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Wednesday, February 20, 2013

Il crollo di Monti, primo ad arrendersi a Grillo

Anche su Notapolitica e L'Opinione

E' la giornata delle dimissioni di Giannino dalla guida di Fare per Fermare il Declino (ora basta accanimento, dietro di lui c'è un movimento anti-tasse che pecca solo di grillismo e snobismo), ma potrebbe passare alla storia di questa breve ma fastidiosa campagna elettorale come la giornata del tracollo di Monti, che con il passare delle ore ha inanellato una serie tale di passi falsi e dichiarazioni contraddittorie da far pensare ad un disturbo da personalità multipla. Un vero e proprio crollo comunicativo (e probabilmente anche psicologico). Monti è il primo, stamattina, ad arrendersi a Grillo, che ieri sera tuonava da Piazza Duomo, a Milano, all'indirizzo dei partiti: "Arrendetevi! Siete circondati!". La logica della resa si percepiva, in realtà, già da pochi giorni dopo la sua "salita" in campo: il premier uscente non è mai apparso convinto di correre per arrivare primo. Le continue allusioni alla possibilità, ritenuta addirittura auspicabile, di un'intesa post-voto con Bersani. I tentativi persino di dettarne le condizioni, ovviamente rispedite al mittente. Poi gli inviti alla desistenza a favore di Ambrosoli da parte dei suoi candidati in Lombardia. E si sa: chi corre per un buon piazzamento di solito non ottiene nemmeno quello.

Secondo le ultime corse clandestine, i cui esiti ci giungono da parecchi ippodromi, sarebbero ormai a rischio i tempi necessari a qualificarsi per la Manche de la Chambre e, di conseguenza, anche quelli per qualificarsi alle singole corse regionali per la Manche de le Senat, la più importante. Addirittura, i "sacchi" di Ipson de la Boccon potrebbero non essere sufficienti a Bien Comun per aggiudicarsi il Gran Prix nazionale del 2013.

Insomma, stamattina Monti tesseva le lodi, ai limiti dell'endorsement, di Bersani: «Credo che possa governare molto bene», «ha le qualità necessarie» per fare il premier, ma va «comprovato». Avete mai sentito un candidato dire di voler "testare" come premier un suo avversario? No? Già, perché le lodi di Monti suonano come una resa al fatto di dover mendicare un ministero nella futura coalizione di governo con il Pd. Tutti i suoi ragionamenti muovono in direzione della prospettiva di una «grande coalizione», più volte evocata. A quattro giorni dal voto, quindi, Monti non sembra un candidato alla premiership, ma ben che gli va ad una "ministership" nel governo Bersani. Effetto stampella.

La resa incondizionata, poi, la consegna simbolicamente nelle mani di Grillo, blandendo il comico genovese e i suoi elettori (come da qualche giorno stanno facendo tutti - da Giannino a Bersani - tranne uno: Berlusconi). Difficile governare con Grillo, ma «potrebbe essere un ministro tecnico» (dal momento che non è candidato né alla Camera né al Senato), riesce a dire. E confessa di avere «lo stesso senso di sgomento rispetto alla politica e la stessa rabbia» del comico. Eggià, chi non lo vede? E comunque è a suo giudizio «fondamentale non snobbare» gli elettori di Grillo, senza i quali «è difficile governare».

Nel pomeriggio Monti riprende a sbarellare di brutto: prima accusa Berlusconi di usare «illegalmente» i sondaggi, solo perché dice che secondo lui il "centrino" rischia di non raggiungere le soglie di sbarramento (il bello, e il brutto, di questa legge è che vieta di pubblicare sondaggi ufficiali ma non di fare supposizioni); poi rivela che la «Merkel non vuole il Pd al governo» e infine la chicca: «Se gli italiani votano ancora Berlusconi il problema non è lui, ma gli italiani». A questo punto, visti anche i tempi preoccupanti dai diversi ippodromi, Fan Idole dovrebbe mandare qualcuno dei suoi esperti di gara ad aiutare Ipson de la Boccon, che rischia di rimanere al palo.

UPDATE ore 23:00
Le 12 ore di disastro comunicativo per Monti, forse fatali, si sono concluse emblematicamente in serata con un vero e proprio colpo di grazia: la plateale smentita - via Twitter - da parte del portavoce della Merkel, della supposizione di Monti secondo cui la cancelliera non gradirebbe il Pd al governo.

Thursday, February 07, 2013

Che vuol fare Giannino da grande?

Anche su Notapolitica e L'Opinione

Dove vuole arrivare Oscar Giannino con la sua lista? Cosa vuol fare da grande? Se per altri candidati le domande che possono mettere in difficoltà vertono sulle coperture finanziarie di questa o quella proposta, sulla loro credibilità personale, dopo aver governato per anni il paese tradendo aspettative e promesse, o sulle alleanze di governo che sembrano ammucchiate, quella che dovrebbe impensierire il leader di Fare per Fermare il Declino – ma che ancora nessuno nelle interviste radiofoniche e televisive gli ha rivolto – riguarda le prospettive politiche del suo movimento. In breve: cosa intende fare dei voti che riceverà? Come li userà? Dove li porterà?

E' ciò che probabilmente molti elettori che prendono in considerazione l'idea di votarlo si chiedono in questi giorni. Già, perché per quanto ci riguarda – lo diciamo subito a scanso di equivoci – il suo programma economico lo approviamo al 100%, lo riteniamo fattibile. La sua fattibilità si fonda su riduzioni di spesa per il 6% del prodotto in 5 anni. In questo, dunque, simile ai programmi di Monti (4,5% in 5 anni) e del Pdl (10% del totale della spesa), ma Giannino e i suoi non hanno scandali da farsi perdonare né negative o contraddittorie esperienze di governo di cui rendere conto.

