Pagine

Showing posts with label ppe. Show all posts
Showing posts with label ppe. Show all posts

Tuesday, December 18, 2012

Le convergenze parallele di Monti

Anche su L'Opinione

Le cronache e i retroscena di questi giorni raccontano di un Mario Monti impegnato in esasperati tatticismi ed equilibrismi il cui scopo sembra quello di restare in corsa per entrambe le "caselle" che verranno riempite dopo il voto: Palazzo Chigi e Quirinale. Peccato che per la prima occorra schierarsi, per l'altra restare imparziali. Roba da "convergenze parallele", insomma. A prescindere dagli innumerevoli bizantinismi possibili – quasi sempre efficaci solo nei palazzi, nella testa di chi li escogita, non tenendo conto che alla fine dagli elettori bisogna passare – la situazione può essere riassunta in termini piuttosto semplici. Monti ha dinanzi a sé due scelte entrambe onorevoli: ritrarsi e starsene in silenzio fino a dopo le elezioni, preservando il suo profilo super partes, pronto a offrirsi di nuovo come riserva della Repubblica in caso di pareggio elettorale o condizioni di emergenza e ingovernabilità simili al novembre scorso (linea suggerita dal presidente Napolitano); oppure scendere in campo in prima persona, schierarsi, "abbassarsi" a chiedere agli italiani un mandato politico per proseguire il suo lavoro a Palazzo Chigi. Verrebbe meno alla sua terzietà, all'impegno di non candidarsi, ma per lo meno lo farebbe mettendoci la faccia e senza paracadute istituzionali.

Tutte le altre combinazioni, le infinite sfumature di grigio, che servirebbero a salvare capra e cavoli (preservare il profilo di terzietà, per non bruciarsi la strada verso il Colle, allo stesso tempo escogitando una formula per incanalare il consenso alla "continuità" della sua azione di governo) sono indegne operazioni di palazzo.

L'idea di un'agenda-appello rivolta a tutti i partiti, prevedendo o meno per quelle forze che dovessero aderire il diritto all'uso in "franchising" del nome di Monti per liste e simboli, è un modo per offrire una sponda ai centristi e tornare a Palazzo Chigi con i voti del Pd. Ma sulla scheda ci vanno simboli e nomi, non i programmi. E per quanto siano convincenti le sue idee, le gambe su cui dovrebbero correre (Casini? Montezemolo? Qualche suo ministro?) sarebbero molto meno credibili delle sue. Ancora più beffarda l'idea di una lista «equidistante e autonoma», «che non si allea con alcun partito esistente» (nemmeno con i centristi montiani della prima ora?), quindi portatrice esclusiva dell'"agenda Monti", ma pronta ad allearsi con il Pd di Bersani dopo le elezioni.

In ogni caso, insomma, un'operazione centrista che culminerebbe, dopo il voto, in una manovra di palazzo per tornare a Palazzo Chigi senza mandato politico, solo a seguito di un pareggio elettorale e/o di movimenti scissionisti da Pd e Pdl. Ma il presidente Napolitano ieri ha avvertito il professore: "Toccherà a me dare l'incarico e mi baserò sull'esito del voto". Il rischio, infatti, è che le liste "montiane" non arrivino al 10%, ma se andasse male resterebbe un "capitale" di terzietà sufficiente per puntare al Colle. Per Monti, quindi, si aprirebbe un ruolo alla Ciampi, da "legittimatore" del centro-sinistra.

Oltre alla mancanza di rispetto per gli elettori, sul piano politico vorrebbe dire sciupare l'occasione di una "normalizzazione" in senso europeo – sull'asse Ppe vs Pse – del nostro sistema politico. Sarebbe invece un ritorno alla peggiore Prima Repubblica, con un "centrino" in piena sudditanza e subalternità culturale alla sinistra. Non è questa la storia né il presente dei popolari e dei centrodestra europei.

