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Tuesday, December 06, 2005

La Rice ha le palle, gli europei no

Condoleezza Rice«Non fate gli ingenui. Quello che facciamo lo facciamo con il consenso dei governi interessati. Serve a salvare, insieme alle altre, anche molte vite europee. E adesso spetta ai governi decidere quante e quali informazioni rendere note al pubblico»

Quello che doveva dire lo ha detto. Condoleezza Rice ha risposto in modo impeccabile alle polemiche sulle operazioni segrete condotte dalla Cia in Europa. Ha risposto dicendo cose ovvie che solo gli ipocriti sentivano l'impellente esigenza di sentirsi ripetere per poi mostrarsi scandalizzati: "Ah, lo vedi?" Lo vedi cosa? Qualcuno poteva seriamente immaginare che i servizi segreti americani operassero in Europa senza il consenso esplicito o implicito dei governi europei? E cosa ci si aspettava che dicesse la Rice, che rivelasse i particolari delle operazioni o del modo di cooperare dei servizi? Non sono cose di cui si discute in pubblico o di cui si può parlare a Porta a Porta. Ogni paese democratico controlla l'operato dei suoi servizi segreti tramite una commissione parlamentare i cui membri tra l'altro sono tenuti al rispetto di una certa riservatezza.
«Gli Stati Uniti non usano e non giustificano la tortura, non traportano i detenuti da un paese all'altro per farli interrogare sotto tortura e non usano lo spazio aereo di altri paesi per portare i detenuti dove pensano che potrebbero essere torturati. È politica degli Stati Uniti che gli interrogatori siano condotti senza tortura...»
La rendition è altro. E' un sistema usato da decenni e consentito dalle leggi internazionali. La Rice ha ribadito quindi che il governo Usa «rispetta le proprie leggi, la propria Costituzione e gli obblighi derivanti dai Trattati sottoscritti...», che rispetta la sovranità degli altri Paesi che hanno collaborato con loro su questi temi»: «I miei colleghi ed io stessa abbiamo giurato di proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti».

E' stato un netto avvertimento all'indirizzo dei governi europei «Non possiamo discutere informazioni che compromettono il successo dell'intelligence e le operazioni militari. Ci aspettiamo che gli altri paesi condividano questo punto di vista». Sì, lo comprendono e lo condividono, ma non hanno il coraggio di spiegarlo ai loro cittadini.
«Alcuni governi hanno scelto di collaborare con gli Stati Uniti... e questo ha aiutato a proteggere i paesi europei dagli attacchi e a salvare molte vite europee. Spetta a questi governi e ai loro cittadini decidere se vogliono collaborare con gli Stati Uniti e decidere quali informazioni delicate possono rendere pubbliche».
Essere alleati degli Stati Uniti non è un obbligo ma una scelta. Si può benissimo non esserlo, a patto poi di potersi difendere da soli. La Rice «tiene a sottolineare che gli Stati Uniti non intendono essere messi sotto processo per l'applicazione di accordi siglati con singoli Stati sovrani che continuano a non informare in proposito i propri cittadini», spiega Maurizio Molinari su La Stampa. E ancora Molinari:
«Ciò che Washington non vuole è pagare il prezzo politico - ed anche di sicurezza - della contraddizione che si consuma in quei Paesi europei dove i servizi hanno accordi di cooperazione con la Cia ma poi i giudici, ignari del tutto ed applicando le leggi in vigore, inseguono gli agenti della stessa Cia a colpi dì mandati di cattura. L'affondo diplomatico della Rice punta al cuore delle contraddizioni europee ed è destinato a far tremare i polsi in più cancellerie. Ma non è detto che sia negativo perché potrebbe far venire alla luce in Europa la lacerante discussione su dove tracciare il confine fra sicurezza e libertà nel XXI secolo».
Il segretario di Stato americano ha dunque detto l'ovvio: che i servizi collaborano, che i governi europei sanno e acconsentono. Se poi, il solo fatto di cooperare con l'intelligence americana costituisce un problema politico per i paesi europei di fronte alle loro opinioni pubbliche ingrassate a massicce dosi di antiamericanismo, questi sono problemi politici che spettano ai governi europei.

L'impressione è che anche stavolta il gioco dei governi europei - tranne la Francia che gioca in proprio, e in modo pesante - sia prima quello di appoggiarsi all'alleato americano per la propria sicurezza, per poi far ricadere sull'immagine degli Stati Uniti gli aspetti più controversi e inevitabilmente oscuri che l'operato di qualsiasi intelligence comporta per assicurare la sicurezza di un paese da un aggressore esterno.