Come ogni altra avventura elettorale nuova, che punta su un voto d'opinione e non su apparati e clientele consolidate, né sulla notorietà, le risorse e la realtà imprenditoriale del suo leader, anche quella di FiD è soggetta all'incognita sul superamento o meno della soglia di sbarramento, che alla Camera è fissata al 4%. Il rischio in questi casi è semplice: molti elettori sarebbero disposti a votare Giannino, ma nel dubbio che non arrivi al 4%, e quindi di sprecare il proprio voto, alla fine rispondono agli appelli al "voto utile", in un senso o nell'altro. Già in passato altre liste a cui alla vigilia veniva attribuito dai sondaggi un 4% sono uscite dalle urne con una percentuale di voti molto al di sotto di quella soglia.

Una regola dura, brutale, ma è così. La realtà non è aggirabile negando l'evidenza, cioè che un voto ad una lista che non raggiunge la soglia non è un "voto utile", né sottoponendo l'elettore a una sorta di ricatto morale ("se vuoi il cambiamento, devi essere disposto a rischiare di buttare il tuo voto"). Spetta sempre a chi si candida l'onere di provare la credibilità e la solidità, non solo programmatica ma anche politica, del suo progetto.

E per riuscirci non basta, purtroppo, un ottimo programma e persone nuove e preparate. Soprattutto per formazioni nuove, che non si collocano esplicitamente lungo lo spettro destra/sinistra, ma che addirittura contestano radicalmente tutta l'offerta politica tradizionale e le sue linee di demarcazione, l'elettore ha bisogno di chiarezza sul dopo.

Siccome è irrealistico ragionare su ipotesi maggioritarie, supponiamo che la lista di Giannino ottenga davvero il 6% dei voti che le vengono attribuiti questa settimana da SpinCon.it e, dunque, riesca ad entrare in Parlamento con 20-30 deputati. Quali prospettive? Resterebbe all'opposizione o sarebbe disponibile ad entrare in una maggioranza di governo? E nel primo caso, dialogo o intransigenza?

Ovvio che nel merito Giannino continuerebbe a perseguire il suo progetto di "rivoluzione liberale" (meno spesa, meno tasse, meno Stato), ma qual è la strategia affinché la sua impresa, e i suoi voti, non si riducano ad una mera testimonianza, e possano invece avere qualche chance di successo? Finora, da questo punto di vista, la campagna elettorale di Giannino e i suoi è stata molto carente, non ha fornito alcun elemento di chiarezza, tranne un viscerale antiberlusconismo. Vuol dire forse che gli elettori di Giannino per cambiare il paese dovranno aspettare che di 5 anni in 5 anni raggiunga il 51% dei consensi? O molto prima farà la fine dei Radicali, che gettarono al vento l'8,5% dei voti raccolti alle Europee del 1999?

Il disegno politico, ammesso che esista, non si vede, non è intellegibile. E attenzione: non si tratta solo della disponibilità a collaborare o ad allearsi con questo o quel pezzo di ceto politico. Per cui non basta rispondere, per esempio, che a destra non c'è spazio finché ci sarà Berlusconi. Anche perché è molto discutibile che ciò sia vero. Uno dei principali difetti dei nostri politici, e Giannino non fa eccezione, è che ragionano troppo in termini di ceto politico esistente e si preoccupano troppo poco di rivolgersi, saper parlare, ad un target preciso di elettorato. Per quasi un anno il Cav è stato lontano dalle scene e il suo partito ridotto ai minimi termini. Lo spazio per provare a contendergli il suo elettorato era enorme, eppure nessuno ha saputo proporre un'offerta adeguata allo scopo. A quali elettori mira Giannino? A tutti (e quindi a nessuno)? Oppure, prima via Berlusconi, poi si vedrà? E davvero tutto dipende dal passo indietro di Berlusconi e da quello in avanti di Renzi?

Friday, December 07, 2012

AAA nuova offerta politica di centrodestra cercavasi

Anche su L'Opinione e Notapolitica

AAA nuova offerta politica di centrodestra cercasi. Ha avuto un anno di tempo per manifestarsi. Un anno in cui Berlusconi – tra passi indietro, avanti e di lato – e il Pdl sono rimasti nel totale immobilismo, anzi impegnati in un'incessante opera di autolesionismo, travolti dagli scandali, in verticale perdita di consensi. Mai momento fu più propizio. Il Cav. era all'angolo, il suo partito allo stremo. Perché non si è (ancora) manifestata questa nuova offerta? Dov'è quel PPE italiano che avrebbe dovuto aprire l'era post-berlusconiana? E non si risponda finché Berlusconi è in campo eccetera eccetera. Cosa bisogna aspettare per farsi avanti, che muoia? Mai le truppe berlusconiane sono state così sbandate e il loro generale così lontano dal campo di battaglia. Eppure...

Tutti coloro che con ottime ragioni hanno manifestato la necessità di liquidare il fallimentare berlusconismo sostituendolo con una forza popolare, moderna, europea, hanno commesso un errore fatale. Invece di rivolgersi direttamente al "popolo" deluso e disgregato di centrodestra – come fece con successo Berlusconi nel 1994, durante la prima grave cesura del nostro sistema politico repubblicano – si sono gingillati in esasperati tatticismi, intestarditi in manovre tutte interne al ceto politico, ignorando un dato fondamentale nel paese: in questo ventennio gli elettori di centrodestra, pur con tutte le loro differenze, sono stati abituati a ragionare in termini bipolari e alternativi al centrosinistra. Questa "alternatività" i milioni di elettori lasciati per 12 mesi in libera uscita da una forza che dal 38% è scesa al 15, non l'hanno vista in Casini, di cui già non si fidavano, né in Montezemolo e nella sua ItaliaFutura, né in Monti, e addirittura nemmeno nei liberisti duri e puri di FermareilDeclino. Non credono più a Berlusconi, sono disgustati dal Pdl, ma i sondaggi e le parziali scadenze elettorali di quest'anno dimostrano che non si sono spostati a sinistra, né sono attratti dal Terzo polo o da Grillo. Sono sì in attesa di una nuova offerta politica, ma chiaramente di centrodestra.