Né può valere l'alibi Berlusconi. Oggi il Cav conta appena sul 15% del 50% di italiani che esprimono preferenze nei sondaggi, e i centristi ancora meno. Dunque, non rappresentano ostacoli insormontabili per chi volesse davvero dar vita ad una nuova offerta di centrodestra. Se Monti non si fida del vecchio e compromesso ceto politico, c'è una prateria per scavalcarlo del tutto. Certo, bisogna metterci il coraggio, scommettere sulla propria capacità di raccogliere consensi, ma questa è la democrazia, bellezza. Il vero punto è: c'è qualcuno – Monti o chiunque altro – che ha un progetto di centrodestra? Oppure l'unica idea rispettabile è quella di un centro consociativo, stampella della sinistra? Se nessuno ha intenzione di federare i "moderati", o proporre un nuovo centrodestra, come pretendere che Berlusconi lasci?

Insomma, tutto si riduce ad una semplice domanda: vedremo un dibattito tv tra Monti da una parte e Bersani dall'altra? Se no, Monti resterà solo una "risorsa" di palazzo per il centrosinistra. Se avrà coraggio, guiderà un Ppe italiano contro Bersani. Potrebbe perdere, e non potrebbe riciclarsi per incarichi super partes, ma l'atto fondativo resterebbe. Altrimenti, farà il nuovo Ciampi, che servirà al centrosinistra ma non al paese.

Saturday, December 15, 2012

Ppe vs Pse, un terreMonti nel sistema politico italiano

Se l'investitura di Mario Monti da parte dei vertici del Ppe riuniti giovedì scorso a Bruxelles spingesse davvero il premier a rompere gli indugi e a muovere il passo decisivo della sua discesa in campo – la politica non è solo governare, ma anche raccogliere il consenso – il sistema dei partiti della cosiddetta II Repubblica ne verrebbe completamente terremotato. Una sua candidatura a premier alla guida di una coalizione di centrodestra ispirata al popolarismo europeo, non sancirebbe solo la definitiva uscita di scena del Berlusconi leader, come è facile intuire, ma anche il superamento di una certa idea di centrodestra e di centrosinistra.

Porterebbe con sé, in sostanza, una "normalizzazione" in senso europeo – lungo l'asse Ppe-Pse – del nostro sistema politico. A confrontarsi per il governo del paese sarebbero la sezione italiana del Ppe da una parte e quella del Pse dall'altra, le due grandi famiglie politiche che si confrontano in tutti i maggiori paesi europei.
LEGGI TUTTO su L'Opinione

Un esito inevitabile del fallimento dell'idea berlusconiana di centrodestra, tanto demonizzata dalla sinistra. L'anomalia Berlusconi si è portata con sé un'evoluzione "all'americana" del nostro sistema politico: un centrodestra nelle intenzioni (non nei fatti) "fusionista" e un Pd nelle intenzioni (non nei fatti) non solo socialdemocratico. Il fallimento di Berlusconi oggi si porta con sé anche il fallimento di quell'idea di Pd. Se sia un bene o no, dipende dall'idea di paese che ha in mente ciascuno di noi. Per quanto mi riguarda, dipenderà da due cose: quanto liberale sarà la sezione italiana del Ppe (secondo me molto poco) e quanto conservatrice sarà la sezione italiana del Pse (secondo me molto).

La storia insegna che i tratti distintivi delle culture politiche nazionali sono preminenti rispetto alla famiglia politica europea di appartenenza: in Germania i popolari sono più liberali che in Francia e in Italia e i socialisti più moderni che in Francia e in Italia. Insomma, a meno di sorprese, in Italia avremo la sezione di Ppe più democristiana, statalista e bigotta d'Europa e il Pse più socialista e assistenzialista d'Europa.

Friday, December 14, 2012

Come Monti può usare l'investitura Ppe per tornare a Palazzo Chigi senza candidarsi

Isolando Berlusconi e bruciando Bersani

Sui giornali di oggi emergono da un lato il panico del Pd, nell'arrogante intervista di D'Alema al Corriere, dall'altro le penose miserie personali degli oligarchi Pdl, quelli che si riuniranno domenica al Teatro Olimpico, disperatamente aggrappati alla zattera Monti dal momento che quella Berlusconi si è rovesciata.

