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Monday, March 12, 2012

Terzi parla ma interrogativi restano

Finalmente il ministro degli Esteri Giulio Terzi abbandona la reticenza cui si è attenuto fino ad oggi sulle circostanze che hanno portato all'incarcerazione dei nostri due marò in India. Il riserbo sulla vicenda, infatti, deve riguardare i negoziati per la loro liberazione, non i fatti e le responsabilità.

Peccato però che il ministro cominci a fornire i primi chiarimenti a mezzo social media e Corriere della Sera, e non nelle aule parlamentari. Sul suo profilo Twitter fa sapere che «in nessun caso la nave» italiana «doveva entrare in acque indiane» e che «le polemiche sulle responsabilità le lascio ad altri. Io lavoro per riportarli a casa». Che stia lavorando sodo per riportarli a casa ne siamo certi, ma purtroppo non basta. Quando si è ministri contano i risultati, l'efficacia della propria azione, e le «responsabilità» non sono dettagli da «lasciare ad altri».

Una rivelazione importante però arriva, da parte del ministro Terzi, sull'ingresso della Enrica Lexie in acque territoriali indiane e sulla decisione di far sbarcare i marò:
«Ho dato parere negativo all'avvicinamento della nave in territorio indiano nonostante tale decisione non fosse di competenza del ministro degli Esteri e ho continuato a oppormi formalmente al trasferimento dei nostri marò a terra, cosa che è avvenuta solo a seguito di un'azione coercitiva della polizia indiana» (lettera al Corriere)
Per la prima volta, dunque, il ministro nega responsabilità della Farnesina su entrambe le questioni, ma gli interrogativi restano e Terzi non chiarisce fino in fondo: se non era degli Esteri, di chi era competenza la decisione di far avvicinare o meno la nave alle acque territoriali indiane? Se era dell'armatore, vorremmo che il governo lo dicesse ufficialmente. Ma soprattutto, il ministro dice di essersi opposto - «formalmente» è l'avverbio che usa - allo sbarco dei due marò. Ma allora, siccome anche la Marina militare si sarebbe opposta, e tendendo ad escludere che i marò abbiano agito di testa loro decidendo di consegnarsi, chi ha deciso quello che nelle prime ore è stato definito da fonti ufficiali come un nostro «atto di cortesia» nei confronti delle autorità indiane? E quando il ministro parla di «azione coercitiva» da parte della polizia indiana, intende che sono saliti a bordo degli agenti per prelevare i nostri militari? Se sì, perché non li hanno arrestati tutti ma solo due? E se no, se non sono saliti a bordo, chi ha deciso di farli scendere a terra?

E' un bene che il ministro abbia cominciato a rispondere, sia pure a mezzo stampa e non in Parlamento, ma sono ancora molti gli interrogativi sulla vicenda, e resta la sensazione che i due marò siano soprattutto vittime di decisioni sbagliate dello Stato per il quale operano.

Quella che si apre è una settimana fondamentale. Oltre all'esito dell'esame balistico, arriverà anche la sentenza sulla giurisdizione del caso. Se verrà confermata la giurisdizione indiana, la disfatta politica italiana sarà completa e la figuraccia irrimediabile, a prescindere dall'eventuale scagionamento dei due marò. Se entrambe le decisioni dovessero essere negative, oltre alla disfatta politica, prepariamoci all'idea che i nostri due marò dovranno affrontare il processo e quindi rimanere imprigionati in India ancora per molti mesi.

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