Gettare le fondamenta di un PPE italiano attorno alla personalità di Mario Monti avrebbe potuto (potrebbe ancora?) funzionare se il professore avesse accettato – non subito, ovviamente, ma sul finire della legislatura – di giocare un simile ruolo politico, visto che lui stesso si è definito culturalmente vicino al popolarismo europeo. Il premier, insomma, doveva decidere se diventare un De Gasperi, un Ciampi, o un Dini. Ma se Monti preferisce restare super partes, riserva della Repubblica, per i soggetti che a lui si richiamano (Casini e Montezemolo) si fa dura: significa di fatto rendersi disponibili a fare le "stampelle centriste" di un Monti-bis sostenuto da una maggioranza egemonizzata dalla sinistra Bersani-Cgil. Una prospettiva che non può allettare gli elettori di centrodestra.

Per Casini si trattava di lavorarsi i "montiani" del Pdl affinché spingessero Alfano a rottamare Berlusconi. E per poco non gli riusciva. Ma a parte il fatto che gli elettori di centrodestra non avrebbero affatto seguito una classe dirigente, quella del Pdl, di cui non hanno alcuna stima, verso un "centrismo montiano" non chiaramente alternativo alla sinistra, visto che il professore non si schiera, c'è anche da dubitare che Casini a quel punto avrebbe dato seguito alla chimera dell'"unità dei moderati", visto che ha sempre lavorato a destrutturare il bipolarismo, per un sistema in cui il centro possa di volta in volta, dopo il voto, allearsi con chi esce vincitore dalle urne.

Anche Montezemolo, pur respingendo qualsiasi "avance" di pezzi del vecchio ceto politico, ha ceduto però ad alcuni autoproclamati (e molto interessati) rappresentanti della cosiddetta "società civile". Timoroso di scendere in campo in prima persona, anche lui ha dato il nome di Monti alla sua lista e lanciato un'alleanza con il mondo del socialismo cattolico – Acli, Sant'Egidio, Cisl – che, come ripete da un paio di giorni uno dei suoi più autorevoli esponenti, guarda al Pd.

FermareilDeclino è l'unica potenziale nuova offerta che non ha peccato di politicismo e si è concentrata sui contenuti. Ma ha ecceduto in anti-berlusconismo – viscerale, sconfinato in un atteggiamento di colpevolizzazione dell'elettorato di centrodestra – e in intellettualismo. Tipico dell'intellettuale è il gusto della provocazione e il voler convincere tutti delle proprie tesi – così si spiegano gli appelli a Renzi e ai suoi elettori scambiati per liberisti "in sonno" – mentre l'iniziativa politica richiede di individuare la tipologia di elettori cui rivolgersi per affinare il messaggio.

Insomma, per ragioni diverse – nobili quelle di Monti e dei promotori di FermareilDeclino, "politiciste" quelle di Casini e Montezemolo – nessuno finora ha davvero messo in campo una nuova offerta politica di centrodestra. Dunque, se oggi Berlusconi può osare ri-discendere in campo, è soprattutto per il vuoto lasciato dall'esasperato tatticismo di chi, probabilmente, non ha mai avuto in mente un'idea di centrodestra maggioritario a cui gli elettori potessero sintonizzarsi.

Thursday, December 06, 2012

Il liberismo "buono" è solo quello che non c'è: a sinistra

La sudditanza culturale dell'"intellettualità liberista"

Al direttore – Da liberista mi ritrovo più nella critica di Mucchetti all'"intellettualità liberista" che guarda a sinistra che nella replica del liberista Stagnaro. Non c'è dubbio, Renzi è un innovatore, ma il suo approccio è "blairiano", non liberista. Da liberisti tifiamo tutti per lui, perché una sinistra moderna, "blairiana", che abbraccia mercato e merito, non può che far bene a se stessa e al paese. E guardando al deserto che offre l'attuale centrodestra, dal punto di vista di un elettore liberale-liberista avrebbe potuto senz'altro rappresentare il male minore, se avesse vinto le primarie. Ma da qui a pensare di costruire un'offerta politica liberista suggerendo al sindaco di Firenze di uscire dal Pd per guidarla (Giannino), o appellandosi ai suoi elettori delusi (Zingales), ce ne passa.

L'affermazione "il liberismo è di sinistra" ha senso solo come provocazione intellettuale, in un mondo ideale in cui la sinistra si batte per offrire maggiori opportunità agli outsider meritevoli, per uno Stato leggero che concentra le sue risorse sui veri bisognosi, e la destra favorisce insider e status quo. Ma se calata nella realtà politica dei paesi occidentali nell'ultimo secolo, ma anche nell'ultimo ventennio, è un ossimoro: la destra non sarà stata quasi mai un modello di liberismo, ma quasi sempre molto meno statalista della sinistra. Chi ambisce a costruire un'offerta politica liberista non può ignorare cos'è stata e cos'è la sinistra in Italia (e non solo), cosa pensano i suoi leader e quali sono gli interessi dei blocchi sociali che tradizionalmente rappresenta.
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Monday, December 03, 2012