Monti candidato? No («sarebbe illogico e in qualche modo moralmente discutibile che il professore scenda in campo contro la principale forza politica che lo ha voluto e lo ha sostenuto»). Liste "montiane", in suo nome? Nemmeno («sarebbe un pernicioso bizantinismo). La diffida, vero e proprio monito con tanto di scomunica morale pronta sul tavolo, arriva da D'Alema: il Pd è disposto ad aprire ai "moderati", e riconoscere un ruolo a Monti anche in caso di autosufficienza (al Pd serve un nuovo Ciampi), ma come avversari solo Berlusconi e Grillo. Al Pd piace vincere facile, insomma. Pretende di sceglierseli gli avversari: o quelli facilmente etichettabili come irresponsabili, o i "moderati" buoni, cioè quelli disposti a fare le stampelle della sinistra. Ma soprattutto con questa intervista D'Alema getta la maschera e si rivela come il vero burattinaio della candidatura Bersani e vero e proprio "dominus" del Pd, anche se bisogna riconoscere che nel suo discorso una logica c'è: se si candida, in effetti Monti tradisce la lealtà del Pd e diventa a tutti gli effetti un avversario (da trattare come tale). Non «moralmente», ma politicamente discubitile, e anche istituzionalmente scorretto forse un po' lo sarebbe, dal momento che Monti aveva promesso che a fine mandato non si sarebbe candidato con nessuno schieramento e che una candidatura di parte di un senatore a vita (nominato per meriti extra-politici) non s'è mai vista nella storia repubblicana.

Dopo l'onore dell'investitura da parte del Ppe, a Monti spetta l'onere della candidatura e, soprattutto, del programma. Ma non si può ancora escludere che il professore intenda utilizzare l'endorsement non per mettersi alla testa di un nuovo centrodestra che colmi il vuoto nel campo moderato che spaventa, comprensibilmente, il Ppe, bensì per una manovra centrista che gli consenta di ottenere ciò che vuole restando con le mani (e la coscienza) politicamente pulite. Si accontenterebbe, cioè, marginalizzato Berlusconi dai popolari europei, di far mollare definitivamente gli ormeggi alla zattera dei "montiani" del Pdl, ma resterebbe comunque super partes, puntando sulla minaccia di una sua candidatura e sulla non autosufficienza dell'allenza Pd-Sel per bruciare Bersani e riproporsi anche nella prossima legislatura come premier di una "grossa coalizione" dai "montiani" del Pdl fino al Pd. Pd che di fronte al rischio di una candidatura Monti, quindi di fare la fine della "gioiosa macchina da guerra" del 1994, potrebbe anche decidere di sacrificare le ambizioni del suo segretario. In questo modo Monti avrebbe comunque buone chance di tornare a Palazzo Chigi, senza però precludersi il Colle correndo per uno schieramento, quindi senza svilire i suoi titoli di merito tecnico "abbassandosi" a chiedere i voti. Il Ppe avrebbe il suo Monti-bis e un'area in sintonia con il popolarismo, anche se centrista e non di centrodestra, ma non si può avere tutto.

Thursday, December 13, 2012

Il Ppe sceglie Monti, ma Monti sceglierà il Ppe?

L'invito a partecipare al vertice del Ppe di oggi a Bruxelles si è trasformato per Monti in una sorta di investitura: più o meno tutti i leader - Merkel e Berlusconi compresi - gli avrebbero chiesto di candidarsi premier. Che di fatto Berlusconi ne esca sconfessato conta poco, a questo punto è secondario: non coltivava certo l'ambizione di tornare a Palazzo Chigi. Piuttosto, che il Ppe candidi Monti così esplicitamente getta nello scompiglio Bersani. Ma il premier accetterà di farsi candidare dal Ppe, quindi di schierarsi, tradendo la lealtà di Bersani e del Pd? E avrà il coraggio di correre apertamente per la premiership, l'umità di rimettersi al giudizio degli italiani, rischiando di bruciarsi per il Colle? Continuo a dubitarne.

