L'ipotesi di elezioni anticipate entro l'anno (a novembre) appare definitivamente tramontata dopo l'incontro Berlusconi-Bossi di mercoledì. Quindi Fini (ma seppure in modo diverso anche Casini) potrà continuare nella sua opera di logoramento di Berlusconi e del Pdl. Ma ricapitoliamo per quanti tornassero solo ora dalle vacanze: dopo lo strappo di luglio e la costituzione di gruppi parlamentari autonomi da parte del presidente della Camera, da tempo preparata e minacciata (aspettavano solo un pretesto, offerto da una inutile nota dell'ufficio di presidenza del Pdl), Fini e i suoi si sono spaventati di fronte alla prospettiva di un ritorno alle urne, tornando a garantire al governo massima lealtà sul programma fino al termine della legislatura. Anche se poi, come ha onestamente avvertito Bocchino, nel merito dei provvedimenti si vedrà nelle commissioni. Tireranno al massimo la corda, cercando di fermarsi un attimo prima che si strappi.
A lungo si è polemizzato su governi tecnici, ribaltoni e prerogative del capo dello Stato, ma al momento (ripeto: al momento) senza Pdl e Lega non ci sono numeri al Senato per maggioranze alternative, quindi Berlusconi e Bossi avrebbero gioco relativamente facile, nell'eventualità di crisi e consultazioni al Quirinale, a ottenere da Napolitano lo scioglimento delle Camere. Ma una crisi nasconde sempre insidie e tornare al voto è sempre un'incognita. Non perché appaiano particolarmente floride le prospettive elettorali di un partito di Fini o di un eventuale "Terzo Polo" (alle prese con sbarramenti proibitivi al Senato), o perché sia scontato che Berlusconi non riconquisterebbe una maggioranza al Senato, ma perché la Lega gratterebbe molti seggi al Pdl al nord e l'impressione è che in generale i cittadini non gradiscano essere richiamati ad esprimersi dopo soli due anni.
Quindi Berlusconi cerca altre strade per puntellare la maggioranza. Ha pensato e pensa all'Udc di Casini. In effetti, sostituire Fini con Casini non ha senso, è una scemenza, ma non per le ragioni dei finiani, piuttosto per i motivi espressi molto efficacemente da Bossi e su cui torniamo brevemente. Innanzitutto, Pier esigerebbe l'apertura di una crisi formale (e non scommetterei sul suo esito), ma soprattutto, pur essendo rivali, l'obiettivo di Fini e Casini è identico: liberarsi di Berlusconi e porsi alla guida di un nuovo centrodestra. La retorica centrista della "responsabilità nazionale" è fuffa, un minuto dopo che gli fosse data la possibilità di essere decisivi per la tenuta della maggioranza, comincerebbero a esercitare il potere di ricatto che gli è stato concesso al fine di logorare Berlusconi e mostrarsi unici oppositori della Lega. Risultato? La palude.
Alla fine Berlusconi e Bossi hanno convenuto per la strategia che sembra avere più senso: proseguire con l'attuale maggioranza, dopo la verifica sui cinque punti programmatici, e vedere cosa succede, cioè se i finiani si assumeranno mai la responsabilità di portare il Paese al voto anticipato. Anche a patto di interpretarla correttamente, anche questa non è una strada priva di insidie. L'unica arma che Berlusconi ha per sfuggire al logoramento (più facile a dirsi che a farsi) - che di certo dopo il voto di fiducia riprenderà nelle commissioni, in aula, sui giornali e sulle tv - è portare in Parlamento riforme il più possibile di alto profilo, non accettare trattative al ribasso come sul ddl intercettazioni, e quindi rendere politicamente costoso per i finiani sia accettare provvedimenti a loro sgraditi, sia far cadere un governo che cerca di "fare", di cambiare davvero il Paese. Se le riforme passano, per convinzione o per paura delle urne da parte dei finiani (o di Casini o di Rutelli che potrebbero tappare alcuni buchi), tanto meglio per il governo (e per il Paese); se non passano, sarà crisi e voto, ma facendone ricadere la responsabilità su chi si sarà dissociato dalla maggioranza che ha ricevuto il consenso per governare.
Ma ci sono insidie non da poco. Primo, perché portare in Parlamento riforme di alto profilo, ambiziose, organiche e qualificanti, per le quali valga la pena anche immolarsi, e sostenerle fino in fondo rimanendo compatti (soprattutto se singoli parlamentari cominceranno a sentirsi determinanti), non sarà facile. In questi primi due anni il governo non c'è riuscito, il suo profilo riformatore è stato deludente, quindi dovrà cambiare passo. Secondo, perché nel frattempo continuerà a diffondersi l'immagine di una maggioranza instabile e litigiosa (di per sé una sconfitta per Berlusconi, anche se gli elettori dovessero individuarne la causa nelle bizze di Fini), l'opinione pubblica potrebbe spazientirsi di entrambi i litiganti, e il disegno del ribaltone coltivato a sinistra potrebbe da un momento all'altro trovare i numeri di cui necessita, magari aiutato da qualche altra campagna mediatico-giudiziaria, dalle sentenze della Consulta (in arrivo a dicembre quella sul legittimo impedimento) e di Milano. Va detto che nonostante ci tenga a difendere le sue prerogative, spesso anche travalicando il ruolo che gli compete, Napolitano difficilmente avallerà governi non sostenuti anche da Pdl e Lega, ma potrebbe essere tentato da un esecutivo tecnico di pochi mesi (tre), giusto il tempo di cambiare la legge elettorale.
Insomma, oltre che sperare in una "bomba" che costringa Fini alle dimissioni ingloriose (improbabile ma non da escludere), Berlusconi può solo dimostrare agli italiani di rappresentare davvero il "governo del fare", concentrare l'azione di governo, e indirizzare il dibattito nel Paese, su riforme storiche. Ma se passa il tempo a farsi logorare, minacciando le urne, i rischi crescono e le condizioni per liberarsi di lui potrebbero materializzarsi. E' ciò in cui sperano - ciascuno a proprio modo e coltivando i propri disegni - Fini e gli altri.
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