E adesso? Consigli non richiesti al "giovane" Renzi

In queste ore tutti a dare consigli a Renzi, cosa deve o non deve fare. Premesso che mi sembra se la sia cavata benissimo da sé, mi unisco al giochino con due parole, anzi quattro. Partiamo da una mini-analisi del voto, cosa gli è mancato. Non ha sfondato tra gli elettori tradizionalmente del Pd, di sinistra: molti di questi lo hanno seguito sul concetto di "rottamazione" interna, insomma per un rinnovamento generazionale, ma solo su questo. E' sui contenuti che non ha potuto allargare il consenso, perché presso quell'elettorato è indubbio, bisogna ammetterlo, quei contenuti liberali, chiamiamoli "blairiani", non hanno alcuna presa. Anzi, suscitano sospetti e ostilità anche feroci. Lungi dall'aver dimostrato che le sue idee «fanno parte del patrimonio del centrosinistra», con un loro peso e un loro consenso, Renzi ha perso proprio perché da quell'elettorato sono avvertite (ancora) come «una specie di cavallo di troia della destra». Per farcela, dunque, si sapeva fin dall'inizio, avrebbe avuto bisogno dell'appoggio in larga misura di elettori non di sinistra, voti d'opinione, indipendenti o di centrodestra, che però sono stati tenuti a debita distanza dalle regole. Non solo dalla impossibilità pratica di registrarsi al ballottaggio, ma anche dal dover dichiarare il falso all'atto della registrazione, cioè l'impegno a votare centrosinistra qualunque candidato avesse vinto. Sì, c'è ancora qualcuno che non mette la sua firma a cuor leggero.

E adesso? Sicuramente Renzi non deve abbandonare il Pd, per i motivi che lui stesso ha spiegato. Non se ne può più di gente che cambia casacca o si fa il suo partitino. Dobbiamo abituarci ad un sistema maturo in cui chi vuole far politica sceglie una parte della barricata e porta avanti le proprie idee all'interno di essa, almeno laddove esiste un minimo di contendibilità della leadership. Credo che al di là della legge elettorale scopriremo che gli italiani sono ancora piuttosto affezionati dal concetto di bipolarismo. Fermareildeclino e ItaliaFutura che a loro modo fanno appello agli elettori di Renzi delusi dalla sconfitta, o addirittura sognavano che il sindaco di Firenze uscisse dal Pd per offrirsi come loro leader, figura di cui sono drammaticamente sprovvisti, fanno tenerezza: non hanno capito che il 90% dei suoi elettori alle primarie voteranno comunque Pd e che Renzi non è un "liberista".

Renzi ora deve tornare a fare il sindaco, come aveva promesso, non deve parlare più fino alle elezioni. Il candidato premier è Bersani e, com'è giusto, dove non richiesto Renzi non deve intervenire per non offrire il fianco a strumentalizzazioni: per lealtà, e per sua stessa convenienza. Il congresso sarà la sua prossima partita e se il Pd sarà al governo potrà ricominciare a tessere, senza però dare l'impressione del sabotatore dell'esperienza di governo appena cominciata. L'establishment del partito cercherà di neutralizzarlo, con proposte piuttosto generose ai suoi uomini, per allontanarli da lui, o "normalizzandolo" in una corrente. Renzi deve evitare di farsi "correntizzare". E se Bersani riesce davvero ad arrivare a Palazzo Chigi, non deve assolutamente condividere responsabilità di governo, non deve fornire alibi: meriti e demeriti siano tutti attribuibili al segretario. Qualche parlamentare di riferimento, più che altro ideale, ma non una "componente" a lui riconducibile, perché o si sputtana, se costretto a sostenere per lealtà provvedimenti impresentabili, o passa per traditore se esercita spirito critico. Renzi si deve divincolare, insomma, dall'abbraccio che quasi sicuramente tenterà l'Apparatchik.

Tanto, se tutto andrà come deve andare, o Bersani a Palazzo Chigi non ci entra proprio, e Renzi avrà gioco facile a dimostrare l'ennesimo fallimento di credibilità della vecchia guardia, o ci entra ma non dura più di uno o due anni al massimo. In ogni caso, potrebbe essere una legislatura breve, di transizione.

Friday, October 26, 2012

Socialismo cattolico in carrozza con Montezemolo

Il flirt tra Fermareildeclino e ItaliaFutura si conclude così: alle idee liberiste Montezemolo ha preferito la potenza organizzativa dell'associazionismo cattolico-solidarista, quello che chiamo socialismo cattolico; a Giannino ha preferito Bonanni, la Cisl, le Acli, insomma il mondo di Todi, che da mesi era alla ricerca di "mezzi" per un impegno politico diretto, che non fossero però i vecchi arnesi Pdl, Udc e Pd, né un nuovo partito cattolico.

Hanno finalmente trovato un "passaggio", e sono saliti sulla "carrozza" di Montezemolo, che negli anni ha sfornato più di un manifesto-appello, una lunga sequenza di testi sempre più annacquati fino ad arrivare a quello democristiano di oggi, che è davvero una presa in giro. Serve sostanzialmente a sancire la nuova alleanza di interesse, con un elenco di firmatari che sembra una lista elettorale già scritta, ma nulla dice di concreto su come riformare il paese. E certo avere la Cisl, primo sindacato nel pubblico impiego, tra gli  azionisti di maggioranza non promette grandi spinte al cambiamento nella pubblica amministrazione e nella scuola.

Dietro la retorica anti-partitica e una pretesa «apertura alla società civile», va di moda invocarla anche se nella definizione può rientrare tutto o niente, sono riconoscibili specifici e molto particolari interessi - legittimi, per carità. Da notare che c'è subito una forte presa di posizione contro i «conflitti di interesse», come se molti dei firmatari non fossero espressione di associazioni e cooperative che hanno, ovviamente e legittimamente, i loro interessi economici.

Tra le tante ovvietà, si guarda all'avvento di una «Terza Repubblica», senza nemmeno delinearne i tratti istituzionali che si auspicano abbia, e si rivendica una «continuità» con il governo Monti, per «una stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e liberale». Il nuovo soggetto, insomma, ha la pretesa di professarsi allo stesso tempo democratico, popolare e liberale (culture politiche molto diverse che si dividono quasi tutto lo spettro politico, come accade nel PE). Un po' di tutto, e molto di niente, perché l'importante è esserci, a prescindere dal cosa fare, per un mondo non più disposto a delegare la rappresentanza dei propri interessi.

