Nonostante la buona affermazione di Grillo - certo non il boom, semmai il flop considerando le aspettative della vigilia e i rumors diffusi a scrutinio in corso - si profila il più classico degli esiti gattopardiani: in Sicilia sembra cambiare tutto, ma in realtà cambia poco o niente. La vittoria del Pd, che per l'occasione "veste" una coalizione centrista - con l'Udc, forte nell'isola - quindi molto diversa da quella che propone a livello nazionale (con Vendola) è netta, così come netta è la sconfitta del Pdl, ma dato lo stato comatoso, quasi terminale del partito, nemmeno appare così catastrofica come sarebbe potuta essere, per esempio, se il suo candidato si fosse piazzato terzo dietro a quello grillino. Il che consente ad Alfano di recriminare sulle divisioni del centrodestra che hanno avvantaggiato il centrosinistra. La lista ufficiale del Pdl raccoglie il 12,9% (solo uno 0,5% in meno rispetto a quella ufficiale del Pd), erosa soprattutto dall'astensionismo, e in misura minore da Grillo e da Miccichè, ma il candidato il 25,7%, oltre 7 punti avanti quello grillino fermo al 18.
Ma per il governo dell'isola cambia davvero poco o niente: avendo conquistato la sua coalizione solo 39 seggi, lontani dalla maggioranza di 46, Crocetta per governare dovrà chiedere aiuto ai lombardiani. Ed ecco quindi che di fatto la continuità con la maggioranza uscente Pd-Udc-Lombardo è evidente, seppure questa volta con un baricentro spostato più a sinistra, ma sempre con un forte potere di ricatto di Lombardo. Per la prima volta però un partito di sinistra entra al governo della Sicilia dalla porta principale, non a seguito di ribaltoni, quindi Bersani può cantare vittoria, in questo senso il «risultato storico» c'è tutto. Da prendere con le pinze, inoltre, qualsiasi lettura che volesse attribuire un significato, una portata nazionale all'alleanza Pd-Udc.
E' una colossale bufala giornalistica, invece, parlare del M5S come primo partito in Sicilia. Semmai prima lista, perché se il M5S ha preso il 14,9% dei voti validi, superando di poco le liste ufficiali di Pd e Pdl, queste ultime, come al solito in elezioni ammninistrative, erano affiancate da liste civiche/personali dei candidati, per massimizzare il più possibile la raccolta di seggi.
La realtà è che alle elezioni regionali ha comunque poco senso porre l'enfasi sui voti di lista. Più significativi politicamente quelli ai candidati. Dovevano essere le elezioni del boom di Grillo, qualcuno vedeva già il suo candidato vincitore, invece è arrivato a malapena terzo (staccato di 7 punti dal secondo e solo di 2 dal quarto). Per ora Grillo non sfonda (il che non significa che non potrà farlo in futuro), resta uno sfogatoio, gli elettori delusi e disgustati dai partiti tradizionali preferiscono per lo più astenersi piuttosto che votare M5S. Considerando il notevole astensionismo (oltre il 52%) - e ad essere rimasti a casa per disaffezione non sono certo i grillini - il 18% di Cancelleri varrebbe all'incirca il 13% in un'elezione, come quella del 2008, con un'affluenza del 66%, e il 14,9% della lista un 10%. Non un boom, quindi, da oggi però quello di Grillo è un movimento nazionale, nel senso che ha dimostrato di sapersi imporre come terza o quarta forza non solo al
centro-nord, ma anche al sud, anche se per ora si tratta di elezioni
amministrative. Si può dire che l'astensione ha fermato Grillo così come ha punito i partiti e le coalizioni tradizionali, ma gli elettori sono lì che aspettano un'offerta politica convincente, che finora non hanno visto nemmeno nel M5S.
No comments:
Post a Comment