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E' tutto da rifare. Accogliendo la richiesta della Procura generale di Perugia, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito che aveva messo la parola fine al processo di appello per l'omicidio di Meredith Kercher. Il nuovo processo d'appello, però, si svolgerà a Firenze. Dovremo attendere per conoscere le motivazioni della sentenza, ma nel frattempo bisogna chiarire che non si tratta di un giudizio di merito. La sentenza non «ribalta» da assoluzione a colpevolezza il verdetto d'appello, come purtroppo molti organi di informazione con il loro lessico inappropriato inducono a credere. E forse si può azzardare qualche considerazione di carattere generale. La giustizia italiana sembra ormai una maionese impazzita. Tanti, troppi sono i casi in cui su una stessa vicenda giudiziaria intervengono più di due sentenze di merito e altrettante da parte della Cassazione. Una quantità tale di verdetti contraddittori, spesso anche nell'ambito di uno stesso grado di giudizio, che di per sé lede la credibilità dell'intero procedimento giudiziario.
E occorrerebbe una riflessione approfondita su quell'anomalia solo italiana che porta la pubblica accusa a ricorrere sempre e comunque, fino al terzo grado di giudizio, contro le sentenze di assoluzione, anche senza che siano emerse nuove e schiaccianti prove che giustifichino la riapertura del caso. Quasi che per il nostro ordinamento l'onore dei procuratori smentiti dai giudici sia meritevole di maggiore tutela rispetto alle garanzie degli imputati. Com'è possibile, infatti, dal punto di vista logico, sgombrare il campo da ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza di qualcuno sottoposto ad un nuovo processo di merito, se costui è stato già giudicato innocente sulla base degli stessi elementi?
E' questo il caso che potrebbe verificarsi nei confronti di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Ancora non concosciamo le motivazioni che hanno indotto la Cassazione ad annullare la sentenza del processo di appello di Perugia, ma nella sua requisitoria il sostituto pg non ha motivato la richiesta di annullamento con alcuna nuova prova a carico degli imputati. Si è limitato a lamentarsi di quanto i giudici di appello abbiano sottovalutato gli argomenti dell'accusa, quindi in sostanza a delle semplici contro-deduzioni alla sentenza di assoluzione, che per quanto possano risultare condivisibili non introducono alcun nuovo elemento di merito rispetto a quelli su cui si basa.
E' possibile che anche i giudici della Cassazione abbiano riscontrato nella sentenza annullata il «raro concentrato di violazioni di legge» e il «monumento alla illogicità» di cui ha parlato il sostituto pg nella sua requisitoria. Lo vedremo. Ma la Procura generale rimprovera ai giudici di appello di non aver preso in considerazione, o di aver sottovalutato, gli elementi dell'accusa, e di aver basato il loro giudizio solo sugli argomenti della difesa. Eppure, di per sé l'aver trovato più convincenti questi ultimi piuttosto che i primi non può portare all'annullamento di una sentenza, perché altrimenti non esisterebbero proprio sentenze di assoluzione. E' del tutto ovvio: se un giudice ha deciso di assolvere piuttosto che condannare, deve aver ritenuto di dover "sotto-valutare" gli elementi dell'accusa e "sopra-valutare" quelli della difesa. Viceversa, sarebbe arrivato ad una sentenza di condanna.
Né si può rimproverare alla Corte di aver «frantumato, parcellizzato, gli elementi indiziari», dal momento che spetta all'accusa presentare logicamente il complesso di indizi raccolti al punto di trasformarli in una prova in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza degli imputati. Insomma, dalla requisitoria della Procura generale si ricava l'impressione che si rimproveri ai giudici che hanno assolto Amanda e Raffaele di aver ritenuto le tesi della difesa più convincenti di quelle dell'accusa. E' sufficiente questo per annullare una sentenza? Un processo non serve proprio a stabilire quali argomenti debbano prevalere e quali, invece, siano da sottovalutare?