Il flirt con Fermareildeclino era coinciso con la fase di maggiore impronta riformatrice e liberale di ItaliaFutura. Comprensibile quindi un certo "stupore" nel vedere come dall'oggi al domani si sia trasformata (con un input di certo calato dall'alto, a proposito di democrazia e trasparenza interna) in un'operazione centrista, una ridotta di catto-solidaristi, con un manifesto moderatissimo quando lo stesso Monti ha spiegato che al nostro paese servono riforme radicali e non moderate.

Quanto a FiD, premetto che non ho aderito, pur coindividendo (quasi) tutto il programma, perché nonostante le ottime idee e persone per ora non mi sembra un soggetto in grado di sviluppare alcuna prospettiva politica, quindi condannato all'isolamento e al velleitarismo. Magari maturerà, ma non intende "sporcarsi le mani". Nel caso specifico però, per come la vedo da fuori, è ItaliaFutura che ha deciso di volgersi da tutt'altra parte, anzi forse proprio di scrollarsi di dosso FiD, e non Giannino e compagni ad aver fatto gli schizzinosi. A questo punto, se proprio bisogna "sporcarsi le mani", perché altrimenti non si va da nessuna parte - e io credo che sì, bisogna sporcarsele - tanto vale farsi coraggio e partecipare alle primarie del Pdl, almeno andare a vedere il bluff, piuttosto che salire in carrozza con Montezemolo e Bonanni.

UPDATE ore 17:40
In questo post Andrea Romano smentisce la ricostruzione di Oscar Giannino, che sarebbe stato messo a conoscenza del testo del manifesto due settimane prima e non all'ultimo momento. Al di là di come siano andate le cose tra di loro, mi pare che effettivamente il punto sia il giudizio sul governo Monti, come spiega Romano: da superare, per Giannino e i suoi, da assicurarne la "continuità", per i montezemoliani. Resta da capire 1) quale sia realmente, in concreto, l'agenda Monti se il professore non chiederà esplicitamente agli italiani di essere rimandato a Palazzo Chigi; 2) quali siano, in concreto, le riforme che sosterrà l'alleanza Montezemolo-Todi; 3) come si possa pensare di riformare il paese con uno dei sindacati che ha opposto resistenza persino alle timide riforme avanzate dal governo Monti in questo scorcio legislatura (per non parlare dei danni di cui si è reso responsabile nei decenni).

Thursday, October 25, 2012

Primarie, non è il momento di essere troppo choosy

La doppia mossa di Berlusconi (ritiro e primarie) era l'unica possibile, necessaria anche se non sufficiente, per tentare di rianimare il Pdl e rifondare il centrodestra. Ora occorre che siano primarie credibili: le più aperte possibili nelle regole, per attirare il maggior numero di elettori, non solo i militanti, e candidature estranee alla nomenclatura del partito; che non siano le vecchie facce a infestare tv, radio e giornali, monopolizzandone la comunicazione; e che si confrontino linee politiche davvero differenti, perché il Pdl, e un ipotetico nuovo centrodestra, ha urgente bisogno di sciogliere la matassa ormai indistinguibile della sua politica economica, il cui bandolo negli anni si è perso, tra la mutazione del tremontismo e veri e propri rigurgiti assistenzialisti. Solo poche ore fa i deputati del Pdl in Commissione Lavoro (con la sola eccezione di Cazzola) hanno votato, insieme al Pd, un aumento delle tasse per sussidiare gli esodati.

Come dimostra l'agguerritissima corsa nel centrosinistra, le primarie fanno bene ai partiti che le organizzano. Il Pd ci ha guadagnato: in centralità nel dibattito politico, mobilitazione della propria base, interesse suscitato nell'elettorato potenziale e, dunque, anche qualche punto nei sondaggi. Anche se personalità e gruppi esterni decidessero di non prendervi parte, e dovessero quindi ridursi ad un confronto interno, praticamente un congresso di 6-7 settimane, le primarie non potranno nuocere al Pdl più dell'attuale immobilismo.

Per questo, per chi ambisce a liquidare il Pdl, o a rinnovare l'offerta politica nel centrodestra, restare a guardare potrebbe rivelarsi politicamente costoso. La diffidenza è comprensibile, ma il definitivo passo indietro di Berlusconi e le primarie tolgono molti alibi ai vecchi e nuovi attori troppo choosy. Rappresentano una indiscutibile novità e opportunità di rinnovamento, sia della struttura sia del ceto politico del centrodestra. Si può diffidare delle reali intenzioni del Pdl, ma se la precondizione per l'avvio di qualsiasi dialogo era il ritiro di Berlusconi e la contendibilità della leadership, ora bisogna almeno sedersi al tavolo per andare a vedere le carte.

C'è il tatticismo esasperato di Casini, che però a forza di aspettare il cadavere del Pdl passare, potrebbe morirci sulla riva del fiume. E c'è la preoccupazione legittima di chi vuole presentarsi come novità assoluta (vedi Fermareildeclino e Montezemolo) di non sporcarsi le mani con un ceto politico ormai compromesso. Ma se non si hanno le forze per puntare ad essere maggioritari, per spazzare via tutto a suon di milioni di voti, la politica è anche "sporcarsi le mani", mettersi in gioco, farsi contare, se non si vuole essere velleitari. Saranno primarie-farsa al solo scopo di incoronare Alfano? Se così fosse, però, la responsabilità sarebbe anche dei mancati sfidanti troppo choosy.

