Bene ha fatto il Viminale a non concedere a Spatuzza lo status di "pentito" e quindi a non ammetterlo al programma di protezione speciale disposto per i collaboratori di giustizia (mentre restano «le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato»). Decisione non solo legittima, ma sacrosanta, visto che di tutta evidenza le tre procure - di Firenze, Caltanissetta e Palermo - che hanno avanzato la richiesta, lo hanno fatto in ragione delle dichiarazioni rese da Spatuzza ben oltre il limite dei 180 giorni previsto dalla legge. Per impedire il malcostume delle "dichiarazioni a rate" o "ad orologeria", infatti, la legge stabilisce che per essere ammesso al programma di protezione speciale, il "pentito" debba dichiarare non tutto quello che sa, ma almeno tutto quello di cui parlerà, una specie di sommario quindi, entro 180 giorni da quando ha espresso la disponibilità a collaborare. Abbondantemente al di fuori di quanto riferito entro i 180 giorni, quando addirittura escluse coinvolgimenti di politici nelle stragi del '92-'93, sono le successive rivelazioni di Spatuzza sul presunto "patto" tra Stato e mafia che coinvolgerebbe Dell'Utri e Berlusconi.
Per le tre procure richiedenti - ma ancora per nessun giudice - Spatuzza resta «attendibile», ma viene allora da chiedersi come mai non abbiano avanzato prima al Ministero la richiesta di inserirlo nel programma, cioè fin da quando - dal 26 giugno del 2008 - iniziò a parlare della strage di Via D'Amelio. Da quel momento, e per i sei mesi successivi, la richiesta sarebbe stata certamente accolta. Perché tanto scandalo ora, se sono sembrati gli stessi procuratori i primi a non credergli? Il sospetto è che l'abbiano cominciato a ritenere «attendibile» solo quando ha chiamato in causa Dell'Utri e Berlusconi. E' bene ricordare, inoltre, che l'esclusione dal programma dei "pentiti" è un provvedimento meramente amministrativo, spetta comunque ai giudici valutare nel merito l'attendibilità dei racconti.
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