Che al momento Mario Monti sia la figura che offre più garanzie come capo del governo non ci sono dubbi. Ma le formule "Monti-bis" o "agenda Monti", che ci accompagneranno per tutta la campagna elettorale, appaiono del tutto vuote. Ad evocarle sono i gruppi politici che pensano di farsi traghettare nella nuova legislatura sfruttando l'inerzia della credibilità del professore, senza alcuno sforzo di elaborazione programmatica e di rinnovamento. Lo stesso Monti, però, non può più nascondersi dietro l'impresentabilità altrui. Se è in campo, non più solo come carta d'emergenza, dovrebbe proporre la sua agenda per i prossimi cinque anni. Agli elettori non può essere chiesto un assegno in bianco, anche perché qualsiasi cosa significhi, la cosiddetta "agenda Monti" non basta a superare la crisi. Anzi, perseverando con la terapia di quest'ultimo anno nella migliore delle ipotesi ci aspetta un altro decennio di crescita bassa o nulla, con tutto ciò che comporta per la sostenibilità della finanza pubblica. Ce lo dicono i dati, e tutte le analisi più autorevoli, da quelle dell'Fmi ai puntuali giudizi dalla Corte dei Conti. Severo, quasi impietoso, quello di ieri alle Commissioni Bilancio, tanto che il ministro Grilli ha preso le difese delle politiche governative, negando che ci sia un «corto circuito» tra rigore e crescita.
Ma come già in altre occasioni, la Corte non ha messo in discussione che possano essere compatibili, si è limitata ad osservare che il «pericolo di un corto circuito» esiste a causa della composizione delle manovre correttive, per quasi il 70% fatte di aumenti di imposte e tasse, con la pressione fiscale oltre il 45% nel triennio 2012-2014, e del rinvio di interventi strutturali. L'urgenza ha indotto a ricorrere «pesantemente» al prelievo fiscale, «forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per un ulteriore effetto recessivo», che «avrebbe dissolto circa la metà dei 75 miliardi della correzione prevista per il 2013».
(...)
Insomma, il rigore da solo non basta, se manca una crescita su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica. Peccato che gli attuali livelli di spesa (pur al netto delle spese per interessi e investimenti fissi) e di prelievo, afferma con chiarezza la Corte, rappresentano un «drenaggio di risorse incompatibile con una efficace politica di rilancio dell’economia».
E a fronte degli effetti recessivi delle manovre, i risultati attribuiti alle cosiddette riforme strutturali appaiono largamente insufficienti per colmare il vuoto di domanda apertosi a partire dal 2007. Qualsiasi strategia per la crescita richiede «sicuramente che si apra una prospettiva di riduzione della pressione fiscale». Ovviamente senza compromettere la tenuta dei conti. Ma l'intervento che la Corte dei Conti suggerisce sulla spesa pubblica per liberare risorse da destinare al taglio delle tasse va oltre la mera manutenzione. Occorre ripensare «radicalmente il perimetro» dell'intervento pubblico, «individuare le aree di spesa che è opportuno dismettere, superando logiche meramente difensive».
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1 comment:
Di recente Ostellino ha scritto che "per non cambiare lo Stato, si è cambiato (in peggio) il popolo."
Ma è normale, direi ovvio, che un'elite in totale crisi di idee e prospettive punti esclusivamente e disperatamente alla conservazione dello statu quo.
Avviene nel nostro Paese come dappertutto.
Il sistema finanziario globale è al collasso, ma le banche centrali continuano a sbagliare perseverando nel voler stimolare keynesianamente i consumi con iniezioni di liquidità, stampata dal nulla, che drogano ulteriormente i mercati e ne distorcono tutte le informazioni.
Si creano nuove illusorie bolle, i primi a ricevere il nuovo denaro si arricchiscono, poi, inevitabilmente arriva un crollo ancora peggiore del precedente. E via daccapo. Anche se stavolta il capolinea sembra davvero vicinissimo.
Comunque, tutto è pensato solo per mantenere al loro posto le attuali elite politico-finanziarie, insolventi le prime e fallite le seconde, che hanno fatto azzardo morale (promettendo uno stato sociale insostenibile e creando immensa ricchezza nominale) e sarebbero dovute entrambe perire in un vero libero mercato.
Cioè, libero di far guadagnare chi davvero lo merita, e libero di punire i casi di errata allocazione delle risorse.
Invece, per salvare il sistema delle banche commerciali e svalutare il folle debito sovrano accumulatosi col deficit spending dalle politiche keynesiane dei socialdemocratici e dei fintiliberali del centrodestra, si redistribuiscono carta straccia e miseria su tutta la popolazione: tassazione esasperata, impoverimento diffuso, crescente disoccupazione ed inflazione a due cifre in arrivo. La stagflazione.
Un sistema così è davvero irriformabile, caro Punzi.
Può solo, e purtroppo dolorosamente, crollare.
Glielo scrive una persona molto, molto mite, ma desolata.
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