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Tuesday, March 26, 2013
Thursday, September 20, 2012
Un'inchiesta per restituire credibilità alla giustizia italiana
Se le parole di Sollecito oggi possono apparire verosimili e non farneticazioni, è perché il teorema accusatorio, la natura puramente indiziaria del processo e le modalità della raccolta delle prove, giudicate dai periti super partes «approssimative», non conformi agli standard, hanno destato pesanti perplessità. Considerando i sospetti che fin dall'inizio gravano sulla correttezza dell'operato della pubblica accusa, e la vasta eco internazionale della vicenda, le nostre istituzioni non possono permettersi il lusso di rispondere con il silenzio alle gravi accuse esplicitate nel libro di Sollecito e, c'è da scommettere, anche in quello di Amanda. Per tutelare la credibilità e l'onorabilità della giustizia italiana dovrebbe essere fatta piena luce sulla condotta della procura durante le indagini e durante il processo. Sia il ministero della Giustizia che il Csm dovrebbero aprire un'inchiesta formale per stabilire non solo se vi siano state violazioni di legge, ma anche incompetenze e negligenze, per capire come sia stato possibile che, delle due l'una, o due innocenti sono rimasti in carcere per quattro anni, o due ragazzini hanno messo in scacco una procura.
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Wednesday, October 05, 2011
Chi ignora il sistema è Vietti
Secondo il vicepresidente del Csm Michele Vietti, «parlare di errore giudiziario» di fronte alla sentenza di secondo grado che ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito, ribaltando il primo verdetto, «significa ignorare il funzionamento del nostro sistema giudiziario». Non ignoriamo affatto «il funzionamento del nostro sistema giudiziario» per quello che è oggi, ma abbiamo ben presente come dovrebbe funzionare in uno stato di diritto. Vietti e purtroppo molti magistrati sembrano invece ignorare la cosa più importante: la seconda.
Ormai l'assuefazione è totale. Ci siamo così abituati ad appelli e contrappelli, odissee giudiziarie lunghe anni, persino decenni, che nemmeno il vicepresidente del Csm sa più cosa dovrebbe essere un processo. I tre gradi di giudizio non sono i tre tempi di un'unica partita, di un unico processo. Sono tre processi diversi. Non è che il sistema ha a disposizione tre tentativi per azzeccarci. Quando una sentenza d'appello ribalta quella di primo grado assolvendo gli imputati, vuol dire che la prima sentenza era sbagliata. Che siamo di fronte ad un errore giudiziario, molto spesso aggravato dalla presenza di un innocente in carcere per anni. Le cause possono essere diverse, una semplice casualità o l'incompetenza di una delle parti, ma di errore si tratta.
E' vero che il nostro sistema «si articola in tre gradi di giudizio» (anche se quello in Cassazione non riguarda il merito, ma solo i vizi di legittimità della sentenza), ma niente e nessuno impone che non possa essere "definitivo" anche il giudizio di primo grado. Bisogna ribellarsi a questo tentativo di far passare come la normalità del sistema la sua principale anomalia, cioè che subire un processo in Italia significa in realtà subirne tre, e che in primo grado si condanna sempre, per non dispiacere ai pm, perché tanto c'è il secondo grado che rimette le cose a posto. Dalla giustizia bisogna pretendere che ci azzecchi al primo colpo. La verità è che le cose non cambieranno finché i pm potranno impugnare le sentenze di assoluzione senza rischiare nulla in termini di carriera e con una disponibilità pressoché illimitata di risorse pubbliche per inseguire le loro verità spesso immaginarie.
Ormai l'assuefazione è totale. Ci siamo così abituati ad appelli e contrappelli, odissee giudiziarie lunghe anni, persino decenni, che nemmeno il vicepresidente del Csm sa più cosa dovrebbe essere un processo. I tre gradi di giudizio non sono i tre tempi di un'unica partita, di un unico processo. Sono tre processi diversi. Non è che il sistema ha a disposizione tre tentativi per azzeccarci. Quando una sentenza d'appello ribalta quella di primo grado assolvendo gli imputati, vuol dire che la prima sentenza era sbagliata. Che siamo di fronte ad un errore giudiziario, molto spesso aggravato dalla presenza di un innocente in carcere per anni. Le cause possono essere diverse, una semplice casualità o l'incompetenza di una delle parti, ma di errore si tratta.
E' vero che il nostro sistema «si articola in tre gradi di giudizio» (anche se quello in Cassazione non riguarda il merito, ma solo i vizi di legittimità della sentenza), ma niente e nessuno impone che non possa essere "definitivo" anche il giudizio di primo grado. Bisogna ribellarsi a questo tentativo di far passare come la normalità del sistema la sua principale anomalia, cioè che subire un processo in Italia significa in realtà subirne tre, e che in primo grado si condanna sempre, per non dispiacere ai pm, perché tanto c'è il secondo grado che rimette le cose a posto. Dalla giustizia bisogna pretendere che ci azzecchi al primo colpo. La verità è che le cose non cambieranno finché i pm potranno impugnare le sentenze di assoluzione senza rischiare nulla in termini di carriera e con una disponibilità pressoché illimitata di risorse pubbliche per inseguire le loro verità spesso immaginarie.
