Dalla minaccia di costituire gruppi autonomi a quella di dar vita ad una "corrente", poi via via sfumata in componente o area politico-culturale, fino all'idea di un seminario programmatico. Sta tutta qui la retromarcia di Fini nell'arco di una settimana. Se fin dall'inizio avesse proposto a Berlusconi un "grande convegno" programmatico per «rafforzare» il partito nelle sue politiche, probabilmente la sua richiesta sarebbe stata accolta più che favorevolmente. E ieri, durante la riunione con i suoi 'fedelissimi' nella Sala Tatarella di Montecitorio, per l'occasione ancora off limits per i giornalisti, pare che qualcuno l'abbia fatto notare: «Valeva la pena fare tutto questo per ritrovarci a rinculare così».
La verità è che Fini non si accontenta certo di un seminario, si tratta di un evidente ripiegamento tattico. Non sono mutate le ragioni di fondo che lo allontanano sempre più da Berlusconi e che lo hanno indotto ad andare vicinissimo alla rottura definitiva. E' piuttosto una questione di opportunità politica, di realpolitik. Da un lato, come osserva Massimo Franco sul Corriere, quello dei 'finiani' è un «gruppo ripiegato su se stesso», «più debole e disomogeneo di quanto si pensasse». La maggior parte non è ancora pronta - ammesso che lo sarà mai - a seguirlo su una linea battagliera. Dall'altro, Fini comprende che l'immagine del guastatore nuoce alla sua immagine di sobrietà e rischia di alienargli ancora più simpatie tra gli elettori di centrodestra. Inoltre, teme giustamente la reazione di Berlusconi e di Umberto Bossi. Fini vuole evitare a tutti i costi di prestare il fianco a critiche ed accuse di sabotaggio dell'agenda di governo e si mostra preoccupato di non tirare troppo una corda spezzata la quale potrebbe materializzarsi lo spettro di elezioni anticipate.
Da qui l'esigenza di una messa a punto della linea, soprattutto ad uso e consumo di chi andrà in tv o farà dichiarazioni, ma anche in vista dei prossimi delicati passaggi parlamentari, a partire dal ddl intercettazioni, su cui Berlusconi e la maggioranza del Pdl, ma anche Bossi e i leghisti, aspettano al varco i "finiani". Dunque, «assoluta lealtà» alla maggioranza e al governo e massimo «rispetto» per il programma elettorale: «Tutti voi avete capito che non è in discussione la permanenza nel Pdl e nella maggioranza». «Siamo per un federalismo attento alla coesione sociale e all'identità nazionale, per la legalità, per il rinnovo delle classi dirigenti». Niente fughe in avanti, dunque, né sgambetti nei lavori parlamentari (sul ddl intercettazioni, per esempio). Sono queste le indicazioni trapelate dall'incontro di ieri. A proposito, immigrazione e cittadinanza, così come i temi etici, sembrano essere stati riposti momentaneamente nel cassetto per far posto a parole d'ordine più paganti (e più familiari per Fini e i "suoi") come destra e Sud.
La credibilità della linea "lealtà senza acquiescenza" si gioca su un delicatissimo equilibrio per quella che deve rimanere un'"area politico-culturale di minoranza" e non dare l'impressione di essere una corrente stile Prima Repubblica. Da qui l'idea di sotterrare (per il momento?) l'ascia di guerra e promuovere invece un più "costruttivo" convegno programmatico. Resta inoltre la contraddizione, sempre più evidente, del doppio ruolo giocato da Fini, presidente della Camera e allo stesso tempo leader di una minoranza organizzata interna al Pdl, che potrebbe divenire insostenibile se il clima dovesse surriscaldarsi troppo.
Berlusconi e Bossi restano alla finestra. Soprattutto il primo non ha interesse a cercare lo scontro, a maggior ragione se Fini dà garanzie di lealtà e rispetto del programma. Ma la posizione dei due leader è chiara: se in qualche modo al governo verrà impedito di governare e alle riforme - innanzitutto, il federalismo fiscale - di procedere, la strada non può essere che quella del ritorno alle urne. No alla paralisi, né a ipotesi "ribaltoniste". Davvero una componente finiana nel Pdl, come ha sempre sostenuto Giuliano Ferrara, può non essere un «dramma», a patto però che non si trasformi in una corrente di logoramento e di guerriglia in Parlamento. Cosa che forse non avverrà subito, ma personalmente credo che prima o poi lo sarà.
2 comments:
"Davvero una componente finiana nel Pdl, come ha sempre sostenuto Giuliano Ferrara, può non essere un «dramma», a patto però che non si trasformi in una corrente di logoramento e di guerriglia in Parlamento. Cosa che forse non avverrà subito, ma personalmente credo che prima o poi lo sarà."
Sicuramente, per adesso, è vero il contrario: il logoramento e la guerriglia è in atto contro i finiani.
gentilissimo, ti interesserebbe collaborare al nostro "IL Culturista" con un post alla settimana?
info@mauriziogregorini.it
Post a Comment