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Abolire l'Imu sulla prima casa, o cominciare a tagliare il costo del lavoro, per esempio l'Irap? Un po' come chiedersi se sia preferibile un uovo oggi o una gallina domani, laddove l'abolizione dell'Imu sarebbe forse l'uovo e il taglio dell'Irap la gallina. Non c'è dubbio, infatti, che dal punto di vista razionale della teoria economica, a parità di risorse una riduzione del costo del lavoro avrebbe un effetto più virtuoso su crescita e occupazione. Sarebbe però un errore sia sottovalutare l'impatto recessivo dell'Imu - anche indiretto, psicologico - sulla domanda interna, sia sopravvalutare le cifre che vengono evocate.
Innanzitutto, se è vero che il versamento medio dell'Imu sulla prima casa è stato di 225 euro, è anche vero che dagli stessi dati ufficiali emerge che una fetta rilevante di popolazione, soprattutto nelle grandi città, ha pagato cifre ben oltre la media e che non si può stabilire una corrispondenza attendibile tra le fasce più ricche di contribuenti e coloro che hanno versato un'imposta anche molto superiore alla media. Se il 6,79% dei contribuenti ha pagato in media 961 euro, affinché il versamento medio di chi dichiara oltre i 120 mila euro (solo l'1,01%) possa fermarsi a quota 629 euro, molti di costoro devono aver pagato centinaia di euro in meno, e molte centinaia in più molti di coloro che dichiarano meno di 120 mila euro. Oltre all'aspetto numerico, poi, conta quello psicologico, dal momento che l'Imu pesa sui bilanci famigliari proprio in corrispondenza dell'inizio delle ferie estive (e i saldi) e del periodo natalizio, quando la propensione ai consumi potrebbe aumentare.
Se di 4 miliardi si tratta, che sia l'Imu o l'Irap ad essere tagliata, cambierebbe poco. Sollievo sì, ma probabilmente più psicologico che sostanziale. Più momentaneo che duraturo. L'Italia ha bisogno di tutt'altro shock fiscale per riconomiciare a crescere. Dunque, perché accapigliarsi tra abolizione dell'Imu sulla prima casa e taglio dell'Irap? Perché i due interventi dovrebbero essere in contrasto tra di loro? Si sa che le risorse sono per definizione scarse, anzi nel nostro caso persino inesistenti. Si sente quindi parlare di "coperta troppo corta", per cui ovunque la si tiri c'è sempre una parte che rimane scoperta. E se invece la coperta fosse lunga, addirittura troppo lunga, ma ci fosse qualcuno che la tira tutta dal suo lato?
Possiamo permetterci una spesa pubblica ormai oltre la metà del Pil? Su 800 miliardi di spesa pubblica l'anno (720 circa al netto degli interessi sul debito), può spaventare un taglio dell'1, del 2 o del 3%? E lo Stato non possiede asset vendibili per abbattere in tempi congrui di un 10 o 20% lo stock di debito pubblico, così da farci risparmiare miliardi di interessi l'anno? La sensazione è che come al solito la questione sia di volontà e capacità politica e che la scelta, posta in termini quasi esistenziali, tra Imu e Irap sia un falso dilemma.
Ci si meraviglia che tutto il dibattito sugli interventi più urgenti di politica economica ruoti attorno all'Imu sulla prima casa. Ma se da una parte è vero che il tema viene usato da Berlusconi e dal Pdl come cavallo di battaglia elettorale, dall'altra la strenua opposizione alla sua abolizione sembra altrettanto ideologica, e contribuisce anch'essa a conferire al tema una centralità, rispetto alle sorti del paese, che probabilmente non merita. Forse tutta questa resistenza per non concedere una vittoria al "caimano", ma bisognerebbe considerare che eliminando l'Imu sulla prima casa si priverebbe una volta per tutte Berlusconi di un formidabile strumento di propaganda elettorale (e 4 miliardi in più tra consumi e depositi in banca non fanno certo male all'economia).
Insomma, c'è un accanimento sproporzionato sull'Imu, ma bidirezionale, da parte di chi ne propone l'abolizione, ma anche da parte di chi vi si oppone, dal momento che la cifra di cui parliamo non può far tremare un bilancio da 800 miliardi annui. Davvero tra questi 800 non se ne possono trovare 4 da tagliare (lo 0,5%)? Qualcuno iniziò la campagna elettorale minacciando che se l'Imu fosse stata abolita, sarebbe dovuta essere reintrodotta molto presto ma raddoppiata. Quello stesso candidato durante la campagna avrebbe poi corretto il tiro ammettendo la possibilità, e l'opportunità, di un alleggerimento. Ebbene, in ogni caso a quelle minacce gli italiani non hanno creduto e tuttora non credono.
Per quanto riguarda l'Irap, da tutti gli economisti definita la tassa più recessiva e distorsiva che grava sulle attività produttive, si può cominciare a tagliarla sensibilmente senza rinunciare all'abolizione dell'Imu sulla prima casa. Si può fare sfoltendo un capitolo della spesa pubblica a sua volta distorsivo e per lo più improduttivo: quello dei sussidi alle imprese. Producendo quindi un effetto doppiamente virtuoso. Da quasi un anno, dal luglio scorso, è pronto il rapporto Giavazzi che individua ben 10 miliardi di tagli ai sussidi da destinare speficamente alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Perché non se ne parla più? Si può correggere, migliorare, ma dai sussidi per poche imprese (solo meglio rappresentate), non dall'Imu sulla prima casa, si possono prelevare le risorse per ridurre il costo del lavoro per tutte.
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