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Wednesday, June 13, 2007

Riformare il paese in tre mosse

Tre editoriali, tre spunti per altrettante riforme indispensabili.

Tasse e spesa pubblica.
Al Nord l'elettorato ha fatto crescere il peso delle componenti meno assistenziali del centro-destra, ossia Lega e Forza Italia. Al Sud, ha premiato le componenti più assistenziali del centro-destra, ossia An e Udc, ma anche il più meridionalista dei partiti dell'Unione, ossia l'Udeur di Clemente Mastella. Insomma, nelle regioni settentrionali il governo è impopolare perché è visto come il partito delle tasse, in quelle meridionali è impopolare perché... non si comporta a sufficienza come partito della spesa... Dal voto non emerge affatto una chiara e univoca volontà popolare, ma semmai un Paese sempre più diviso. Metà vuole meno tasse, l'altra metà vuole più spese. Un terzo spera (ancora) in Prodi, un terzo spera (di nuovo) in Berlusconi, un terzo pensa che né l'uno né l'altro ci tireranno fuori dai guai. Personalmente faccio parte dell'ultimo terzo e temo che, finché l'Italia scettica non diventerà maggioranza, nessuno avrà mai la forza per farci uscire dal guado.
Luca Ricolfi (La Stampa)

Età di pensionamento e liberalizzazioni.
La prima delle priorità, proprio perché riguarda il valore attuale del nostro reddito futuro e perché siamo in ritardo rispetto a quanto la legge prescriveva che si facesse entro il 2005, è la riforma della previdenza. Si faccia subito quanto serve perché di pensioni non si debba parlare più per i prossimi dieci anni, anzi di più. E' di destra o di sinistra?
(...)
Abbiamo visto i tentativi, neppure riusciti, di giocare una corporazione contro l'altra, non avendo il coraggio di fare un'unica norma generale sulla loro abolizione: dopo un anno, siamo ancora fermi a discutere di chi e che cosa può essere trasportato da un taxi; da cosa può essere firmato da un notaio o da un avvocato; di quale tipo di edificio possa contenere la vendita dei medicinali e chi più ne ha più ne metta. Bastava una norma sola, di due righe, che si limitasse ad abolire tutti i numeri chiusi, tutte le licenze il cui totale è dato, insomma, tutte e sole le barriere all'entrata che alimentano quelle "rendite" di cui Draghi ha parlato il 31 maggio. Questo e non altro serve.

Nei Paesi normali, e anche in tanta teoria politico-economica, la lotta alle rendite accomuna uno schieramento ampio ddi cittadini-elettori e idealmente dovrebbe far parte del patrimonio genetico di ogni "partito democratico". Se non riusciamo a condurre quella lotta, qualunque formula partitica nascerà già superata e inutile allo sviluppo e al benessere del Paese. E allora non è solo il Governo che dovrebbe smettere di far finta di esserci.
Giacomo Vaciago (Il Sole 24 Ore)

Sindacati; relazioni industriali; contratti collettivi nazionali.

«Che cosa sta accadendo al nostro sistema di relazioni sindacali?», si chiede Pietro Ichino sul Corriere della Sera. Perché i contratti collettivi nazionali di lavoro non riescono a essere rinovati? I Sindacati «eludono il problema»:
In un sistema basato sul principio del contrattualismo - come lo è il nostro e lo sono tutti i sistemi di relazioni industriali moderni - un «diritto al contratto» non esiste proprio. Ed è bene che non esista. Il contrattualismo si fonda sulla piena libertà negoziale di ciascuna delle parti; ma una libertà piena non può esserci se non è contemplata anche la possibilità che, quando le posizioni reciproche sono troppo lontane, il contratto non si riesca a stipularlo. Se questa libertà non ci fosse e accordarsi fosse obbligatorio, avremmo un regime di cogestione: un regime, cioè, nel quale il sindacato partecipa di diritto al governo dell'azienda; e non sarebbe una buona cosa...
(...)
Un sistema moderno di libere relazioni sindacali può funzionare bene cioè produrre con ragionevole fluidità e tempestività i contratti necessari soltanto se tra i suoi protagonisti, da ambo i lati, c'è un minimo di visione comune del contesto economico complessivo in cui occorre operare, dei vincoli da rispettare e degli obbiettivi da raggiungere...
Dopo un po' di retorica, Ichino arriva al punto:
Quella visione comune che oggi manca dovrebbe, tra l'altro, rendere evidente quanto sia insensato caricare il contratto collettivo nazionale della funzione di disciplinare inderogabilmente ogni aspetto del rapporto di lavoro per l'intero settore e sull'intero territorio nazionale... La vischiosità di questo nostro sistema di relazioni sindacali rigidamente centralizzato contribuisce, oltretutto, a chiudere il Paese alle opportunità di innovazione che la globalizzazione dell'economia gli offrirebbe. Ma l'innovazione di cui stiamo parlando si contratta a livello aziendale, non nazionale...

1 comment:

Anonymous said...

Io sono scemo.
Cioè scettico-berlusconiano.

Però vorrei tanto che Casini ed i suoi Caltagirone, Volontè, Buttiglione, ecc restassero a mani vuote.