Wednesday, October 10, 2012

Basta bluff incrociati: primarie aperte per un centrodestra "all'americana"

Non è la prima volta che l'ex premier si rende disponibile a farsi da parte pur di riunire quelli che chiama i "moderati", ma forse mai in modo così esplicito. E, soprattutto, a differenza che in altri momenti, oggi ci troviamo davvero nei minuti di recupero. Non solo per il Pdl, anche per gli altri attori che da anni puntano a raccoglierne l'eredità ma che, sempre più vicini all'ora "X", appaiono impreparati.

Quello di Berlusconi, dunque, è sì ancora tatticismo, ma non va confuso con l'inganno. La disponibilità a farsi da parte, a non ricandidarsi, è reale, ma condizionata a sua volta alla disponibilità degli altri a riunire il centrodestra. A questo punto, la logica vorrebbe che chi ha posto la condizione del passo indietro del Cav, vedendola soddisfatta, si sieda almeno al tavolo della trattativa. Perché, invece, gli attori cui si rivolge il Cav non vanno a vedere le sue carte? Cosa ancora impedisce un rassemblement del centrodestra? E se a bluffare non fosse (solo) Berlusconi, ma quanti fino ad oggi hanno insistito nel chiedergli un passo indietro?

Forse qualcuno preferisce curare il proprio orticello, lucrare sulla propria piccola rendita di posizione, piuttosto che mettersi in gioco in un progetto più vasto, inclusivo. Il tempo stringe, ma sembra che nessuno dei soggetti di area centrodestra – vecchi e nuovi – intenda abbandonare i tatticismi e giocare a carte scoperte. Casini sa che i delusi da Berlusconi resterebbero a casa o voterebbero Grillo piuttosto che consegnarsi a lui e a Fini. Non devono essere esaltanti i sondaggi, se Montezemolo ha deciso di non candidarsi a capo della sua lista. Senza leader, e ancora troppo elitario, anche il movimento Fermareildeclino ad oggi non può realisticamente pensare di andare molto oltre la soglia di sbarramento.

Eppure, ciascuno con le proprie debolezze e inadeguatezze, tutti sembrano attratti dal tanto peggio tanto meglio: meglio aspettare in riva al fiume che passi il cadavere del Pdl per grattargli qualche punto percentuale, piuttosto che rischiare di rianimarlo accettando di trattare con Berlusconi per rifondare il centrodestra. Al momento la realtà è che il Pdl è in coma profondo, ma i vecchi (Udc) e nuovi (IF e FiD) soggetti non sembrano rappresentare alternative davvero in grado di "coalizzare" una massa critica di elettori di centrodestra. Comprensibile che i nuovi non vogliano accompagnarsi ai vecchi e agli screditati personaggi politici, ma il rischio è che nessuno da solo riesca a toccare quota 20%. E con un Pd più Vendola verso il 30 e oltre sarebbe poi difficile immaginare di vincere le elezioni, o anche solo "scippare" la vittoria a Bersani per un Monti-bis.

È in questo scenario che a salvare il salvabile ci proverebbe, ancora una volta, Berlusconi. Che sarebbe più convincente se invitasse chi ci sta ad organizzare subito primarie apertissime (ovviamente annunciando di non voler correre) per la leadership del futuro centrodestra, in un'ottica "fusionista", guardando al modello americano. I suoi interlocutori, anche quelli nel Pdl, sarebbero messi con le spalle al muro: sfumata la possibilità di ereditare alcunché o di ergersi sulle macerie altrui, sarebbero costretti a sottoporsi al giudizio degli elettori come leader del nuovo centrodestra o a tacere per sempre.
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Tuesday, October 02, 2012

L'effetto Monti: si affolla il fronte anti-Bersani

Ma al prof. conviene chiedere agli italiani

La parziale e cauta frenata di ieri da parte di Monti («quando lasceremo ad altri, nei prossimi mesi, il governo...»), per alleggerire la tensione su Pd e Pdl, non cambia le carte in tavola: la sua  disponibilità non a candidarsi premier ma ad essere richiamato in servizio dopo il voto ha smosso le acque della politica italiana. Rischia addirittura di sconvolgere la geografia e la morfologia dei partiti. Se il discrimine degli ultimi vent'anni è stato quello tra berlusconismo e antiberlusconismo, sembrerebbe che se ne stia per costituire uno nuovo, tra montismo e antimontismo. Entrambi, in realtà, non sono che i fenomeni visibili di quella sorta di cordone sanitario che puntualmente si riattiva per evitare di consegnare la guida del paese ai post-neo-comunisti.

Il bis di Monti oggi è auspicato da Washington a Berlino, passando per Bruxelles, dal mondo finanziario ed economico, sia internazionale che nostrano – dalle elites, insomma – ma più si avvicina il momento delle elezioni e più sarà chiaro anche agli italiani, a quella parte maggioritaria che non si fida della sinistra, che è l'unica alternativa realistica ad un governo Bersani-Vendola. Com'era previdibile, Casini e Fini sono stati i primi ad aggrapparsi alla zattera Monti. Non era scontato, anche se non sorprende, che lo abbia fatto Montezemolo. Se il numero uno della Ferrari non si candida in prima persona non è perché disinteressato alle poltrone, o per rompere con i personalismi della II Repubblica. Semplicemente i sondaggi non sono favorevoli e a Luchino piace vincere facile, avere la pista tutta per sé, piuttosto che doverci mettere la faccia e sudarsela, rischiando la figuraccia: così come non si sarebbe mai candidato sfidando Silvio, oggi non osa intralciare la strada che porta al Monti-bis. Sperando, magari, di essere ricompensato con una chiamata a far parte della squadra.