Le parole di Bersani, «disponibile ad un dialogo con le forze del centro europeiste e costituzionali» in «qualsiasi condizione numerica» dovesse ritrovarsi dopo il voto, cioè che riesca o meno a conquistare la maggioranza dei seggi in entrambe le Camere, rivelano l'errore storico che rischiano di commettere Monti e i "montiani" di diversa estrazione (terzopolisti mancati, montezemoliani e pdiellini). Monti e tutti coloro che auspicano un Ppe italiano "de-berlusconizzato", dovrebbero tenere ben presente che in tutti i paesi europei i popolari sono espressione di un elettorato di centrodestra, non solo di centro, e che nessuno di quei partiti si presenterebbe mai non in alternativa ma come stampella della controparte socialista. Quindi, una candidatura Monti in chiave Ppe avrebbe senso solo nello schema di una sfida bipolare, maggioritaria, non se il gioco è stare nel mezzo. E' ciò che invece rischia di accadere in Italia, se solo allo scopo di isolare, e liquidare Berlusconi, Monti e i montiani non avranno il coraggio di smarcarsi dal tentativo di abbraccio del segretario del Pd, che ha bisogno di un contrappeso centrista per rendere credibile agli occhi dell'Europa e dei mercati la sua alleanza sbilanciata a sinistra e che teme, invece, che attorno a Monti leader si possa coalizzare un nuovo centrodestra alternativo, e vincente, rispetto al suo «squadrone».

Resta difficile vedere il professore accettare di misurarsi nella competizione elettorale, avendo una concezione della democrazia per "titoli", come fosse un concorso, e non per voti, che non si abbasserebbe a chiedere. Il ruolo meno coraggioso, più scontato e comodo che potrebbe preferire, restando apparentemente super partes, è quello di "legittimatore", garante (da Palazzo Chigi o dal Quirinale), di una maggioranza di centro-sinistra. Alla Ciampi, insomma. Se lo volesse, potrebbe davvero ridisegnare il sistema politico, normalizzandolo in senso europeo (Ppe vs Pse), ma dovrebbe mettersi alla testa di una nuova offerta di centrodestra: o riorganizzando le truppe esistenti, oppure – se comprensibilmente non vuole offrire coperture o zattere – scavalcando del tutto il vecchio ceto politico. La sua presenza al vertice del Ppe di oggi rafforza un'«affinità» culturale già più volte espressa, accentua l'isolamento di Berlusconi ma getta anche un'ombra su Bersani, nella misura in cui sembrerebbe preludere a una candidatura a premier in nome del Ppe. Questa «affinità» però per aver un senso, una funzione storica, si deve trasformare in qualcosa di più: non una manovra centrista per arrivare al Colle, ma una candidatura in uno schema di sfida bipolare, maggioritaria.

Friday, December 07, 2012

AAA nuova offerta politica di centrodestra cercavasi

Anche su L'Opinione e Notapolitica

AAA nuova offerta politica di centrodestra cercasi. Ha avuto un anno di tempo per manifestarsi. Un anno in cui Berlusconi – tra passi indietro, avanti e di lato – e il Pdl sono rimasti nel totale immobilismo, anzi impegnati in un'incessante opera di autolesionismo, travolti dagli scandali, in verticale perdita di consensi. Mai momento fu più propizio. Il Cav. era all'angolo, il suo partito allo stremo. Perché non si è (ancora) manifestata questa nuova offerta? Dov'è quel PPE italiano che avrebbe dovuto aprire l'era post-berlusconiana? E non si risponda finché Berlusconi è in campo eccetera eccetera. Cosa bisogna aspettare per farsi avanti, che muoia? Mai le truppe berlusconiane sono state così sbandate e il loro generale così lontano dal campo di battaglia. Eppure...