Tuesday, October 04, 2011
Li-cen-zia-te-li!

Ieri sera la cricca di Porta a Porta ancora si arrampicava sugli specchi, si attaccava al "fumo della pipa", osava ironizzare sul ritorno a casa di Amanda come fosse la fuga precipitosa di un delinquente che l'ha fatta franca, perseverava nelle solite analisi psico-sociologiche intrise di luoghi comuni sul mondo giovanile; e questa mattina chi ha contribuito per mesi a dipingerla come una "diavolessa ammaliatrice", dedita alla trasgressione tutta droga, sesso e rock 'n' roll, per poi disinteressarsi del processo d'appello, quando cominciavano ad incrinarsi le certezze dell'accusa, ha il coraggio di scrivere sul quotidiano più importante d'Italia che però «i processi indiziari si devono fare». No, i processi indiziari non si devono fare, perché questi sono i risultati: ciò che resta del processo di Perugia è la sensazione tragica di aver assistito ad un tentativo di processo alle streghe e di essere arrivati ad un passo dal rogo in piazza.
Non solo i periti super partes nominati dal tribunale hanno smontato le due prove "regine" che sulla base di una mera «compatibilità» di Dna (e non identità!) avevano portato alla condanna della Knox e di Sollecito in primo grado, le uniche che collegavano gli imputati alla scena del delitto, ma hanno anche stabilito che la polizia scientifica non ha seguito le «procedure internazionali di sopralluogo e i protocolli di raccolta e campionamento» dei reperti, i quali dunque sono risultati contaminati e comunque inattendibili. Non c'era il sangue della vittima sulla presunta arma del delitto; né era attendibile che la traccia di Dna rinvenuta sul gancetto del reggiseno della ragazza uccisa appartenesse a Sollecito, sia perché di dimensioni inferiori agli standard per determinarlo con ragionevole certezza, sia perché durante la repertazione il gancetto (repertato ben 46 giorni dopo l'omicidio) fu toccato con «un guanto sporco». Esattamente come avevano denunciato mesi prima le inchieste giornalistiche e le trasmissioni televisive americane, snobbate dai nostri media, anche i periti italiani hanno puntato l'indice sulle modalità approssimative della repertazione: gli agenti non portavano tute di protezione; indossavano guanti già utilizzati, quindi sporchi; spostavano reperti chiave, come il materasso che copriva il cadavere, da una stanza all'altra.
Insomma, quella di ieri non è una semplice assoluzione, ma un'assoluzione che evidenzia gravissime incompetenze, negligenze e violazioni della legge da parte degli inquirenti. Ci sono tutti gli elementi per uno di quei film "claustrofobici" in cui un malcapitato cittadino americano viene accusato ingiustamente perché qualcuno ha messo a sua insaputa una partita di droga nel suo zainetto, e si ritrova stritolato in un sistema giudiziario privo di garanzie. Solo che stavolta, diversamente dalla versione hollywoodiana, non eravamo in un Paese esotico, in Thailandia, in Iran o in Cina. Eravamo in Italia. Ma l'immagine di totale inaffidabilità del nostro sistema giudiziario che questo caso ha esportato all'estero, in Europa e negli Stati Uniti, è pressoché equivalente. Qualcuno dovrebbe per lo meno essere chiamato a risponderne.
UPDATE ore 14:09
Per il pm Mignini il nostro sistema giudiziario è «troppo garantista». Per la pm Comodi «sono stati liberati due colpevoli». Sono davvero senza vergogna, almeno abbiano un po' di rispetto per la Corte. Almeno finché non avvieranno il ricorso in Cassazione. Con i nostri soldi e senza rischiare nulla.
UPDATE ore 14:24
Chiedano scusa tutti quelli che nei giorni scorsi hanno scritto e detto che Amanda sarebbe "fuggita" a bordo di un jet privato. E' partita verso casa con un normalissimo aereo di linea, imbarcandosi come chiunque a Fiumicino.
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