Pagine

Thursday, March 29, 2012

Il paradosso della politica italiana, ostaggio di due sinistre

I siluri che Mario Monti continua a lanciare sui partiti dal suo "roadshow" asiatico dimostrano che il premier non si sente affatto al sicuro. Dopo aver avvertito che non è disponibile a «tirare a campare», che può lasciare anche prima del 2013 se partiti e sindacati non sono «pronti» per le riforme, fa notare che nonostate il calo degli ultimi giorni «questo governo sta godendo di un alto consenso, i partiti no». Si dice «fiducioso» che la riforma del lavoro passerà, che la gente ne percepisce la necessità (convinzione espressa anche da Napolitano), e fissa la scadenza a «prima dell'estate». Ma la fiducia nel Parlamento che la Camusso esprime nelle sue dichiarazioni quotidiane è per lo meno sospetta. E preoccupa anche Bersani che paventi «cazzotti a politici e tecnici» ed evochi «problemi di costituzionalità». Insomma, Monti avverte che si sta allentando la sua presa sui partiti e cerca di recuperarla, aiutato dal capo dello Stato, ma potrebbe essere già troppo tardi. In parte, è la naturale conseguenza del calo dello spread – ed espressioni come «la crisi dell'area euro è quasi finita» non giovano certo al professore nel mantenere il giusto livello di allarme – ma anche dell'approssimarsi delle amministrative e della scelta del ddl, invece del decreto, come veicolo legislativo della riforma.

L'accordo di massima uscito dal vertice ABC sulle riforme istituzionali e la nuova legge elettorale dovrebbe scongiurare l'ipotesi di elezioni anticipate a ottobre, verso cui secondo qualche retroscenista spingerebbe il Pd, quindi allungare la vita del governo Monti e addirittura gettare le basi per una Grande Coalizione "montiana" nel 2013. Ma allo stesso tempo proprio quell'accordo conferma il ritorno dei partiti, con tutti i rischi che ne derivano per le riforme. Monti potrebbe aver esaurito la sua spinta riformatrice. D'altronde, appariva chiaro già a novembre come la stagione delle riforme, quella in cui le forze politiche e sociali sarebbero state disposte a ingoiare qualsiasi cosa, sotto la minaccia default, non sarebbe andata oltre l'inverno, marzo al massimo.

Il bottino è ancora piuttosto magro: completamento della riforma delle pensioni; liberalizzazioni all'acqua di rose o da attuare; riforma del lavoro in alto mare. Il rischio è che a conti fatti il merito maggiore di Monti sia il tour "Investi-Italia" nelle tre principali piazze azionarie del pianeta (la City, Wall Street e il Nikkei) per convincere i grandi investitori a tornare ad investire sull'Italia, forte della credibilità internazionale senza pari di cui il premier gode agli occhi della stampa della business community, della Casa Bianca e di istituzioni come Ue e Ocse.

Se l'irrigidimento del Pd sull'articolo 18 è solo campagna elettorale, o il grimaldello per indurre Monti a lasciare e tentare una "rivoluzione d'ottobre", lo scopriremo solo dopo il voto amministrativo. Di certo a fine luglio sul reintegro qualcuno dovrà cedere. Ma lo scontro sulla riforma del lavoro è sintomatico del paradosso della politica italiana. La riforma è di stampo socialdemocratico: costosa e punitiva sulla flessibilità in entrata, cede alla retorica della "lotta alla precarietà", mentre cerca una soluzione appena più realistica di quella attuale sui licenziamenti e gli ammortizzatori. A lamentarsene dovrebbe essere il Pdl, la cui politica economica però è di marchio cristiano-socialista. Invece è attaccata da sinistra. Nessun partito nello spettro politico italiano fa propria una posizione liberale. Il che implicherebbe sostenere apertamente, pubblicamente, senza sudditanza culturale, che il lavoro non è un diritto, ma una merce, sotto forma di prestazione d'opera; che, come per tutte le merci, prezzi e condizioni sono regolati dalla domanda e dall'offerta. E, quindi, denunciare una Costituzione collettivista che affermando il contrario condanna questo Paese ad una vera e propria tara ideologica e giuridica, che impedisce ai governi di mettere a punto (e ai cittadini di accettare) un assetto compatibile con i più elementari e nient'affatto "selvaggi" principi di una normale economia di mercato.

Dunque, l'offerta politica italiana consiste da una parte in una socialdemocrazia riformista, responsabile, che nelle sue diverse declinazioni (governo Monti-Fornero, Pdl, Terzo polo e una parte minoritaria del Pd) tenta di apportare correttivi al sistema ma senza intaccare il perimetro e il peso dello Stato, anzi con lo scopo di perpetuarlo, e dall'altra in una sorta di "partito Grecia", che spinge per la "vera" svolta a sinistra, un biglietto di sola andata verso la Grecia.

3 comments:

Anonymous said...

I nostri politici stanno incassando il denaro delle nuove tasse e il bocconiano non gli serve più,adesso bisogna vedere se Monti si farà mettere da parte come fosse un fazzoletto usato.Io penso di no anche perchè il differenziale è sempre pronto a salire.
Toni

libertyfighter said...

"Io penso di no anche perchè il differenziale è sempre pronto a salire."

Soprattutto perché a pilotarlo è il suo omonimo compagno di merende alla Goldman Sachs, Mario Draghi.

Anonymous said...

Avere amici potenti è una gran cosa,vedere l'altro amico che dichiara "L'Italia non è la Grecia"dopo una manovra che sembra fatta apposta per portarci allo stesso livello dell'Ellade ha reso bene l'idea di quanto sia importante avere qualche altolocato sempre pronto a coprirti le spalle.
Toni