Se volete invece conoscere le intenzioni dei finiani, seguite Bocchino, che non le nasconde e conferma la linea del logoramento: sì alla fiducia sui cinque punti, ma poi nel merito si vedrà nelle commissioni. Fini e i suoi pensano di logorare Berlusconi come si faceva durante la "Prima Repubblica", quando il presidente del Consiglio in carica era costretto dalle correnti avversarie all'interno della Dc ad un gioco estenuante di mediazioni sull'azione di governo e sulle poltrone. Fino alla caduta, avanti il prossimo e nuovo giro di giostra. Oggi Bocchino se ne è uscito con un altra delle sue, ma davvero molto, molto emblematica.
Vuole salvare Berlusconi dalla «trappola» che starebbero tessendo Bossi e Tremonti, che spingerebbero per andare a elezioni anticipate «il primo per prendersi i voti di Berlusconi e il secondo per prendere il suo posto a Palazzo Chigi». Senza maggioranza al Senato, sarebbe Bossi a «chiedere un passo indietro al Cavaliere, che verrebbe pensionato da quello che ritiene l'alleato più fedele, aprendo così la strada a un governo Tremonti che sarebbe a propulsione leghista e otterrebbe il voto di una maggioranza larghissima» con l'obiettivo di «mandare a casa Berlusconi». Ma Bocchino offre al Cav. la via per salvarsi: allargare la maggioranza ai «partiti di Fini, Casini e Rutelli» e ai «moderati del Pd ormai delusi». Dai numeri, soprattutto a Palazzo Madama, e dalla ben nota contrarietà della Lega al rientro dei centristi, si dedurrebbe che Bocchino stia proponendo di sostituire la Lega con i quattro pezzetti che cita, ma poi precisa di proporre un semplice «allargamento» della maggioranza.
Si tratta di una provocazione indicativa del tipo di rendita di posizione che i finiani si illudono di ricavare con le loro mosse di questi ultimi mesi. Berlusconi costretto a trattare non solo con un alleato su due temi precisi e concreti, ma con minimo altri tre che hanno solo l'obiettivo di logorarlo e che ambiscono a guidare un centrodestra deberlusconizzato e deleghizzato. Insomma, come nella legislatura 2001-2006, solo un po' più vecchi e un po' più frustrati. Ma tra le righe si può anche leggere che il partito Fini lo farà (Bocchino scrive già di «partiti di Fini, Casini e Rutelli») e dedurre che questo delirio sia frutto anche del presidente della Camera, almeno a voler prendere sul serio Bocchino quando parla di «strategia degli uomini del presidente della Camera» che «vanno considerati un tutt'uno con il loro leader».
La verifica di settembre sarà un impegno non da poco per i finiani, che da una parte si trovano a dover esprimere, o a negare, la fiducia per il 95% al programma con il quale si sono presentati agli elettori; dall'altra alla continuità dell'azione di governo rispetto a temi (soprattutto giustizia, immigrazione e sicurezza) su cui in questi mesi hanno espresso apertamente le loro critiche; nonché per il restante 5% al cosiddetto "processo breve", di cui però hanno già approvato la versione uscita dal Senato, e apparirebbe quindi pretestuoso volerla rimettere in discussione alla Camera.