Anche in questo caso la parola chiave è responsabilità. Il governo americano, per bocca del segretario di Stato, si è preso le sue responsabilità in modo chiaro e lineare di fronte all'opinione pubblica. Anzi, ha rivendicato le sue prerogative costituzionali. I governi europei hanno invece preferito nascondersi e cincischiare. Questo giochino, ha seriamente fatto capire la Rice, deve finire. Altrimenti, ci saranno altri sputtanamenti tipo quello del caso Calipari. La magistratura italiana ad esempio, ormai fuori controllo ed extracostituzionale, compia il suo "dovere", ma il governo non si sottragga alle sue responsabilità e rivendichi pienamente i suoi poteri costituzionali esercitandoli nei limiti consentiti dalla legge.

Alle verginelle che ora si scandalizzano va ricordato che proprio a questo tipo di operazioni si faceva riferimento quando all'indomani dell'11 settembre tutti invocarono e benedirono una maggiore cooperazione delle intelligence americane ed europee contro il terrorismo. Non era quello che chiedevano? Quali erano questi mezzi "altri" rispetto alla guerra che per mesi la sinistra e i movimenti pacifisti invocavano nelle piazze e nelle trasmissioni televisive, per combattere il terrorismo. Non si erano forse chieste operazioni mirate di intelligence che colpissero i "capi", gli appartenenti alle reti del terrore, senza coinvolgere popolazioni innocenti? Non ci hanno spiegato questo per mesi? In cosa dovrebbe consistere la tanto sbandierata cooperazione fra americani ed europei sul piano delle operazioni di intelligence che dovrebbero farci dormire sonni tranquilli? Invece di combattere il terrorismo, in occidente ci combattiamo a vicenda. Guerra alla Cia e pacchia per i terroristi? Auguri.

Coraggiosamente all'indomani dell'11 settembre gli Stati Uniti hanno per lo meno elaborato una strategia per la sicurezza interna ed estera. Per quanto anch'essa contraddittoria sotto molti aspetti, hanno comunque tentato una risposta che non risentisse di vecchi e inutilizzabili schemi di fronte a una minaccia del tutto nuova.
«Catturare i terroristi del XXI secolo non rientra nelle categorie tradizionali della giustizia criminale o militare e quindi dobbiamo adattarci per catturare individui che si nascondono in nazioni dove i governi non possono procedere a estradizioni tradizionali».
L'Europa ha semplicemente accantonato il problema, ma ecco che le contraddizioni stanno piano piano emergendo. Le sentenze di assoluzione di terroristi che compaiono persino nelle liste dell'Onu, i mandati di arresto nei confronti di agenti della Cia, le denunce del rapimento di imam (sarebbe ora cominciare a parlare di cattura), di voli e prigioni segrete.

«La legge internazionale consente di detenere un nemico fino a quando dura il conflitto». L'Europa dovrebbe rispondere, possibilmente in modo unitario, a una semplice domanda: quella contro il terrorismo islamico è a) una guerra o b) una generica lotta alla criminalità organizzata? Ho le mie idee in merito ma la cosa più importante è che l'Europa decida una volta per tutte e faccia chiarezza prima di tutto con se stessa. Poi elabori una strategia coerente con la sua analisi.

Già alcuni giorni fa, dopo Lucia Annunziata, anche Pierluigi Battista aveva parlato del declino del mito dell'intelligence come «formula magica» del che fare concretamente per combattere il terrorismo senza ricorrere alla guerra. «Anche l'intelligence diventa improvvisamente cattiva... un'indebita interferenza... una intollerabile violazione dello Stato di diritto».
«Ma allora, se i metodi dell'intelligence sono deprecabili, che senso ha reiterare la liturgia dell'"intelligence da attivare" ogni volta che si vuole indicare una credibile variante della guerra come strumento di aggressione al terrorismo internazionale? Non si rischia così di svuotare di senso, fino a diffondere attorno ad essa un insopportabile sentore di ipocrisia e di doppiezza, una legittima battaglia contraria alla guerra? Non sarebbe il caso di chiarire cos'altro dovrebbe fare l'intelligence se non individuare la rete di complicità di cui i terroristi godono in tutto il mondo? E allora perché delegittimare il lavoro di un magistrato anti-terrorismo che si avvale della collaborazione dell'intelligence? A meno che non si voglia, assolvendo Daki, condannare senza appello l'intelligence stessa, un tempo amata, e ora, chissà perché, detestata».
Il Foglio in modo ancora più esplicito: «Invece della guerra l'America usi i servizi», poi se li usa si scandalizzano.
«Si scopre con indignazione che la Cia opera in modo non "trasparente", che non chiede pubblicamente il permesso di agire alle autorità giudiziarie, insomma che fa il suo mestiere di servizio segreto. Che cosa credono che sia l'intelligence quelli che ne invocano sempre l'impiego, salvo adontarsi quando scoprono che è stata effettivamente messa in opera? Per costringere terroristi a confessare i loro segreti, per cercare di sventare attentati e di scompaginare reti criminali, non si usano le prediche».
Sarcastico il Wall Street Journal sulle preoccupazioni europee per il rispetto dei diritti umani da parte degli Usa:
«Saremo i primi ad applaudire gli europei se finalmente si preoccuperanno dei principi morali invece degli interessi commerciali. Molti dei problemi del Medio Oriente, terrorismo incluso, sarebbero più facili da risolvere se l'Europa seriamente si preoccupasse di moralità. Non sarebbe più il primo partner commerciale dell'Iran, e le sue compagnie non potrebbero più fare affari in Sudan».