Ma anche nel Pdl e nel Pd qualcosa si muove...
(...)
Insomma, Monti è in campo e nessuno può più far finta di niente. Ed è forse sbagliato chiamarlo "Monti-bis". Stavolta non si tratterebbe di una carta d'emergenza, ma di una vera e propria ipotesi politica, prospettata già prima del voto e dopo un anno e mezzo di governo. C'è tutto il tempo perché anche gli elettori più disgustati dalla politica comprendano la posta in gioco. E per chi si porrà il problema di come fermare la gioiosa macchina da guerra 2.0 di Bersani, si profila un menu abbastanza ricco da accontentare tutti i palati, dai più abitudinari ai più esigenti: c'è l'aperitivo delle primarie servito da Renzi; mentre alle politiche la vecchia zuppa Pdl, la minestra riscaldata di Casini-Fini, o nuove portate, quella «riformatrice e liberale» di Montezemolo e quella liberista di Fermareildeclino. Anche Giannino e i suoi si sono dovuti esprimere sull'ipotesi Monti e hanno colto il nodo.

Chiaro che Monti sia preferibile a Bersani, ma tranne quella delle pensioni le altre riforme sono state un bluff. Con il prof si galleggia anziché affondare, ma per tornare a navigare non basta Monti, bisogna emendare la sua "agenda" nel senso giusto, quello indicato da Fermareildeclino (meno Stato, meno tasse), ma anche dal Pdl (debito e cuneo fiscale), per quanto meno credibile per i trascorsi al governo. Non si rende conto Monti che proprio non candidandosi apertamente, non promuovendo una lista o un rassemblement, non chiedendo il consenso dei cittadini spiegando loro cosa vorrebbe fare nei prossimi cinque anni, illudendosi di diventare "politico" senza sporcarsi le mani, rischia di offrirsi come zattera di salvataggio per vecchie nomenclature parassitarie o come tram per opportunisti senza coraggio? Se il suo bis prendesse forma semplicemente da un impasse politico, rischierebbe di restare prigioniero dei veti contrapposti di una maggioranza troppo disomogenea, come accaduto da marzo in poi. Viceversa, uscendo dall'illusione dell'unità nazionale, rivelando il suo programma per ottenere una legittimazione popolare, costringerebbe i nemici della sua "agenda" ad uscire allo scoperto.
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Monday, September 10, 2012

Il Monti-bis e i partiti alle misere manovre

Gli ultimi dati Istat indicano che il nostro Pil quest'anno sta precipitando verso un rovinoso -3%. Il calo nel II trimestre è stato dello 0,8%, -2,6% se confrontato con il II trimestre 2011. Nel 2012 abbiamo già acquisito una perdita del 2,1%. Per mantenerci entro il -2,5% la caduta dovrebbe quasi arrestarsi nei prossimi due semestri, ma nulla fa pensare che sarà così. I dati dei consumi parlano chiaro: la spesa delle famiglie italiane nel II trimestre è scesa del 3,5% (-10,1% gli acquisti di beni durevoli, -3,5% i non durevoli, -1,1% i servizi). Solo cinque mesi fa il governo stimava un calo del Pil annuo dell'1,2%. Delle due l'una: o ha colpevolmente sottovalutato gli effetti depressivi delle sue politiche, oppure ha consapevolmente tentato di nascondere la realtà.

Sia come sia, questi dati confermano che lo scudo anti-spread messo a punto da Draghi non risolve da solo i problemi dell'Italia. La sfida resta quella di trovare una politica credibile per abbattere il debito senza deprimere l'economia, risultato a cui invece ci sta portando la ricetta Monti. Su questo dovrebbe vertere la campagna elettorale alle porte, ma i partiti sembrano piuttosto concentrati sulle alchimie politiche. Il Pdl in queste prime fasi risulta non pervenuto, incapace di iniziativa politica, paralizzato in attesa della decisione di Berlusconi sulla sua ricandidatura. A onor del vero, una proposta concreta per abbattere il debito l'ha elaborata, ma leadership e personale politico non rinnovati non la rendono credibile.

Per il Pd il governo tecnico è servito a "cacciare" Berlusconi e a varare decisioni impopolari, un intermezzo necessario a preparare la presa del potere. Bersani scalpita, vede Palazzo Chigi a portata di mano e scalda i motori della sua gioiosa macchina da guerra 2.0, che lo fa assomigliare a Occhetto nonostante lui si creda Hollande. Si dice pronto, davanti all'Italia e al mondo, ad assumersi la responsabilità di governare, ma per ora si barcamena, cercando di scacciare i fantasmi di Monti e Renzi. La campagna del giovane sindaco di Firenze è per lo più rivolta al rinnovamento interno, non si capisce ancora in che direzione guiderebbe il Paese. Ma dal Pd non servono tante parole, sappiamo cosa aspettarci: rigore a base di tasse, quindi depressivo, e tentativo di rilancio con investimenti pubblici nelle ristrette pieghe del bilancio. Il piano l'ha svelato D'Alema qualche giorno fa: arrivare primi e convincere Casini a governare con Vendola.

Casini spera invece di convincere il Pd a sostenere un Monti-bis. E' più interessato alle formule, a rafforzare la sua rendita di posizione, sperando in un risultato elettorale incerto che disponga i due poli a farsi guidare verso il centro. Crede che come programma basti una generica evocazione dell'"agenda Monti" e come rinnovamento una sorta di Udc allargata a qualche esponente della società civile (Marcegaglia, Bonanni) e a qualche ministro "tecnico" (Passera, Riccardi). Ma che credibilità avrebbero personaggi che accettassero di "intrupparsi" senza chiari impegni al cambiamento, né programmatico né di apparato? «La pesca a strascico di Casini e i docili tonni della società civile», è il duro attacco di Montezemolo via Italia Futura.

