16:33 - Con straordinario - e sospetto - tempismo, Hillary Clinton ha appena annunciato alla Commissione Affari esteri del Senato Usa che è pronta una «forte» bozza di risoluzione per imporre nuove sanzioni all'Iran, che c'è l'accordo di Russia e Cina e che nelle prossime ore sarà fatta circolare al Palazzo di vetro. Un annuncio piuttosto impegnativo. Vedremo presto quanto c'è davvero di definito o se si tratta di un'accelerazione imposta dall'accordo annunciato ieri da Iran, Brasile e Turchia, cioè se il successo diplomatico di Teheran ha in qualche modo costretto Washington a scoprire le proprie carte nel tentativo di imbastire una reazione, soprattutto per "impegnare" Mosca e Pechino, che solo poche ore fa si erano affrettate ad accogliere positivamente l'annuncio turco-brasiliano...
14:10 - Un successo pieno di Ahmadinejad e un umiliante fallimento per Obama. Questo, in termini politici, il significato dell'accordo sul nucleare iraniano siglato ieri da Teheran con Turchia e Brasile. Il presidente iraniano con un colpo solo rompe l'isolamento; praticamente scongiura l'approvazione di nuove sanzioni Onu; e scavalca la già vantaggiosa proposta dell'Aiea. Determinante il ruolo di Turchia e Brasile, i "non allineati" dei nostri giorni di cui l'Occidente - America in testa - mostra di non comprendere ancora peso e ruolo.
Washington è spiazzata, balbetta. Dopo tutti gli sforzi per indurre Russia e Cina a prendere in considerazione l'ipotesi di nuove sanzioni, ancora tutte da definire, e dopo tutti i rospi ingoiati da Teheran a dispetto della "mano tesa", si vede scavalcata da Turchia e Brasile, di cui non si può certo fidare nella gestione dell'uranio iraniano come di Francia e Russia, e messa all'angolo da Teheran. E in ogni caso, se si vorrà ancora far arrivare l'uranio iraniano in Francia o in Russia, a questo punto bisognerà concedere qualcosa in più agli iraniani. L'effetto dell'accordo di ieri sarà di rallentare ancor di più, se non arrestare del tutto, il già lento processo di definizione di nuove sanzioni. Insomma, la strategia iraniana di prendere tempo ottiene un grande risultato, forse decisivo nella sua corsa all'atomica.
Un «fiasco» per l'amministrazione Obama. Il Wall Street Journal definisce senza mezzi termini l'accordo annunciato ieri da Iran, Brasile e Turchia per il trasferimento e l'arricchimento all'estero dell'uranio iraniano. Il «colpaccio» di Teheran «rende istantaneamente irrilevanti 16 mesi di diplomazia obamiana» e «forse assesta il colpo di grazia agli incerti sforzi dell'Occidente per impedire all'Iran di dotarsi di una bomba atomica». «Pieno merito per questa debacle va all'amministrazione Obama e alla sua sventurata strategia diplomatica», secondo il quotidiano, che ricorda la proposta originaria del trasferimento dell'uranio iraniano per l'arricchimento all'estero, avanzata lo scorso ottobre dal gruppo 5+1 tramite l'Aiea, ma rifiutata da Teheran. Ma il presidente Obama «non considera delle risposte i "no" dei regimi canaglia e così ha mantenuto l'offerta sul tavolo».
E mentre alla fine gli Stati Uniti sembravano essersi decisi a percorrere la strada delle sanzioni, gli iraniani hanno deciso di accettare l'accordo alle proprie condizioni con lo «scudo diplomatico» di brasiliani e turchi. La «beffa» è che proprio Washington aveva «incoraggiato» la diplomazia del presidente brasiliano Lula come «passo per favorire un consenso unanime sulle nuove sanzioni Onu». Lula ha invece «usato l'apertura Usa per la propria soluzione diplomatica. Nella sua prima mano di poker diplomatico con un'alta posta in gioco - conclude il WSJ - il segretario di Stato Hillary Clinton sta lasciando il tavolo a mani vuote».
«Invece che mettere l'Iran in un angolo questa primavera, Ahmadinejad ci ha messo Obama». L'«imbarazzo» della Casa Bianca, sottolinea il WSJ, è evidente e ha cercato di mettere in luce le differenze tra l'accordo annunciato ieri e quello proposto lo scorso autunno. «Ma avendo giocato un ruolo così di primo piano» nei negoziati di allora, osserva il WSJ, gli Stati Uniti «non possono dissociarsi così facilmente da qualcosa che appare ampiamente in linea con quella cornice». In base all'accordo di ieri l'Iran «trasferirà in Turchia 1.200 chili di uranio a basso arricchimento entro un mese, e non più tardi di un anno dopo riceverà 120 chili arricchiti da qualche parte all'estero». Ma nel frattempo, in questi sette mesi, fa notare ancora il WSJ, l'Iran «ha portato le sue attività di arricchimento ad una marcia superiore». Si stima che il suo stock complessivo di uranio leggermente arricchito sia «salito a 2.300 chili dai 1.500 dello scorso autunno e il suo dichiarato obiettivo di arricchimento dal 3,5 al 20%».
