pagare allo Stato 5.000 euro l'anno. Lasciamo per il momento da parte l'effetto sul mercato delle locazioni. Considerando un periodo di 20 anni, 100 mila euro di tasse, ecco che quel patrimonio ha già perso il 10% del suo valore. Prima l'Imu, ora la riforma del catasto, poi la patrimoniale ordinaria. L'effetto combinato di una tassazione punitiva e di dismissioni di patrimonio immobiliare pubblico, pur auspicabili, potrebbe far crollare il valore degli immobili, provocando una pesante svalutazione degli asset dello Stato stesso e delle banche. Un incubo a cui ci auguriamo di non assistere. Lo Stato taglierebbe così il ramo su cui è seduto. Dopo aver reso anti-economiche, nel corso dei decenni, le altre forme di investimento (dalle attività produttive a quelle finanziarie), adesso lo Stato mette nel mirino il mattone pur di non mettersi a dieta. E ovviamente ciò che ottiene è che i capitali sono sempre più in fuga dal nostro Paese - sia illegalmente che legalmente (attività finanziarie detenute all'estero per oltre 13,5 miliardi di euro; beni immobili per oltre 19,4 miliardi di euro).
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