Tutti coloro che con ottime ragioni hanno manifestato la necessità di liquidare il fallimentare berlusconismo sostituendolo con una forza popolare, moderna, europea, hanno commesso un errore fatale. Invece di rivolgersi direttamente al "popolo" deluso e disgregato di centrodestra – come fece con successo Berlusconi nel 1994, durante la prima grave cesura del nostro sistema politico repubblicano – si sono gingillati in esasperati tatticismi, intestarditi in manovre tutte interne al ceto politico, ignorando un dato fondamentale nel paese: in questo ventennio gli elettori di centrodestra, pur con tutte le loro differenze, sono stati abituati a ragionare in termini bipolari e alternativi al centrosinistra. Questa "alternatività" i milioni di elettori lasciati per 12 mesi in libera uscita da una forza che dal 38% è scesa al 15, non l'hanno vista in Casini, di cui già non si fidavano, né in Montezemolo e nella sua ItaliaFutura, né in Monti, e addirittura nemmeno nei liberisti duri e puri di FermareilDeclino. Non credono più a Berlusconi, sono disgustati dal Pdl, ma i sondaggi e le parziali scadenze elettorali di quest'anno dimostrano che non si sono spostati a sinistra, né sono attratti dal Terzo polo o da Grillo. Sono sì in attesa di una nuova offerta politica, ma chiaramente di centrodestra.

Gettare le fondamenta di un PPE italiano attorno alla personalità di Mario Monti avrebbe potuto (potrebbe ancora?) funzionare se il professore avesse accettato – non subito, ovviamente, ma sul finire della legislatura – di giocare un simile ruolo politico, visto che lui stesso si è definito culturalmente vicino al popolarismo europeo. Il premier, insomma, doveva decidere se diventare un De Gasperi, un Ciampi, o un Dini. Ma se Monti preferisce restare super partes, riserva della Repubblica, per i soggetti che a lui si richiamano (Casini e Montezemolo) si fa dura: significa di fatto rendersi disponibili a fare le "stampelle centriste" di un Monti-bis sostenuto da una maggioranza egemonizzata dalla sinistra Bersani-Cgil. Una prospettiva che non può allettare gli elettori di centrodestra.

Per Casini si trattava di lavorarsi i "montiani" del Pdl affinché spingessero Alfano a rottamare Berlusconi. E per poco non gli riusciva. Ma a parte il fatto che gli elettori di centrodestra non avrebbero affatto seguito una classe dirigente, quella del Pdl, di cui non hanno alcuna stima, verso un "centrismo montiano" non chiaramente alternativo alla sinistra, visto che il professore non si schiera, c'è anche da dubitare che Casini a quel punto avrebbe dato seguito alla chimera dell'"unità dei moderati", visto che ha sempre lavorato a destrutturare il bipolarismo, per un sistema in cui il centro possa di volta in volta, dopo il voto, allearsi con chi esce vincitore dalle urne.

Anche Montezemolo, pur respingendo qualsiasi "avance" di pezzi del vecchio ceto politico, ha ceduto però ad alcuni autoproclamati (e molto interessati) rappresentanti della cosiddetta "società civile". Timoroso di scendere in campo in prima persona, anche lui ha dato il nome di Monti alla sua lista e lanciato un'alleanza con il mondo del socialismo cattolico – Acli, Sant'Egidio, Cisl – che, come ripete da un paio di giorni uno dei suoi più autorevoli esponenti, guarda al Pd.

FermareilDeclino è l'unica potenziale nuova offerta che non ha peccato di politicismo e si è concentrata sui contenuti. Ma ha ecceduto in anti-berlusconismo – viscerale, sconfinato in un atteggiamento di colpevolizzazione dell'elettorato di centrodestra – e in intellettualismo. Tipico dell'intellettuale è il gusto della provocazione e il voler convincere tutti delle proprie tesi – così si spiegano gli appelli a Renzi e ai suoi elettori scambiati per liberisti "in sonno" – mentre l'iniziativa politica richiede di individuare la tipologia di elettori cui rivolgersi per affinare il messaggio.

Insomma, per ragioni diverse – nobili quelle di Monti e dei promotori di FermareilDeclino, "politiciste" quelle di Casini e Montezemolo – nessuno finora ha davvero messo in campo una nuova offerta politica di centrodestra. Dunque, se oggi Berlusconi può osare ri-discendere in campo, è soprattutto per il vuoto lasciato dall'esasperato tatticismo di chi, probabilmente, non ha mai avuto in mente un'idea di centrodestra maggioritario a cui gli elettori potessero sintonizzarsi.

