Sul fronte fiscale della manovra è il caso di insistere nel provare a sfatare alcuni falsi miti. E' falso che il governo Monti non abbia toccato le tasse sui redditi personali: da gennaio infatti aumenta, per tutti gli scaglioni, l'addizionale regionale Irpef, il che significa buste paga più leggere in media di 62-132 euro annui. E ci vuole una fervida immaginazione per considerare l'Ici non una pesante patrimoniale ma una tassa sui servizi, come si sforza di spiegare Monti. Se fosse davvero una tassa sui servizi che i comuni erogano, si dovrebbe applicare a tutti i residenti, a prescindere dalla proprietà o meno della loro abitazione.
Riguardo il tema delle esenzioni c'è poco da scaldarsi, è inutile addentrarsi in interminabili e dotte disquisizioni normative. Senza voler colpevolizzare la Chiesa o il settore no-profit, è evidente - perché altrimenti la materia non sarebbe così ripetutamente all'attenzione delle autorità europee e delle alte corti italiane - che l'attuale normativa ha generato, e sta alimentando, una zona grigia nella quale è difficile distinguere tra esenzioni lecite e illecite. In ogni caso, a mio avviso, la reintroduzione dell'Ici sulla prima casa (inaccettabile se non compensata da un alleggerimento almeno equivalente sui redditi) taglia la testa al toro. Sarebbe incomprensibile infatti aggrapparsi alla «funzione sociale» o «no-profit» quando di tutta evidenza non c'è nulla di più "sociale" e "no-profit" della casa in cui si abita, su cui anzi spesso c'è il gravoso onere del mutuo. Se i cittadini pagano l'Ici anche sulla prima casa, nemmeno il padreterno in persona reclamerebbe il diritto all'esenzione. Questo vale per gli enti ecclesiastici, ma ancor di più - non bisogna mai scordarselo - per partiti, sindacati e camere di commercio.
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