In un commento apparso sul sito Libertiamo, con molta onestà intellettuale Giuliano Cazzola, deputato del Pdl e vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, riconosce che, ad un esame «attento e disincantato», il «principale limite» della manovra è «una prudenza forse eccessiva». Gli altri Paesi europei, osserva, preparano «manovre più pesanti di parecchi miliardi e di più lunga prospettiva della nostra, nonostante i loro saldi di finanza pubblica siano assai migliori di quelli italiani. Di questo argomento - aggiunge Cazzola - ci serviamo per contrastare le accuse che ci rivolge l'opposizione, sapendo che essa non ci chiederà mai una maggiore severità, perché, ancora una volta, preferirà dare libero sfogo alla subcultura della protesta piuttosto che alimentare i primi vagiti di una prassi di governo».
Ma anche Cazzola ravvisa un problema di mancanza di ambizioni nella manovra e «in coscienza» pone al governo e alla maggioranza questa domanda: «Perché invece di puntare, in un tempo più lungo al pareggio di bilancio, ci accontentiamo di un deficit appena sotto il 3% tra due anni? Il fatto - è la sua risposta - è che noi siamo il Paese delle mezze misure. Non perché non sappiamo agire meglio, ma perché non possiamo fare altro: il sistema Italia non ce lo consente. Quando un governo - è la sua riflessione - tenta di risanare la situazione (soprattutto se è un esecutivo di centrodestra) deve mettere in conto un'ostilità ancor più determinata e preconcetta di quella di cui è normalmente oggetto. Gli interessi colpiti si rivoltano come ricci porcospini. E trovano ovunque sostenitori».
Cazzola cita l'esempio dei tagli ai trasferimenti agli enti locali, sottolineando come nessuno ricordi che «la spesa locale è aumentata dell'80% in un decennio, a fronte di un incremento del 38% di quella centrale», e che «quando si parla di sprechi ci si riferisce di solito a quelli delle amministrazioni statali, come se i Comuni, le Province e le Regioni fossero dei preclari esempi di civiche virtù e dei grandi fornitori di qualificati servizi ai cittadini». Si poteva tagliare di più, quindi, intervenire più in profondità nella struttura della spesa, ma il «sistema Italia» non lo avrebbe consentito. Giulio Tremonti «ha fatto il possibile» e «lo ha fatto nel migliore dei modi. Non è colpa del ministro dell'Economia (Dio ce lo conservi!) - conclude Cazzola - se alla classe dirigente del Paese manca una "visione" condivisa (dubito anche dell'esistenza di più "visioni") del futuro e del possibile ruolo dell'Italia».
E' condivisibile l'analisi di Cazzola, ma a chi è al governo e ha avuto i voti della maggioranza dei cittadini spetta il dovere di provarci, anche contro "il sistema", ha il dovere di continuare a coltivare ambizioni alte come l'abbattimento, e non solo il contenimento, del debito, e il taglio delle tasse, oltre al premio di consolazione di non aumentarle. Siamo ad un tema che più volte abbiamo discusso su questo blog: il centrodestra si accontenta di gestire l'esistente senza dissanguare ancor di più il Paese, guida la macchina Italia più prudentemente, mentre i governi di centrosinistra accelerano. Ma in fondo alla strada c'è il declino e nessuno riesce a invertire la rotta.
Un altro commento, quello di Oscar Giannino di ieri sera, prende di mira le «classi dirigenti», avvertendo che sono tali «non sono solo quelle politiche», ma anche «accademia e cultura, sindacato e professioni, banche e imprese, alta amministrazione e magistrati». Con le importanti eccezioni di Confindustria, banche, Cisl e Uil, nota una «inconsapevolezza diffusa» del fatto che «da qualche mese siamo entrati in un nuovo capitolo della grande crisi che ci accompagna dall'estate 2007», quello della «sostenibilità dei debiti pubblici», che ha «indotto Berlusconi e Tremonti a metter mano alla manovra correttiva».
Negli ultimi tre mesi i mercati hanno segnalato con forza che la prospettiva degli attuali debiti pubblici nei Paesi industrializzati è «insostenibile». «E' la consapevolezza di questo mondo nuovo - osserva Giannino - che scopre il bluff di sistemi sociali minati dal troppo debito accollato anche per via della crisi alle spalle delle prossime generazioni, ciò che molti stentano ancora a capire, continuando a ragionare come se tutto il mondo avanzato continuasse a vivere nel mondo di ieri. E' questa l'unica, grande, nuova e profonda consapevolezza che tutte le classi dirigenti dovrebbero condividere. Ed è esclusivamente alla luce di tale consapevolezza, che vanno commisurati i tre criteri fondamentali della manovra correttiva».
Riguardo il primo, Giannino nota che i tagli al deficit e alla spesa sono minori di quelli di Francia e Spagna e più o meno equivalenti a quelli tedeschi (anche se non siamo la Germania), ma sottolinea che le categorie che protestano ce l'hanno con i tagli che le riguardano, mentre «una classe dirigente consapevole» dovrebbe protestare contro i rinvii degli aumenti ai dipendenti pubblici o la sospensione delle prossime finestre previdenziali, misure che «non mettono ancora mano strutturalmente alle determinanti delle maggiori voci di spesa pubblica, quella per il welfare al 24% del Pil, quella previdenziale al 16%, quella in retribuzioni pubbliche all'11%». E anche lui come Cazzola ricorda che «nel decennio alle nostre spalle la spesa corrente centrale è cresciuta del 38%, quella locale di quasi l'80%», per cui le resistenze dei politici locali appaiono «desolanti».
Sul secondo criterio, quello delle entrate, Giannino giudica le misure anti-evasione «durissime» (con l'obiettivo di passare dagli oltre 9 miliardi concretamente recuperati nel 2009 - rispetto ai 6,4 di due anni prima sotto il centrosinistra - a 11 miliardi nel 2011, a 24 nel 2012), osserva che tra i 100 euro (Prodi-Visco) e i 5 mila euro (Berlusconi-Tremonti) come soglia per la tracciabilità c'è una bella differenza, ma obietta giustamente che senza meno tasse non è certo un bel vedere e che la tassa anti-Caltagirone è un «orrore». Ma soprattutto, Giannino ricorda qualcosa cui ci associamo, e cioè che «maggioranza e governo hanno un contratto con gli italiani: le tasse su lavoro e impresa devono scendere, e di parecchio, di qui a tre anni. Ed è per questo che occorre tagliare tanta altra spesa pubblica in più». Infine, il terzo criterio, la «credibilità». Le misure, avverte Giannino, per convincere i mercati dovranno essere attuate senza tentennamenti: «Siamo solo all'inizio di una lunga revisione del modello europeo, l'area del mondo che per via del suo Stato cresce meno».
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