Friday, April 23, 2010

Appunti da oltremanica

Dal secondo dibattito tra i candidati premier in Gran Bretagna che si è tenuto ieri sera i nostri politici dovrebbero solo che prendere appunti. E riflettere silenziosamente. Interessante, infatti, l'approccio, condiviso e pragmatico, sulla base del quale si è svolta la discussione in particolare su due temi. Sull'immigrazione (caro Fini...) l'impianto da cui le posizioni dei tre non si discostano di molto sembra una variante spinta del leghismo nostrano. Il premier uscente laburista Gordon Brown si vanta di aver ridotto il numero degli ingressi e boccia senz'appello la proposta del liberal-democratico Nick Clegg di regolarizzare i clandestini: «Avviare un'amnistia per gli immigrati irregolari sarebbe un errore perché incoraggerebbe la gente a venire in questo Paese pensando che a un certo punto ne legalizzeremmo la presenza. Non costituirebbe un deterrente e farebbe sì che sempre più gente venga illegalmente nel nostro Paese».

Ma non è tutto qui. Il premier ha rivendicato il successo del «sistema a punti» avviato dal suo governo, che secondo le statistiche ha invertito il trend relativo all'ingresso degli immigrati: «La nostra politica mira a controllare e gestire l'immigrazione. Per farlo abbiamo istituito un sistema a punti. **Nessun lavoratore non specializzato proveniente da fuori l'Unione europea può entrare nel nostro Paese. E stiamo gradualmente riducendo il numero di specializzazioni per le quali abbiamo bisogno di persone che vengono da fuori, così che cuochi o operatori sociali in futuro non verranno dall'estero ma saranno addestrati in Gran Bretagna**».

Qui da noi il governo «a trazione» dei cattivi leghisti si limita a chiedere che chi entra nel nostro Paese abbia un lavoro. In Gran Bretagna fanno entrare solo chi ha le specifiche professionalità indicate dal governo. E comunque, ci sarà un giro di vite, in modo da tornare ad avere cittadini di Sua Maestà come operatori sociali e cuochi (da quest'ultimi God Save Us!). Naturalmente anche il leader tory David Cameron è contro la sanatoria e per di più rispetto a Brown, pur premettendo che i lavoratori stranieri «sono una risorsa, per cui vanno accolti e assistiti», lui addirittura chiede di porre un «tetto» prefissato al numero di immigrati da accogliere, a prescindere dalla loro specializzazione. Oltre alla sanatoria Clegg propone di "trasferire" gli immigrati verso le aree del Paese che hanno più bisogno di forza lavoro.

E riguardo un recente emendamento presentato dalla leghista Silvana Comaroli al dl incentivi all'esame del Parlamento («Le regioni, nell'esercizio della potestà normativa in materia di disciplina delle attività economiche, possono stabilire che l'autorizzazione dell'esercizio dell'attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati»), un'analoga proposta è contenuta nel programma elettorale dei laburisti inglesi, secondo cui a dover sostenere l'esame d'inglese sarebbero non solo coloro che intendono aprire un'attività commerciale, ma anche badanti, insegnanti, operatori sociali, personale dei call center e chiunque svolga una professione che lo metta in contatto diretto con il pubblico.

Sui temi etici i tre (compreso il conservatore Cameron) sono unanimi: sì aborto, sì ricerca scientifica, sì unioni omosessuali. E sì anche alla visita di Papa Benedetto XVI - nonostante lo scandalo degli abusi sessuali sui minori, su cui però tutti e tre chiedono con forza alla Chiesa di fare chiarezza - perché nella tollerante Inghilterra c'è sempre posto per la fede e per il contributo delle diverse religioni.

Tornando sull'immigrazione, facciamo un salto in Germania. Lakeside Capital ci offre questo contributo, tratto da qui:
Despite illegal immigrants’ rights to health care, these services are infrequently used. The problem lies in two clauses of the German immigration law which makes it mandatory for public institutions such as hospitals to pass on information about illegal immigrants to social affairs offices and in turn to the Ministry of the Interior (i.e. § 87 AufenthG, chapter 3.2.2; Article 76 of the AuslG). Therefore, doctors who help undocumented people access basic health services may be penalized for not reporting them.
Qualcuno ieri intervenendo alla direzione del Pdl ha detto che queste cose sono «incompatibili con il Ppe».