Sulla vicenda Fiat-Fiom la politica continua a restare alla finestra. Al massimo sa andare in curva, si divide tra chi tifa per la Fiom e chi per la Fiat, ma quanto a interventi legislativi volti a riformare la contrattazione e lo statuto dei lavoratori per modernizzare i rapporti di lavoro dando ossigeno alla nostra economia, nulla si muove e nessuno si esprime. Il superamento di vecchie logiche e di vecchi contratti è lasciato alle buone intenzioni e agli sforzi, inevitabilmente insufficienti, delle singole parti. Che per lo più stanno agendo in modo responsabile (come Confindustria, Cisl, Uil e Fiat), ma non manca chi, come Cgil e Fiom, prosegue nelle sue battaglie ideologiche sulla pelle dei lavoratori, quelli veri, potendo avvalersi di una sintonia politica con la quasi totalità dei magistrati del lavoro.
Il presidente Napolitano ha perso un'altra buona occasione per tacere. Offrendo un'improvvida sponda agli operai della Fiat di Melfi licenziati e reintegrati (in teoria, dovrebbe essere rispettata la sentenza del giudice, dal momento che la Fiat, consentendo loro l'attività sindacale in azienda, ha rimosso il comportamento giudicato antisindacale), mostra di non aver capito nulla di cosa ci sia in gioco: sulla base dell'accordo di Pomigliano l'azienda e i sindacati stanno trattando per il ritorno in Italia di produzioni delocalizzate. Ma se si tollera che durante uno sciopero a cui aderiscono in poche decine su 1.750, tre operai blocchino la produzione non permettendo agli altri di lavorare, se cioè si tollera che lavoratori e sindacati del tutto minoritari possano sabotare accordi e produzione, allora Fiat potrebbe decidere di andarsene a produrre all'estero. E se persino Fiat non rimane in Italia, perché dovrebbero rimanervi, o arrivarvi, imprese straniere? Il messaggio che questa vicenda sta mandando al mondo intero è: non investite in Italia. E ci rimettiamo tutti, signor presidente, dando l'impressione di un Paese in cui prevale una cultura anti-impresa.
E quando la battaglia si fa dura, quando si arriva al dunque delle questioni, non c'è più spazio per "terzismi" e riformismi da salotti televisivi. E così Ichino e Treu gettano la maschera di "riformisti", criticando Fiat. La Chiesa parla addirittura di «errore etico» e «diritti della persona negati», mentre tutta l'ipocrisia e l'imbarazzo del Pd nell'appello di Bersani all'azienda, e non alla Fiom, la prima a ricorrere alle carte bollate. Il ministro Matteoli è stato il primo del governo a pronunciarsi, e malamente come spesso gli capita, mentre la Gelmini e Capezzone sono stati finora gli unici a schierarsi senza se e senza ma con Marchionne. E a mostrare una certa insofferenza per l'intervento di Napolitano è il segretario della Uil Angeletti, che fa notare - e questo la dovrebbe dire lunga - che non c'è alcuno sciopero in corso a Melfi. Insomma, la Fiom e i tre reintegrati sono del tutto isolati anche tra i lavoratori e i sindacati.
1 comment:
se rinasco, voglio fare il "dipendente".
più pubblico che privato ma va bene pure la seconda che ho detto.
io ero tzunami
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