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Peggio che toccare il fondo c'è solo iniziare a scavare. E il Pd sembra pronto a farlo. Doveva solo presentarsi e annunciare le sue dimissioni, avrebbe potuto sbrigare la pratica anche con uno stringato comunicato, invece Bersani ammette la «delusione» ma in sostanza dà la colpa all'arbitro cornuto (la legge elettorale, l'austerità, la politica «moralmente non credibile»), mentre «guardando il voto non siamo noi il problema». Ma dopo un paio delle sue incomprensibili frasi "ad effetto" («il bicchiere va letto dai due lati» e «sono mancati meccanismi acquisitivi»), ecco la proposta del segretario del Pd sul da farsi: «La nostra ispirazione non è una diplomazia con uno o con l'altro, né discorsi a tavolino sulle alleanze, ma alcuni punti fondamentali di cambiamento, un programma essenziale da presentare al Parlamento per una riforma delle istituzioni e della politica». Il messaggio a Grillo è chiaro: «Ora abbiamo la responsabilità di una proposta di cambiamento più forte di quella che abbiamo portato in campagna elettorale». E richiama i grillini alle loro di responsabilità: «Finora hanno detto tutti a casa. Ora ci sono, quindi o vanno a casa o dicono cosa vogliono fare per il Paese, che è anche il loro». Tradotto, vuol dire che il Pd metterà sul tavolo alcune proposte tenendo conto delle più "forti" istanze di cambiamento rappresentate dal M5S e in base a questi temi si aspetta che gli eletti grillini votino la fiducia e, di volta in volta, i provvedimenti. Forse non proprio lo "scouting" di cui ha parlato in campagna elettorale, ma qualcosa di simile. Davvero Bersani intende proporre al capo dello Stato di governare un paese come l'Italia - per almeno un anno - con maggioranze variabili e sostegni esterni dei grillini sulle singole proposte, legge per legge?
Il Pd - udite udite - ci pensa davvero. Abbiamo ricordato giorni fa su queste pagine il caso Sicilia, che ora rischia di diventare per il Pd un "modello" da esportare per il governo nazionale. Primo partito alle elezioni regionali siciliane dello scorso ottobre, il M5S ha subito perso la radicale alterità rispetto ai vecchi partiti che Grillo propaganda nei suoi comizi, finendo di fatto nel centrosinistra. A dimostrarlo sono i ruoli istituzionali assunti dai suoi eletti all'Ars e il loro voto in aula: hanno votato la fiducia al governatore Rosario Crocetta, al quale gli elettori non avevano consegnato una maggioranza autosufficiente, e la sua prima legge di bilancio. Grillini sono il vicepresidente dell'assemblea regionale, un presidente, un vicepresidente e tre segretari nelle commissioni.
Sarebbe una prospettiva a dir poco inquietante per il paese, ma il centrodestra, che pur onorevolmente esce comunque sconfitto e fortemente ridimensionato dal voto, non potrebbe chiedere di meglio per rianimarsi: eviterebbe l'imbarazzo di dare la disponibilità, e partecipare ad un governo di larghe intese, e potrebbe limitarsi a guardare il Pd impantanarsi in un'avventura di governo a forte rischio di finire presto, e male, come accadde a Prodi nel 1996 e nel 2006. E sarebbe chiaro agli elettori, a quel punto, che il movimento di Grillo, lungi dall'essere trasversale rispetto ai vecchi partiti, non è che una costola della sinistra, una sorta di coscienza critica del Pd.
Da parte sua Grillo in mattinata aveva prima lanciato la sfida a Pd e Pdl: «Insieme dureranno 7-8 mesi, non di più. E' l'economia che non gli darà scampo, chiudono 1.000 imprese al giorno». Come dargli torto? E poi teso la trappola in cui Bersani sta cadendo: «Se ci sono delle proposte che rientrano nel nostro programma, siamo disposti a collaborare. Noi siamo un movimento di idee, non di protesta», valuteremo «legge per legge».
Eppure, a nostro avviso la "road map", che converrebbe al Pd e al Paese, è una sola. Dimissioni immediate di Bersani. Tre, quattro riforme da realizzare insieme al Pdl in pochi mesi: legge elettorale uninominale a doppio turno (con sapiente gerrymandering), dimezzamento dei parlamentari, abolizione di ogni finanziamento pubblico, cancellazione della riforma Fornero sul lavoro e diminuzione dell'Imu. E - perché no? - elezione diretta del premier. Fatte queste riforme, leadership rinnovate (il Pd ha già Renzi) e di nuovo al voto.
3 comments:
Idealmente potrei darti ragione, ma per quale motivo Bersani dovrebbe fidarsi di Berlusconi? Dopo la Bicamerale? Dopo l'esperienza del governo Monti?
Quello che tanti di voi non avete capito, è che non sono gli antiberlusconiani ad essere pazzi, è Berlusconi che è pessimo. La differenza tra collaborare con Berlusconi e collaborare con Grillo è sottile, così come il PDL assomiglia più al movimento 5 stelle che non a un partito vero.
Credo che Bersani sia ancora al suo posto perchè deve prendersi gli schiaffi come fece Veltroni a suo tempo,la frase:"Guardando il voto non siamo noi il problema"dice molto sullo stato del PD e dei suoi vertici.L'idea di fare un Governo con in pratica l'appoggio esterno del M5S mi suona ridicola e temo che presto l'Europa ci chiederà di formare un Governo PD-PDL,tutto questo non per fare poche riforme necessarie ma per proseguire la folle politica di Monti.
Toni
Sarà, ma dubito che Renzi sia il candidato giusto in questo momento a rilevare il PD. L'ondata rischia di spiaggiare anche lui, quello che sta portando avanti Grillo onestamente è un'orizzonte da socialismo reale condito dal wi-fi. Molto lontano da tutto ciò che ho sentito dire da Renzi durante la campagna per le primarie.
Woody
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