Politiche di finanza pubblica del governo Monti sotto accusa da parte di Corte dei Conti e Garante per la privacy
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Si sta forse incrinando il monolitico unanimismo che circonda e accoglie le scelte di politica economica del governo Monti, e in particolare quelle che riguardano la crociata contro l'evasione fiscale? Presto per dirlo, ma certo ieri due importanti istituzioni di controllo – Garante per la privacy e Corte dei Conti – hanno posto l'accento su alcune criticità delle politiche del governo che dovrebbero quanto meno ridestare lo spirito critico dei mainstream media.
I magistrati contabili non fanno politica, ma unendo i puntini ciò che emerge dalla relazione del presidente Giampaolino dinanzi alla Commissione Bilancio della Camera è un atto d'accusa alle politiche di finanza pubblica del governo. In sostanza, suggerisce una serie di misure che Monti non sta facendo e non sembra intenzionato a fare: ridurre le tasse, tagliando drasticamente la spesa, e abbattere lo stock di debito pubblico attraverso dismissioni. Il presidente della Corte dei Conti quantifica in 50 miliardi il taglio necessario per riportarci a livelli di tassazione europei. Da ricavare, ovviamente mantenendo l'equilibrio di bilancio, da una «tenace» e «severa» riduzione della spesa e dalla lotta a erosione ed evasione fiscale. Si tratta di tagli alle tasse e alla spesa dell'ordine di 3-4 punti di Pil, ben lontano dalle più rosee intenzioni del governo.
Ovviamente Giampaolino apprezza il conseguimento del pareggio di bilancio, ma avverte che «dal punto di vista della crescita fa differenza a quale livello della pressione fiscale – e quindi della spesa pubblica – quel pareggio di bilancio verrà conseguito». E osserva: «Sulla spinta dell'emergenza, le ripetute manovre di aggiustamento finanziario condotte nel 2011 hanno operato soprattutto dal lato dell'aumento della pressione fiscale, piuttosto che, come sarebbe stato desiderabile – ammonisce – dal lato della riduzione della spesa. Il risultato è che ci avviamo verso una pressione superiore al 45% del prodotto, un livello che ha pochi confronti nel mondo». Considerando che «le stime più accreditate – aggiunge – ipotizzano un livello dell'evasione fiscale dell'ordine del 10-12% del prodotto, ne consegue che il nostro sistema è disegnato in modo tale da far gravare un carico tributario sui contribuenti fedeli sicuramente eccessivo». Quindi non si può certo affermare che gli italiani nel loro complesso non pagano le tasse, visto che devolvono allo Stato il 45% della loro ricchezza, ma la pressione fiscale sull'economia regolare, sugli "onesti", sfiora il 60%, la più alta del mondo sviluppato. Per poter ridurre la pressione fiscale, in modo da aiutare il rilancio dell'economia senza compromettere l'equilibrio di bilancio, «è necessario lavorare con tenacia e determinazione alla riduzione della spesa».
«In termini complessivi – osserva inoltre la Corte dei Conti – se si assume che l'assetto fiscale "medio" europeo (Europa a 17) identifichi il benchmark cui rapportare un'evoluzione virtuosa del sistema tributario italiano, gli sgravi necessari per riportare a livello europeo il prelievo sui redditi da lavoro e da impresa dovrebbero aggirarsi attorno ai 50 miliardi di euro (32 per i redditi da lavoro e 18 per quelli d'impresa)». Si tratta di 3-4 punti di Pil. Ma considerando che «un ulteriore aumento del prelievo sui consumi non assicurerebbe più di un decimo», una «trasformazione del sistema per conferirgli un assetto "europeo" in grado di rilanciare competitività, efficienza e crescita economica resta subordinata» ad una «severa politica di contenimento e di riduzione della spesa» e alla lotta a erosione ed evasione fiscale.
Il presidente Giampaolino mette anche in guardia da una politica che punti al rientro dal debito solo attraverso avanzi primari: «Anche in condizioni di pareggio di bilancio, e per quanto il risanamento faccia flettere lo spread, ancora a lungo avremo a che fare con elevati oneri per interessi del debito pubblico. Non si può, pertanto, rinunciare a ridurre lo stock del debito attraverso la cessione di quelle parti del patrimonio pubblico non funzionali allo svolgimento dei compiti essenziali delle amministrazioni e non oggetto di tutele artistiche e simili». E osserva che per «gran parte» delle dismissioni pubbliche l'ostacolo «non consiste affatto in eventuali considerazioni strategiche, bensì in difficoltà di procedura, in resistenze burocratiche, in ritardi operativi».
Particolarmente inquietanti gli allarmi lanciati dal Garante per la privacy, Francesco Pizzetti, sulle armi di cui lo Stato si è dotato per stanare gli evasori. Bolla infatti le nuove norme volte a semplificare per l'amministrazione i controlli fiscali come «strappi forti allo Stato di diritto». La richiesta sempre più massiccia di accesso ai dati personali dei cittadini da parte degli uffici pubblici che combattono l'evasione fiscale o l'illegalità in settori come la previdenza è comprensibile, osserva, ma «è importante che si consideri questa una fase di emergenza dalla quale uscire al più presto, perché altrimenti – avverte – lo spread fra democrazia italiana e occidentali crescerebbe».
«È proprio dei sudditi – ricorda Pizzetti – essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori». Definisce esplicitamente il suo come un «monito», perché è «in atto, a ogni livello dell'amministrazione, e specialmente in ambito locale, una spinta al controllo e all'acquisizione di informazioni sui comportamenti dei cittadini che cresce di giorno in giorno. Un fenomeno che, unito all'amministrazione digitale, a una concezione potenzialmente illimitata dell'open data e all'invocazione della trasparenza declinata come diritto di ogni cittadino di conoscere tutto, può condurre a fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose». Sotto accusa anche ipotesi di recente formulate dal direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, come quella del "bollino" per le aziende "brave" fiscalmente: «Attenzione alle liste dei buoni e dei cattivi. Attenzione ai bollini di qualunque colore siano. Le vie dell'inferno – ammonisce il Garante per la privacy – sono lastricate di buone intenzioni».
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