Altro intervento improvvido - sia pure indiretto, tramite Corriere della Sera - del presidente della Repubblica. Al Quirinale quest'estate deve aver fatto molto più caldo che nel resto della città. Napolitano avverte di essere intenzionato, in caso di crisi di governo, a verificare non solo se in Parlamento esista ancora la maggioranza, ma se esistano altre maggioranze - anche diverse da quella uscita dalle urne nel 2008, pare quindi di capire, sempre leggendo il Corriere. Nell'articolo si riferisce inoltre dell'insofferenza del Colle nei confronti del dibattito agostano sui suoi poteri di scioglimento, su costituzione formale e "materiale", attribuendo al capo dello Stato espressioni molto poco "istituzionali", come «improvvisati costituzionalisti», «florilegio di sciocchezze», interpretazioni «fantasmagoriche», all'indirizzo di quanti hanno sostenuto semplicemente la tesi di un ritorno immediato al voto in caso venga meno la maggioranza uscita dalle urne. Una posizione comunque non meno legittima delle altre, anche considerando che spesso è stata espressa da chi verrebbe comunque consultato al Quirinale in caso di crisi. Il presidente, fa sapere il Corriere, rifiuta il ruolo di semplice «notaio» e «passacarte», pronto a sciogliere «quando gli viene detto».
Va bene, ma a prescindere dal merito delle prerogative del capo dello Stato, e a prescindere da cosa sia legittimo e politicamente opportuno fare in caso di di crisi, anticipando le sue intenzioni Napolitano interferisce indebitamente nelle dinamiche politiche, rischia di destabilizzare il governo, perché contribuisce di fatto ad alimentare speculazioni, speranze e disegni politici coltivati nelle ultime settimane dai partiti di opposizione, svestendo i suoi panni di arbitro. Facendo intendere infatti che sarebbe disposto ad avallare certe soluzioni, nel momento in cui si creassero le condizioni, incoraggia di fatto chi lavora a queste soluzioni e al verificarsi di quelle condizioni. Si comporta in modo scorretto nei confronti di una istituzione, il governo in carica, gioca un ruolo politico che senz'altro non gli compete. Se non vuole essere, comprensibilmente dal suo punto di vista, il «passacarte» di chi vorrebbe tornare alle urne in caso di crisi, non deve però trasformarsi neanche nel «passacarte» de facto di chi cerca il "ribaltone". Ma è esattamente il gioco di questi ultimi che sta facendo con le sue uscite, prima a l'Unità e oggi al Corriere.
E a Cicchitto e Calderisi, autori di un intervento sulle pagine del Corriere per sostenere la tesi del voto anticipato per rispettare la sovranità popolare, Napolitano avrebbe inviato un testo «a suo giudizio illuminante», il «Bill Cameron-Clegg», su come anche «nel Paese della democrazia liberale per eccellenza» la sovranità popolare possa essere rispettata introducendo «variazioni in grado di disciplinarla». Si tratta di un accordo politico stipulato nel Regno Unito tra il leader conservatore e quello liberaldemocratico (trasformato in un disegno di legge ma non ancora approvato in via definitiva), per stabilire la durata della legislatura e le modalità per chiuderla in anticipo, ove ciò si rendesse inevitabile.
L'accordo fissa già al primo giovedì di maggio del 2015 la data delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento, garantendo così al Paese un impegno di stabilità. Se prima di quella data però il governo dovesse subire una mozione di sfiducia, ciò non porterebbe all'automatico scioglimento delle Camere. Ci sarebbero ancora 14 giorni di tempo per formare un'altra maggioranza e soltanto se fallisse quest'ultimo tentativo si andrebbe ad elezioni anticipate.
Non so da chi sia consigliato Napolitano, ma mi sembra un esempio davvero poco azzeccato. Va ricordato infatti che a differenza che in Italia nel 2008, dove dalle urne la coalizione formata da Pdl, Lega ed Mpa, con candidato premier Berlusconi, è uscita con una maggioranza assoluta, grazie ai premi, sia alla Camera che al Senato, quest'anno nel Regno Unito nessuno dei tre partiti dei candidati premier ha raggiunto la maggioranza assoluta. Ciò ha reso necessario un governo di coalizione tra il partito di maggioranza relativa, i Tories, e il terzo partito, i Lib-dem, e sarebbe comunque difficilmente immaginabile al suo posto un governo "degli sconfitti", che vedesse cioè entrare a Downing Street i Laburisti al posto dei Tories senza prima ripassare per le urne. E' esattamente questo, invece, ciò che si sta ipotizzando in Italia, un governo "tecnico" o "di transizione" che escluda Pdl e Lega e che, tra l'altro, riformi la legge elettorale. Se Cameron avesse ottenuto, come Berlusconi, la maggioranza assoluta, il problema non si sarebbe neanche posto e il potere di scioglimento sarebbe rimasto al premier.
