Quando si apre una breccia, è probabile che l'argine ceda del tutto e che si venga travolti. Ed è quello che sembra stia accadendo in queste ore alla maggioranza. Alla luce di quanto accaduto ieri notte a Cannes e del forsennato mercato parlamentare in corso, comprendiamo fino in fondo quanto sia stata determinante la scelta di procedere con il maxi-emendamento anziché con decreto. La breccia l'ha aperta proprio lo stop al decreto con le misure anticrisi. La prova finale della ormai irreversibile debolezza di leadership del presidente del Consiglio, che si è dovuto piegare al suo ministro dell'Economia e al capo dello Stato, che molti nel Pdl aspettavano. Le condizioni di «necessità e urgenza» per emanarlo c'erano tutte, anzi mai in modo così conclamato, ma serviva un passaggio parlamentare a breve, in modo da sfruttare fino in fondo questa finestra di panico politico aperta dal martedì nero delle Borse per sfilare deputati dalla maggioranza. Era, insomma, ciò che ci voleva - indebolimento ulteriore, definitivo, del premier e passaggio in aula a breve - per garantire un certo grado di successo a questa nuova fase di campagna acquisti.
Peccato che sull'altare dell'ennesima manovra di palazzo sia stato sacrificato un altro pezzo di credibilità del nostro Paese. Che Berlusconi abbia accettato o meno il monitoraggio dell'Italia da parte del Fmi, il che non è detto sia un male, è evidente che senza quel decreto, quindi senza nuove misure già in vigore, il nostro Paese si è presentato al G20 di Cannes ancor più debole politicamente di quanto già non fosse per i demeriti del governo. Tremonti e - bisogna dirlo - Napolitano portano per intero questa responsabilità. Quella che nelle intenzioni del ministro e a questo punto credo anche del capo dello Stato non era che una tattica parlamentare per favorire la caduta del premier, e quindi una «nuova prospettiva di larga convergenza», agli occhi degli interlocutori internazionali è apparsa come l'ennesima dimostrazione della mancanza di volontà delle istituzioni italiane ad agire con rapidità sulla strada delle riforme.
A ciò si aggiungano altri gravi strappi costituzionali, senza precedenti, come le consultazioni pre-crisi, il ministro dell'Economia che concerta con il capo dello Stato atti di governo alle spalle del Consiglio dei ministri, il presidente della Camera che partecipa in prima persona alla campagna acquisti per far cadere il governo. Cose cui purtroppo assisteremo anche in futuro e che contribuiranno ad aggravare l'instabilità del nostro sistema politico-istituzionale.
Per carità, i motivi di malcontento sono più che fondati e su questo blog non li abbiamo certo nascosti, ma per favore, almeno non credeteci così scemi da berci il racconto di improvvisi sussulti di responsabilità istituzionale. I movimenti di queste ore non hanno nulla a che fare né con il merito della politica del governo (anzi, sarà un caso che proprio ora che sembra costretto a cimentarsi in riforme serie, si fanno mancare i voti?), né con la credibilità di Berlusconi, né con l'assenza di dibattito nel Pdl, e nemmeno con chissà quali nobili strategie politiche. Semplicemente lo scenario è cambiato, un Berlusconi che ha provato a reagire e a rilanciarsi si è ulteriormente indebolito, forse in modo decisivo, il Pdl rischia lo sfaldamento, e ciascun deputato sta giocando la sua personalissima partita di miglior posizionamento possibile. E' così che vanno le cose in Italia perché questo è il sistema politico. E non mi si venga a raccontare che da una parte ci sono i venduti e dall'altra i "responsabili". Sono tutti venduti, chi per un posto di sottogoverno, chi per una ricandidatura, chi per un appartamento a Roma, chi per un pezzo di pane. Governo tecnico, di "larghe intese"? Con chi? E per fare cosa? Una patrimoniale e poco altro, e poi si ricomincerà come prima. Ma senza Berlusconi, questo è l'unico obiettivo che importa realmente. Ma come ha ricordato un portavoce della Casa Bianca, non è che cambiando un governo cambiano i problemi del Paese.
Non bisogna farsi distrarre dai tatticismi del momento, l'obiettivo ultimo di Casini non è governare insieme al Pdl senza Berlusconi, prospettiva da cui molti parlamentari sono ovviamente attratti, sembra così ragionevole... E' invece distruggere il Pdl (quante volte ha ripetuto di voler "disgregare" questo bipolarismo?) ed ergersi come unico soggetto aggregatore sulle macerie del centrodestra, spianando la strada alla discesa in campo di Montezemolo in quello spazio politico oggi occupato proprio dal Pdl. L'Udc è l'unico partito che in questa situazione non ha nulla da perdere, o almeno così crede. Se si forma un governo tecnico o transitorio, non potrà che acquisire una centralità sempre maggiore, da capitalizzare al momento del voto, soprattutto se nel frattempo si mettesse mano ad una riforma elettorale in senso proporzionalista; ma anche se si vota subito, con l'attuale legge (guarda caso facendo saltare il referendum per il ritorno al Mattarellum!), è probabile che al Senato risulti determinante. Ecco perché è il partito più attivo nel forzare il quadro politico, pur sapendo che al 90% si rischia di andare a votare a marzo. «Governo di larghe intese. Pdl dica sì o si dissolverà», è il titolo dell'intervista di Casini oggi al Corriere della Sera. L'impressione è che nei suoi piani/sogni il Pdl si dissolverà comunque.
Per quanto mi riguarda non riesco proprio a mandar giù questa logica del "passo indietro". Che sia auspicabile o meno la fine di questo governo e l'uscita di scena di Berlusconi, il modo più democratico e trasparente è ciò che molti, abituati ad una logica trasformistica e fangosa, chiamano "schianto", "ultima raffica", o "fucilata": un voto di sfiducia parlamentare, lineare, limpido. Nel quale ciascuno si assume le sue responsabilità guardando negli occhi l'avversario e il Paese. Non sarebbe nulla di drammatico. Sarebbe la democrazia, bellezza. Sarebbe.
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