Prende le distanze dall'Udc anche Fermareildeclino, le cui proposte sono tra le più chiare e condivisibili. Ma restano l'incertezza su leadership e personale politico (come per Italia Futura) e il rischio che un certo antiberlusconismo viscerale che contraddistingue Giannino & Co possa apparire troppo colpevolizzante per gli elettori che in Berlusconi hanno creduto e che FilD con la sua agenda mira a conquistare.

Quanto a Monti, il premier ha osservato nei giorni scorsi che «l'Italia ha bisogno di un governo politico», ma in un modo che non sembra escludere una continuazione della sua esperienza, a suo giudizio tutt'altro che "tecnica". Il professore però continua a giocare da riserva della Repubblica: disponibile a tornare a guidare il Paese "su richiesta" dopo il voto, se i partiti lo chiameranno di nuovo, o per l'impossibilità di formare una maggioranza o per il peggioramento del quadro economico. Rispetto ad un governo Bersani-Vendola, l'ipotesi Monti-bis è senz'altro il male minore. Ma se spuntasse come opzione residuale per superare uno stallo post-elettorale rischierebbe di fungere da zattera di salvataggio dei vecchi partiti, senza un mandato forte per le riforme necessarie. Un conto è un premier calato dall'empireo per uno scorcio di legislatura; tutt'altro all'inizio di una nuova, sostenuto tra i mal di pancia di chi si sente scippato della vittoria elettorale e di chi è tentato di svolgere fino in fondo il ruolo dell'opposizione per recuperare i consensi perduti. Se Monti dev'essere, che gli italiani trovino il suo nome sulla scheda e che le forze politiche si riposizionino di conseguenza.

Tuesday, September 04, 2012

Alternative a Bersani-Vendola cercasi. Fate presto

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D'accordo, abbiamo passato un agosto relativamente tranquillo. Lo spread non ha fatto troppo le bizze e la Borsa ha chiuso il mese sopra i 15 mila punti. Niente tempesta di Ferragosto, anche gli speculatori sono andati in vacanza. Ma la crisi non è finita. Ce lo ricordano i dati Istat sull'occupazione, ancora in calo, quelli sul mercato dell'auto (negativi non solo in Italia) e le stime di Confcommercio sui consumi, nel 2012 calo del 3,3% con possibile chiusura di 150 mila attività commerciali. A settembre, dunque, si torna a fare sul serio ed è l'ora delle decisioni. I mercati sono in attesa di verificare i meccanismi di stabilità finanziaria che l'Europa si è impegnata a mettere in campo. Per quanto riguarda l'Italia, il governo è chiamato a fissare l'agenda per mettere a frutto i suoi ultimi mesi e a decidere sulla richiesta di aiuti Ue, mentre in vista delle elezioni del 2013 il mondo politico deve cominciare a dare risposte credibili per il dopo-Monti.

In particolare, chi è interessato a evitare un governo Bersani-Fassina-Vendola deve darsi una mossa, mettere da parte ambizioni, o piuttosto velleità personali, per offrire al paese un'alternativa credibile. La situazione appare molto simile a quella del '93-'94: c'è una gioiosa macchina da guerra che non vede l'ora di mettere le mani sull'intero bottino (forte è la tentazione di scaricare sul Pdl le colpe di un mancato accordo di riforma della legge elettorale e tornare al voto con il "porcellum"); gli italiani provano nausea per i vecchi partiti e non si fidano di Bersani, l'Occhetto dei nostri giorni; il 40% circa dell'elettorato si dichiara indeciso e una grossa fetta è in attesa di un'offerta politica nuova. Solo che non si profila all'orizzonte un leader con una sufficiente capacità d'aggregazione, come fu Berlusconi nel '94.

Il Pdl non è riuscito a rilanciarsi e il tempo sta scadendo, o è già scaduto. Qualche timido passo l'ha mosso nelle settimane scorse, ma troppo poco. È immobile e continuamente risucchiato nell'eterno tramonto del suo leader, caratterizzato dall'indecisionismo su tutto: candidatura, sostegno a un Monti-bis, legge elettorale, linea economica, politica europea. Casini ha già avuto dimostrazione alle amministrative che i voti in uscita dal Pdl difficilmente prendono la strada dell'Udc. Il suo piano di sostituirsi a Berlusconi come federatore di una rinnovata area moderata e di centro non sembra avere molte chance. Rischia di restare appeso ad un 6-7%, lusinghiero e sufficiente per mantenere la sua rendita di posizione ma non per determinare rivoluzioni nel campo moderato. Poi ci sono i "nuovi" - Grillo, Italia Futura e i liberisti di "Fermare il declino" - che giustamente rifiutano di accompagnarsi ai "vecchi" e puntano non all'ennesimo partitino, ma a rappresentare un'offerta politica maggioritaria, almeno nel loro campo. Tradotto in voti: almeno un 20%. Pdl, Udc, Italia Futura e anti-declinisti sono tutti in corsa per lo stesso settore dell'elettorato: quello deluso dal centrodestra berlusconiano ma che rifiuta di "buttarsi" tra le braccia della sinistra-sinistra di Bersani. Tutti rischiano di fallire: i primi due perché percepiti come "vecchi", i "nuovi" perché nonostante gli ottimi propositi potrebbero apparire movimenti troppo elitari, intellettuali.

Da una parte è comprensibile, e positivo, che ciascuno voglia giocare la sua partita; dall'altra il rischio è che nessuna di queste offerte ottenga il consenso necessario a imporsi come forza egemone. Il liquefarsi, o l'eccessiva frammentazione dell'offerta politica nel campo del centrodestra rischia di spianare la strada all'esito che davvero in pochi nel paese si augurano - praticamente il solo Bersani, che si crede l'Hollande italiano. Uniti o divisi questi soggetti dovranno saper mobilitare il blocco elettorale dell'ex centrodestra, per determinare almeno le condizioni per un Monti-bis che ci salvi da una deriva greca.