Mi limito a segnalare alcune riflessioni condivisibili, indicative di quanto sia poco difendibile lo status quo per il quale ci si stracciano le vesti in piazza e sui giornali. La prima, quella di Sallusti su il Giornale...
«Forse i giornalisti la smetteranno di essere semplici portavoce delle Procure, che ci forniscono su un piatto d'argento solo quello che vogliono e quando vogliono, spesso per motivi di opportunità politica. Il vero giornalismo "cane da guardia del potere" è quello che provoca inchieste giudiziarie (ricordate il Watergate?), per fotocopiare carte non serve essere iscritti all'Ordine».La seconda, di Maurizio Belpietro, su Libero:
«Abbiamo sempre saputo che alla base di tutto c'è un triangolo, fatto di pm, investigatori e giornalisti, i quali con la facile scusa della giustizia e del diritto all'informazione, fanno i comodi loro. Con le fughe di notizie si sono costruite splendide carriere, nei giornali come nella magistratura e quasi sempre i successi professionali hanno avuto un approdo politico».Quella attuale, lungi dal dover essere difesa, è una situazione di profonda inciviltà giuridica, politica e informativa, lontanissima dalla libertà di informazione. L'unica certezza è l'uso politico che una parte della magistratura fa delle inchieste, e delle intercettazioni (che si prestano perfettamente alla manipolazione). Passando il proprio taglia-e-cuci alla stampa cosiddetta "libera" le Procure cercano di orientare l'opinione pubblica a favore di quella che è la versione dell'accusa. Per di più una versione non già definita e pronta per essere dimostrata in un processo, ma agli inizi della fase istruttoria, quindi ancora meramente un'ipotesi, inevitabilmente indiziaria e lacunosa. In breve, evidentemente a corto di prove, cercano l'appoggio della piazza. Un malcostume che colpisce potenti ma anche cittadini comuni, come dimostrano i processi di Perugia e Garlasco.
Di sicuro c'è anche, come ha ricordato Ferrara su Il Foglio, che «chiunque legga una decina di giornali quotidiani o di settimanali stranieri, in lingua francese, tedesca e inglese, non è mai, si dica mai, mai nella vita, incappato nelle lenzuolate delle intercettazioni di cui si parla». E il caso Blagojevich, lungi dal rappresentare una smentita, è un caso di «fatti separati dalle intercettazioni». La legge approvata al Senato sarà efficace per cambiare questo stato di cose? A mio avviso no, sarà solo di intralcio ad un certo andazzo. Forse è il massimo che si poteva fare, ma a che prezzo?
UPDATE 12 giugno - Come sospettavo. Ecco le risposte che alcuni corrispondenti stranieri hanno dato a Il Foglio:
Jörg Bremer, della Frankfurter Allgemeine Zeitung, risponde con molta decisione che «in Germania niente del genere sarebbe possibile. È vietato e non è mai successo. Per quanto riguarda la Faz, il mio giornale, non ha mai pubblicato il testo di un'intercettazione prima di un processo».
Libération, Eric Joseph, dice che a sua conoscenza «mai in Francia, né sul mio giornale né su altri, sono state pubblicate intercettazioni con particolari privati che non abbiano un interesse pubblico. Solo il Nouvel Observateur ha pubblicato un presunto sms di Sarkozy alla ex moglie Cécilia, ed è finita con le scuse del giornale».
Miguel Mora, del quotidiano spagnolo El País: «Non è mai successo che venissero pubblicate intercettazioni come accade sui giornali italiani, anche perché noi abbiamo una norma deontologica che lo evita. Evita, cioè, che persone che non hanno a che fare con una certa indagine compaiano con nome e cognome sui giornali. Il contrario sarebbe strano».
Peter Popham, Independent: «In Inghilterra non è mai successo ed è impensabile».
Patricia Mayorga, cilena di El Mercurio: «Non è mai successo che il mio giornale abbia pubblicato intercettazioni del genere di quelle che escono in Italia. Direi di più: in Cile le intercettazioni non si usano tanto, se non altro per il ricordo di quello che è stato il regime di Pinochet».
Rachel Donadio, del New York Times, dice che non sono mai state pubblicate pagine di intercettazioni sul New York Times o altrove, «se non quelle rese pubbliche durante i processi». Conclude Donadio: «E' diversa anche la sinistra, che in Italia vuole più intercettazioni, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti».
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