Con l'avvicinarsi del decisivo vertice dell'8 e 9 dicembre, a sentire Sarkozy ieri e Merkel oggi emergono sempre più ragionevoli le posizioni tedesche. Ritardi, errori, omissioni ce ne sono stati da quando la crisi del debito sovrano europeo è esplosa con il caso della Grecia e come ho già scritto in crisi è il modello socio-economico dell'intero continente. I tedeschi sono più disciplinati in casa propria, ma ciò non li esime dal radicale ripensamento del ruolo dello Stato che i tempi richiedono. Su un punto decisivo però hanno ragione e bisogna essere chiari: chi invoca un ruolo più attivo della Bce, gli eurobond e qualsiasi forma di condivisione del debito che rassicuri i mercati, non può pretendere di non cedere quote di sovranità sulla propria politica di bilancio, altrimenti il sospetto che qualche furbo possa pensare di cicaleggiare sulle spalle altrui è più che fondato. E i richiami alla sovranità, alla democrazia e alla "solidarietà" europeista che sentiamo in questi giorni accompagnare i pressanti appelli rivolti a Berlino non promettono nulla di buono. Insomma, come si può parlare di Bce come la Fed e di titoli di debito in comune senza unione fiscale e, aggiungerei, politica?
Certo, resta il grande tema di una unione fiscale che nel medio-lungo termine rischia di livellare la politica comune verso le pratiche peggiori di spesa, debito e tasse, ma diciamo che al momento, almeno per noi italiani, visti i livelli a cui siamo giunti, non è la principale preoccupazione.
Non possono più essere le lunghe tavolate di capi di Stato e di governo e di ministri a decidere se allentare o meno i patti, come fecero proprio francesi e tedeschi per primi nel 2003. Prima di mettere la propria solidità a garanzia della casa comune è ragionevole che la Germania voglia assicurarsi che tutti ci si sottometta a regole stringenti e autorità indipendenti, ma questo evidentemente ferisce l'orgoglio francese. Insomma, Sarkozy esita almeno quanto la Merkel. Al netto dei tic dell'informazione italiana, che procede per luoghi comuni, le parole della Merkel tra le righe sembrano aprire ad un compromesso tra l'imperativo del rigore fiscale e la necessità invocata da molti di una più espansiva politica monetaria e di una più incisiva difesa dei debiti sovrani da parte della Bce. Ma se ai tedeschi si deve chiedere di abbandonare il loro approccio inutilmente punitivo su questo secondo aspetto, gli altri devono impegnarsi seriamente sul primo.
E qui veniamo all'Italia, perché più coraggioso sarà il pacchetto di riforme che il governo varerà lunedì prossimo, più voce in capitolo avremo al vertice Ue per superare le resistenze francesi e tedesche.
Fitta agenda di incontri per Monti nel week end: sabato vedrà Casini, Alfano e Bersani; domenica i sindacati e gli enti locali. Pd e sindacati non si accontentano però di una «consultazione», no. Vogliono «trattare». Ma non serve una «vera trattativa», qui servono vere riforme, caro Bonanni. L'auspicio naturalmente è che sia Monti che il ministro Fornero non si facciano irretire. La ragion d'essere di questo governo, per cui abbiamo derogato ai principi della democrazia dell'alternanza, è di realizzare le riforme che l'Ue e i mercati ci chiedono e che sono nel nostro stesso interesse da decenni. Niente di meno, perché per questo di meno avevamo già i governi dei partiti.
E l'agenda l'ha ricordata il commissario Rehn nel suo rapporto. Due i punti cruciali: non basta il contributivo pro rata per tutti e accelerare l'equiparazione uomini-donne nell'età di pensionamento, bisogna intervenire anche sulle pensioni d'anzianità e sui regimi previdenziali speciali; a qualsiasi tassa sui consumi e sul patrimonio, casa o altro, deve corrispondere un alleggerimento almeno equivalente del carico fiscale su lavoro e imprese. Queste le misure, oltre a norme di enforcement su liberalizzazioni e dismissioni, su cui giudicheremo l'operato del governo Monti, il cui slancio riformatore, come abbiamo ripetuto, o si sviluppa nell'arco delle prossime settimane o rischia di non venire mai alla luce.
Vedremo lunedì, dunque, cosa uscirà dalla pistola di Monti dopo questa concertazione-flash, se un proiettile d'argento per uscire dalla crisi oppure l'ennesima lingua di Menelik per la serie "abbiamo scherzato".
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