8 comments:

Anonymous said...

Ottimo post JimMomo. Hai veramente parlato chiaro. Una qualità sempre più rara in chi commenta la Guerra al Terrorismo.

Lo PseudoSauro said...

Vuoi sapere qual'e' la versione "ufficiale"? La Rice e' stata evasiva, insoddisfaciente ed ha mostrato un certo imbarazzo. Sentito da Rai3 con le mie pseudo-orecchie.

Anonymous said...

Post per molti versi condivisibile, con un'eccezione di fondo.

Dopo Abu Grahib, chi gli crede più, agli americani, quando dicono che loro non torturano, o non hanno torturato, in questi remoti e ignoti luoghi dell'Europa Orientale?

Non sto dicendo, *per quanto mi riguarda* ed in assenza di riscontri oggettivi in un senso o nell'altro, che gli USA torturino, o abbiano torturato, nei luoghi suddetti.

Dico che gli USA, oggi, scontano un problema di credibilità, che rende *oggi* più difficile la difesa di posizioni assunte qualche anno fa.

La questione non è riducibile a meri testicoli, soprattutto se questa amministrazione insiste nello stay the course, lasciando al suo posto gente come Cheney e Rumsfeld.

In Iraq bisogna rimanere con più truppe e con un vero progetto di nation building, dando chiari segni di discontinuità (dandosi, ad es., una calmata nell'accapparramento di risorse e commesse irachene...) e nella speranza che ci siano ancora i margini "per reincollare i cocci", ciò con specifico riferimento alla "bomba" della questione sunnita.

Anonymous said...

la scoperta dell'acqua calda!!

Anonymous said...

Ciao!
Volevo chiederti se avevi voglia di venire a commentare un post da me, sempre a proposito di TV e di "fusionismo". Mi piacerebbe che ci fosse anche la tua campana!
ciao
CJ

Anonymous said...

Bravissimo Jim Momo. L'ipocrisia europea ci affonderà. Il problema è che queste cose le pensa una minoranza, il nostro Paese è una rovina.
Ciao

Heraclitus said...

Weird(o): il tuo commento meriterebbe un intero post di risposta ma sono le 3 di notte e ti dico subito che la tua argomentazione è un multisillogismo costruito su una nuvola che poggia su uno specchio. Abu Grahib è una faccenda operata da singoli che hanno pagato. Fine. E' questo il bello della democrazia americana. Non darmi la "poca credibilità" come un fatto, in quanto è solo opinione di certe persone che poi alla Matrix fermano 300 pallottole Browning finite dentro una macchinetta giapponese. Questo è cambiar discorso. Il succo credo sia alla fine sul commento del WSJ. La prova del nove ce l'hai sugli affari che la Francia opera in Costa d'Avorio, Sudan, Cina, Iraq (prima) e senza porsi una questione morale .... se questo è l'atteggiamento europeo io me ne tiro fuori.

Lo PseudoSauro said...

Esatto. Quoto Mario Sechi e rincaro la dose. C'e' bisogno di comportamenti chiari e cristallini, mentre anche da noi si cominciano a fare troppi distinguo. Esiste un problema culturale che e' di pertinenza dei paesi islamici. Lo vogliamo chiamare "conflitto di civilta'"? No? Tale rimane comunque. Non siamo noi a dover scegliere tra varie denominazioni fantasiose. dobbiamo solo adeguarci ai fatti e predisporre le contromisure. E' su questi temi che si vince o si perde alle elezioni; lo si tenga presente.