Ripeto inoltre che la "costituzione materiale" non c'entra nulla. A prescindere dall'evoluzione in senso bipolare e maggioritario del nostro sistema politico, se in caso di crisi Pdl e Lega sono per andare alle urne, si dovrebbe andare alle urne, sono la costituzione scritta e la prassi di oltre 60 anni di vita repubblicana, oltre che il banale rispetto della sovranità popolare, a suggerirlo. Il presidente non se la prenda, ma nella Prima Repubblica - quando le coalizioni di governo nascevano solo dopo e a seguito del voto, e non si presentavano dinanzi agli elettori prima - i suoi predecessori erano «notai» e «passacarte» della volontà dei partiti di maggioranza. In caso di crisi di governo, se la Dc e gli alleati volevano e ed erano in grado, si formava un altro governo, ma in caso contrario si andava ad elezioni anticipate. Nessun presidente ha mai pensato di poter proseguire la legislatura con un'altra maggioranza in Parlamento, composta da comunisti e alcuni democristiani fuoriusciti dal loro partito.
Non è mai accaduto che dopo una crisi i partiti di maggioranza si siano ritrovati marginalizzati all'opposizione e quelli dell'opposizione al governo. L'unica eccezione è forse quella del governo Dini, per la quale infatti è stato coniato il termine "ribaltone". Ma persino in quella occasione si tentò quanto meno di salvare la forma, rispetto alle ipotesi che si sentono circolare in questi giorni: l'iniziale via libera di Berlusconi (dietro garanzia di Scalfaro che si sarebbe presto tornati alle urne), il voto di fiducia della Lega Nord, e il fatto non secondario che il presidente del Consiglio incaricato era una figura di primo piano del governo Berlusconi I (l'allora ministro del Tesoro Dini). Insomma, è semplice: in caso di crisi, nuovi governi sono legittimi, ma non ribaltoni.
1 comment:
Condivido assolutamente, è solo il banale rispetto della volontà popolare a imporlo. Niente altro.
E' che questa nuova, recentissima abitudine del Quirinale di far "filtrare" ufficiosamente ed ambiguamente cosa pensi il Presidente tramite il Corriere, in un sottile miscuglio di virgolettati e opinioni giornalistiche, così da non fare ben capire quali siano le opinioni dell'uno e dell'altro, mi sembra davvero incredibile. Sarebbe ora che in un momento così delicato il Presidente facesse parlare correttamente i chiari comunicati stampa, se ritiene di aver qualcosa di importante da dire e la smettesse di lasciar "trasparire" attraverso colloqui informali le sue pur rispettabilissime opinioni politiche.
Per il resto non sono una costituzionalista, ma quattro conti me li sono fatti. E anche con l'eventuale lodo Cameron-Clegg operante, mi sembra, che significherebbe proprio il contrario di quello che vanno dicendo.
Il quirinalista, nel raccontarcelo, ha solo messo tra parentesi la parte più importante della proposta non ancora approvata. La sfiducia, in ogni caso: "dovrebbe comunque essere approvata da almeno due terzi dei membri del Parlamento".
Che significa, per esempio, per poter sfiduciare il Premier, avere la bellezza di 420 deputati alla Camera e 210 al Senato, tanto per capire. Non la decina di deputati che oggi un'eventuale maggioranza alternativa (quell'alleanza per la democrazia che comprenderebbe dai finiani all'Idv) avrebbe o la stessa decina di deputati, che come trionfalmente hanno annunciato loro, basta oggi ai finiani per detenere "la golden share" del governo.
Cioè oggi in Italia (con i soli 298 deputati che oggi hanno Pdl+Lega) le dimissioni del premier, anche con l'applicazione ulteriore del lodo «Bill Cameron-Clegg», porterebbero comunque all'immediato scioglimento del parlamento e a nuove elezioni, Napolitano o non Napolitano. Altro che 14 giorni e ultimo tentativo. Mi pare.
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