Non è la prima volta che l'ex premier si rende disponibile a farsi da parte pur di riunire quelli che chiama i "moderati", ma forse mai in modo così esplicito. E, soprattutto, a differenza che in altri momenti, oggi ci troviamo davvero nei minuti di recupero. Non solo per il Pdl, anche per gli altri attori che da anni puntano a raccoglierne l'eredità ma che, sempre più vicini all'ora "X", appaiono impreparati.
Quello di Berlusconi, dunque, è sì ancora tatticismo, ma non va confuso con l'inganno. La disponibilità a farsi da parte, a non ricandidarsi, è reale, ma condizionata a sua volta alla disponibilità degli altri a riunire il centrodestra. A questo punto, la logica vorrebbe che chi ha posto la condizione del passo indietro del Cav, vedendola soddisfatta, si sieda almeno al tavolo della trattativa. Perché, invece, gli attori cui si rivolge il Cav non vanno a vedere le sue carte? Cosa ancora impedisce un rassemblement del centrodestra? E se a bluffare non fosse (solo) Berlusconi, ma quanti fino ad oggi hanno insistito nel chiedergli un passo indietro?
Forse qualcuno preferisce curare il proprio orticello, lucrare sulla propria piccola rendita di posizione, piuttosto che mettersi in gioco in un progetto più vasto, inclusivo. Il tempo stringe, ma sembra che nessuno dei soggetti di area centrodestra – vecchi e nuovi – intenda abbandonare i tatticismi e giocare a carte scoperte. Casini sa che i delusi da Berlusconi resterebbero a casa o voterebbero Grillo piuttosto che consegnarsi a lui e a Fini. Non devono essere esaltanti i sondaggi, se Montezemolo ha deciso di non candidarsi a capo della sua lista. Senza leader, e ancora troppo elitario, anche il movimento Fermareildeclino ad oggi non può realisticamente pensare di andare molto oltre la soglia di sbarramento.
Eppure, ciascuno con le proprie debolezze e inadeguatezze, tutti sembrano attratti dal tanto peggio tanto meglio: meglio aspettare in riva al fiume che passi il cadavere del Pdl per grattargli qualche punto percentuale, piuttosto che rischiare di rianimarlo accettando di trattare con Berlusconi per rifondare il centrodestra. Al momento la realtà è che il Pdl è in coma profondo, ma i vecchi (Udc) e nuovi (IF e FiD) soggetti non sembrano rappresentare alternative davvero in grado di "coalizzare" una massa critica di elettori di centrodestra. Comprensibile che i nuovi non vogliano accompagnarsi ai vecchi e agli screditati personaggi politici, ma il rischio è che nessuno da solo riesca a toccare quota 20%. E con un Pd più Vendola verso il 30 e oltre sarebbe poi difficile immaginare di vincere le elezioni, o anche solo "scippare" la vittoria a Bersani per un Monti-bis.
È in questo scenario che a salvare il salvabile ci proverebbe, ancora una volta, Berlusconi. Che sarebbe più convincente se invitasse chi ci sta ad organizzare subito primarie apertissime (ovviamente annunciando di non voler correre) per la leadership del futuro centrodestra, in un'ottica "fusionista", guardando al modello americano. I suoi interlocutori, anche quelli nel Pdl, sarebbero messi con le spalle al muro: sfumata la possibilità di ereditare alcunché o di ergersi sulle macerie altrui, sarebbero costretti a sottoporsi al giudizio degli elettori come leader del nuovo centrodestra o a tacere per sempre.
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