«Se l'Occidente accetta questo accordo - avverte il WSJ - all'Iran sarebbe permesso di continuare ad arricchire uranio in violazione delle precedenti risoluzioni dell'Onu e il trasferimento di 1.200 chili lascerà l'Iran con una quantità di uranio a basso arricchimento ancora sufficiente per fabbricare una bomba, e una volta che l'uranio è arricchito al 20% sarà tecnicamente più facile raggiungere i livelli di arricchimento necessari per la bomba». La scorsa settimana, riporta il quotidiano Usa, diplomatici presso l'Aiea hanno riferito che l'Iran «ha accresciuto il numero di centrifughe che sta utilizzando per arricchire l'uranio». Secondo le stime delle intelligence occidentali, «continua ad acquistare componenti chiave per le bombe». Secondo la Cia, l'anno scorso Teheran avrebbe addirittura «triplicato le sue scorte di uranio» e si sarebbe avvicinata «all'auto-sufficienza nella produzione di missili nucleari».
L'accordo di ieri quasi certamente rende la via delle Nazioni Unite un «vicolo cieco». «Dopo 16 mesi di mano tesa e dopo aver ridotto al minimo l'appoggio all'opposizione democratica in Iran - conclude il Wall Street Journal - Obama ora ha di fronte un Iran più vicino alla bomba e meno isolato diplomaticamente rispetto a quando il presidente Bush lasciò l'incarico». Israele, aggiunge il giornale, «dovrà considerare seriamente le sue opzioni militari». Un esito di cui bisogna ringraziare il «doppio gioco diplomatico» del premier turco Erdogan e del presidente brasiliano Lula, ma soprattutto il presidente Usa, «la cui diplomazia è riuscita principalmente a persuadere gli stati canaglia del mondo che non ha la determinazione per fermare le loro ambizioni distruttive».
Critico anche il commento dell'editorialista Bret Stephens: nonostante il gioco che sta giocando Teheran non sia molto più complicato di una «partita a dama», «il guaio è che ci stanno battendo». L'accordo originario, ricorda, avrebbe impegnato l'Iran a trasferire all'estero 1.200 chili di uranio arricchito al 3,5% perché fosse arricchito al 20%, così da poter essere impiegato in un piccolo reattore di ricerca di Teheran. Con questo accordo l'Occidente avrebbe acquistato un anno di tempo prima che l'Iran potesse produrre i 1.900 chili di uranio a basso arricchimento da cui ottenere 20 chili ad elevato arricchimento per la produzione di una bomba. Un'offerta troppo vantaggiosa per essere rifiutata, visto che l'Iran avrebbe potuto nel frattempo continuare ad arricchire uranio in violazione delle risoluzioni Onu, ottenere una scorta significativa di uranio arricchito al 20%, con il quale produrre una bomba nell'arco di settimane piuttosto che di mesi, ed evitare ulteriori sanzioni.
Ma l'Iran ha respinto questa proposta, perché, secondo Stephens, «ha imparato che l'Occidente - e in particolare l'amministrazione Obama - non chiude mai la porta, per quanto stretto possa apparire lo spiraglio diplomatico, e non esige mai un prezzo a fronte di comportamenti sbagliati». «Quello che una volta era considerato un comportamento "deviante" da parte di Teheran - incitare alla cancellazione di Israele dalla carta geografica; arricchire uranio in violazione delle risoluzioni Onu; diventare una potenza nucleare - è visto in modo crescente come qualcosa di normale, o comprensibile, o inevitabile».
«In qualsiasi modo l'amministrazione Usa reagisca all'accordo di ieri - osserva l'editorialista del WSJ - l'Iran si è garantito che il Consiglio di Sicurezza, in cui attualmente siedono anche Turchia e Brasile, non approverà nuove sanzioni. Quelle sanzioni che non sarebbero state particolarmente efficaci, ma come minino avrebbero isolato l'Iran e generato un consenso globale» contro il suo programma nucleare. «Ora sembra che i sostenitori dell'"engagement" nell'amministrazione Obama falliranno laddove gli unilateralisti nell'amministrazione Bush riuscirono per tre volte». E sarà dura per gli Stati Uniti, riflette Stephens, spiegare come mai non ha più senso un accordo che non hanno mai ritirato dal tavolo. «La risposta, ovviamente, è che quell'accordo non ha mai avuto molto senso, ma ne ha ancor meno oggi che l'Iran ha arricchito diverse centinaia di chili di uranio in più e lo sta arricchendo ad una velocità di 78 chili al mese, molto maggiore di quanto fosse in grado l'anno scorso».
In una recente analisi per il Nonproliferation Policy Education Center, Gregory Jones osserva che «l'Iran potrebbe avere abbastanza uranio a basso arricchimento da processare in modo da renderlo utilizzabile per scopi militari verso la fine di luglio e quindi potrebbe produrre quell'uranio altamente arricchito di cui ha bisogno per metà novembre». «Con l'ipocrita trionfo della diplomazia di ieri, in realtà ogni speranza di un esito diplomatico è svanita. E sul suo più decisivo test di politica estera, l'amministrazione Obama ha perso il controllo del corso degli eventi. O l'Iran - conclude Stephens - diventerà una potenza nucleare, o sarà fermato da un'azione militare. O una guerra, dunque, o una fase di proliferazione nucleare in Medio Oriente. L'amministazione si illude di poter contenere tutto questo - le ambizioni iraniane, le insicurezze arabe, la preoccupazione di Israele per la propria esistenza - attraverso una diplomazia più astuta. Ma i precedenti non ispirano molta fiducia».
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