Se poi a settembre daranno vita ad un partito, cadranno anche gli ultimi dubbi sui reali obiettivi di Fini e dei suoi, cioè ricostituire quella rendita di posizione che An e Udc avevano nella Cdl prima dell'avvento del partito unico. E si aggraverebbe ulteriormente l'incompatibilità del ruolo politico che sta giocando Fini nella maggioranza e nei confronti del governo con la carica di presidente della Camera, ruolo che dovrebbe essere di garanzia. Come ha spiegato anche il ministro Brunetta a il Giornale, confessando il «disagio e dolore» che prova dal banco del governo quando Fini presiede le sedute a Montecitorio:
«Il fatto che Fini sia identificato ora come il capo di una nuova area, forse di un partito, non lo rende più garante tra maggioranza e opposizione, ma soprattutto non ne fa più il garante del governo. Da libero pensatore o da segretario politico può far quello che vuole. Ma un presidente della Camera non può essere uomo di parte... Quello che vorrei è che sentisse l'esigenza morale oltre che politica e istituzionale dell'incompatibilità. Non è pensabile che chi siede sul più alto scranno della Camera possa generare il dubbio di utilizzare quel suo ruolo a fini di lotta politica interna o addirittura a fini di logoramento della maggioranza che l'ha eletto. A quel punto, meglio andare al voto senza trucchi e senza inganni, assumendosi ognuno le proprie responsabilità».E se il capo dello Stato avesse davvero avuto a cuore la stabilità del Paese e la tenuta della legislatura, e voluto scongiurare l'ipotesi delle elezioni - che certo non è Berlusconi a volere, sapendo che rappresentano comunque un rischio - avrebbe dovuto chiamare Fini a rispondere del suo uso politico della carica istituzionale che ricopre, fino ad imporgli le dimissioni. Detto questo, credo che sbaglino gli esponenti di centrodestra a insistere sulla cosiddetta "costituzione materiale". A suggerire il ritorno alle urne - in caso di crisi di governo e di indisponibilità di Pdl e Lega a formare nuovi esecutivi - è la costituzione scritta e la prassi di oltre 60 anni di vita repubblicana, a prescindere dall'evoluzione in senso bipolare e maggioritario del nostro sistema politico.
Anche durante la Prima Repubblica, infatti - quando le coalizioni di governo nascevano solo dopo e a seguito del voto, e non si presentavano dinanzi agli elettori prima, e quando nell'arco di una stessa legislatura si susseguivano più governi - la volontà degli elettori è stata sempre rispettata, nel senso che mai dopo una crisi i partiti di maggioranza si sono ritrovati marginalizzati all'opposizione e quelli dell'opposizione al governo. Mai un presidente della Repubblica ha permesso la nascita di un governo sostenuto in Parlamento da una nuova maggioranza che grazie alla fuoriuscita di alcuni deputati e senatori dai loro rispettivi gruppi potesse fare a meno dei partiti che avevano vinto le elezioni. L'unica eccezione è forse quella del governo Dini, per la quale infatti è stato coniato il termine "ribaltone". Ma persino in quella occasione si tentò quanto meno di salvare la forma, rispetto alle ipotesi che si sentono circolare in questi giorni: l'iniziale via libera di Berlusconi (dietro garanzia di Scalfaro che si sarebbe presto tornati alle urne), il voto di fiducia della Lega Nord, e il fatto non secondario che il presidente del Consiglio incaricato era una figura di primo piano del governo Berlusconi I (l'allora ministro del Tesoro Dini).
UPDATE ore 19:44
Un sempre più ridicolo Bocchino costretto a ben due precisazioni nell'arco di poche ore. La prima per correggere il tiro: non di una sostituzione della Lega con i centristi si tratterebbe ma di un «democratico allargamento della maggioranza»; la seconda, da cui fa sparire il riferimento ai «moderati del Pd ormai delusi», resa necessaria dalla netta dissociazione di tre finiani (Moffa, Viespoli e Menia).
3 comments:
intanto il risultato l'hanno ottenuto. mettere la pulce nell'orecchio del nano. che ormai non sa più di chi fidarsi.
JL
E\ difficile poter distinguere tra realta' e una commedia dell'assurdo. Circa 15 milioni di elettori giocati da un gruppetto di irresponsabili che tra i loro ispiratori vantano Giamburrasca e non e' una battuta. E\ vero, Fini ha un solo dovere da compiere, dimettersi, non prima pero' di aver chirito come ha gestito la tesoreria di AN.
L'anonimo di prima: Rita
www.klamha.net
:-)
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