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Monday, May 10, 2010

Psicodramma europeo

I veri "untori" e parassiti sono i politici

Il solito vecchio film: la stessa trama, i soliti colpevoli. Gli speculatori, cui si sono aggiunte come guest star le agenzie di rating. Contro questi moderni "untori" si sono scagliati i leader e i media europei in questi giorni definiti «drammatici» per la tenuta dell'Eurozona, nel tentativo di occultare le loro tremende responsabilità, individualmente come capi di Stato e di governo nei loro Paesi e collettivamente come Unione (si fa per dire) europea.

Ci sta che alcune agenzie di rating che hanno fallito nel recente passato, ora con troppo zelo cerchino di recuperare credibilità, provocando forse più allarmismo del dovuto. Ma prendersela con esse per la reazione dei mercati alla situazione debitoria di alcuni Paesi europei, che per altro può essere verificata da chiunque senza alcun particolare "rating", è ridicolo. E particolarmente risibile l'idea di un'agenzia di rating europea, avanzata la scorsa settimana dal commissario Ue ai servizi finanziari, guarda caso un francese, che accusa quelle attuali di essere troppo poche, colluse, e naturalmente troppo "amerikane". Credo (non sono un esperto, quindi chiedo lumi) che nulla vieti l'emergere di nuove agenzie di rating, che sia solo una questione di autorevolezza riconosciuta dai mercati, ma come giustamente fa notare Perotti, sabato sul Sole, quale credibilità potrebbe avere un'agenzia di rating europea - magari con sede a Parigi e Bruxelles e diretta emanazione dei governi europei - nel valutare i titoli di Stato dei Paesi Ue?

Gli speculatori sono stati naturalmente indicati negli investitori e nei media anglosassoni, contro cui qualcuno pensa di mobilitare addirittura i servizi segreti. Occhi puntati in particolare sui fondi Usa e asiatici (e perché non arabi?), in un già visto, già sentito, di complotti "demo-plutocratici" e pericolo "giallo" che sanno di ideologie e razzismi vecchi e nuovi. Insomma, va in scena il solito film. Ma non c'è una spectre all'azione, altro che complotto... Sta accadendo ciò che era ampiamente prevedibile: avete voluto affrontare la crisi economica aumentando deficit e debito? Bene, ora si avvicina il momento di pagare il conto, perché le banconote non crescono sugli alberi. E per onestà i politici, le classi dirigenti dei nostri Paesi, dovrebbero spiegarlo ai cittadini, non agitare l'alibi degli avidi speculatori. Uno dei pochi che timidamente si è defilato, l'altro giorno alla Camera, è il ministro Tremonti, bisogna dargliene atto, che da tempo parla di una crisi che si sposta dai debiti privati ai debiti pubblici e inaspettatamente non si unisce al coro contro gli speculatori, ma ammonisce: «Se c'è la forza di una visione comune per capire che la speculazione è solo una parte del problema, credo che ci siano ragioni per essere fortemente ottimisti».

Se, appunto. Perché il problema è altrove e speriamo che passata la tempesta i leader europei se ne ricordino e non tornino nello stato di beato far niente delle settimane scorse. E' vero che se i governi greci non avessero "barato", probabilmente i mercati avrebbero concesso ulteriore tempo ai Paesi europei prima di suonare la sveglia. Ma parlare di speculazione serve solo ai politici per allontare da sé le proprie responsabilità. Che idea hanno degli investitori? Di gente che regala i propri soldi? Se vi accorgete che un investimento è sempre più rischioso, che è meno certo che uno Stato o un qualsiasi debitore riesca a ripagarvi la somma prestata, che fate, non acquistate titoli più sicuri, o non chiedete più interessi? Il problema sta nel debitore, non nel creditore che cambia investimento e decide di non rifinanziare il suo debitore. Nelle famiglie normali quando si spende più di quanto entra, si tagliano le spese non ci si indebita ancora di più. Perché invece i politici continuano a spendere? Ovvio: per accattivarsi il consenso del proprio elettorato.

Ma il problema non è solo il debito, è anche la crescita: bisogna rimboccarsi le maniche, e non stampare moneta, se vogliamo mantenere i nostri standard di benessere. In questi dieci anni l'Europa non si è quasi preoccupata di promuovere la produttività dei suoi stati membri, costringendoli a realizzare le riforme strutturali che tutti sanno essere indispensabili, ma non è riuscita neanche a far rispettare il Patto di Stabilità, che anzi ultimamente, con la crisi, è stato del tutto travolto. Concentrandosi solo sui saldi di bilancio e non anche sulla crescita, alla fine non è riuscita a mantenere solidi gli uni, né a promuovere l'altra. Non essendo riuscita a far rispettare i parametri di Maastricht attuali, non si vede quale credibilità potrà avere un nuovo patto.

Gli investitori non si accaniscono sulla Grecia e sugli altri soci deboli dell'Ue per chissà quale complotto o avidità, ma perché diffidano della sostenibilità negli anni avvenire di debiti pubblici crescenti. Ma come fa notare oggi anche Giavazzi sul Corriere, se fosse solo questo «i mercati non si preoccuperebbero solo di Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche di Gran Bretagna e Stati Uniti, che invece non hanno alcuna difficoltà a finanziarsi». Si tratta certo di deficit e debito troppo elevati, ma per di più accompagnati a bassi tassi di crescita e scarsa competitività. Ed una razionale allocazione delle risorse è buona, non cattiva "speculazione".

Per rendere sostenibili quei debiti occorrono risparmi privati ed esportazioni, su cui per fortuna l'Italia è messa meglio di altri, ma anche tassi di crescita sostenuti, produttività, redditi, su cui purtroppo siamo carenti. E' stato senz'altro un bene che il governo - e bisogna riconoscere questo a Tremonti - abbia affrontato la crisi senza abbandonarsi alle pazze spese come suggeriva l'opposizione (e tra l'altro l'effetto dei pacchetti di stimolo dove sono stati più generosi si è rivelato comunque modesto), ma ora occorrono urgentemente quelle riforme strutturali (fisco, pensioni, mercato del lavoro e ammortizzatori) in grado di alleggerire il cavallo della nostra economia in modo che possa tornare a correre. La sfida dev'essere quella di agganciarci alla Germania. Le misure emergenziali assunte dai leader europei, in collaborazione con gli Usa, possono funzionare, a patto però che si riconosca la vera causa di quanto sta accadendo: non la speculazione, ma debito elevato ed economie poco dinamiche.

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