Con ogni probabilità le vincerà Bersani le primarie del centrosinistra. Perché l'elettorato tradizionale della sinistra è molto conservatore e diffida delle ricette dal retrogusto liberale di Renzi e persino del suo modo "moderno" di comunicare (solo perché brillante si merita l'accusa di "cripto-berlusconiano"); e perché le regole (doversi impegnare a votare il centrosinistra qualunque candidato vinca e inventare una giustificazione plausibile per votare al ballottaggio se non ci si è registrati al primo turno) hanno reso le primare molto meno aperte di quanto sarebbe servito a Renzi. Fondamentalmente il popolo "de sinistra" è terrorizzato dalla prospettiva di un proprio leader capace di attirare l'elettorato indipendente o di centrodestra, preferisce restare nel proprio rassicurante recinto, anche se minoritario.
Ma siamo seri: se il dibattito di ieri sera l'avessimo visto non su Raiuno ma sulle tv americane, tra due candidati alle primarie Usa, oggi nessuno avrebbe dubbi: Renzi ha completamente asfaltato Bersani. Al contrario del primo dibattito su Sky, a mio avviso vinto dal segretario - mai attaccato, quindi mai a disagio o irritato dalla sfida, e abile a piazzarsi come via di mezzo ragionevole e affidabile tra gli opposti "estremismi" di Renzi e Vendola - ieri sera Bersani è uscito con le ossa rotte, è stato costretto sempre sulla difensiva - con rare eccezioni - ed in generale è sembrato irritato per gli attacchi e fuori posto in un contesto così competitivo.
Sono emerse due visioni di sinistra diametralmente opposte sulla politica economica, sui soldi ai partiti, sulle alleanze e persino sul Medio Oriente. Sarebbe quindi un peccato se dovessimo assistere ad una qualche forma di "ticket", che non converrebbe di certo a Matteo Renzi. Il quale dovrebbe sedersi in riva al fiume ad aspettare che passi il cadavere politico di Bersani, dal momento che se ci arriva davvero a Palazzo Chigi, se Monti non gli soffia la poltrona, con Vendola (e Casini?) non dura più di un anno.
Ieri sera la strategia di Renzi è riuscita alla perfezione. Praticamente su ogni argomento ha sottolineato errori e mancanze del centrosinistra del passato: i poteri concessi a Equitalia da Visco-Bersani; la politica industriale pseudo-keynesiana, con i sussidi ai soliti noti e le grandi opere; il tradimento del referendum sul finanziamento pubblico ai partiti (con citazione della proposta Sposetti); la controriforma delle pensioni che ha abolito lo "scalone", costata 9 miliardi; le alleanze litigiose che hanno riconsegnato il paese a Berlusconi; la legge mai fatta sul conflitto di interessi. Su tutto questo Renzi ha picchiato duro: ogni volta che ricordava i «nostri errori» come centrosinistra si rivolgeva con il linguaggio del corpo e gli sguardi a Bersani, chiamandolo «segretario», ricordando i suoi 2.547 giorni al governo e costringendolo, nella migliore delle ipotesi, ad ammettere che si poteva fare meglio ma cose buone si son fatte, nella peggiore a farfugliare o accampare scuse patetiche. Sul conflitto d'interessi, per esempio, Bersani si è giustificato dicendo che all'epoca non era la sua materia di competenza e non aveva sufficiente credibilità per imporsi.
Ma Renzi ha davvero ridicolizzato Bersani sui soldi alla politica, quando il segretario ha chiamato in causa la democrazia ateniese («sì, ma da Pericle siamo arrivati a Fiorito»), e su una domanda riguardante il primo incontro da premier con il presidente Obama: Renzi parlerebbe al presidente Usa del ruolo e del futuro dell'Europa, e dell'Italia nell'Ue. Bersani ha farfugliato qualcosa su ritiro dall'Afghanistan ed F35. A quel punto il sindaco ha avuto gioco facile nel ricordare a «Pierluigi» che per il rientro dall'Afghanistan le tappe sono già fissate e che sui caccia F35 «non c'entra Obama, dobbiamo decidere noi, e io sono per il dimezzamento».
Nel merito, mai si era sentito un esponente del Pd esporre con tale chiarezza, senza ambiguità, così tanti concetti liberali e blairiani. Dal modello di flexsecurity di Ichino al fisco (meno spesa pubblica, meno tasse); dalla de-burocratizzazione alla scuola («portare il merito nella scuola e premiare gli insegnanti più bravi è di sinistra», ha rivendicato Renzi, mentre Bersani non è riuscito ad andare oltre «almeno a parole trattiamoli bene»); dal finanziamento pubblico ai partiti (da abolire completamente) alle alleanze (no alla nuova "Unione" e no all'inciucio con Casini, un chiaro messaggio ai vendoliani).
Va dato atto a Renzi del coraggio di non aver voluto compiacere a tutti i costi gli elettori su temi in cui di solito si fa molta retorica: ecco, quindi, che la riforma delle pensioni «è ok»; che il Sud deve darsi «una scossa», cambiare mentalità (basta con «raccomandazioni e dintorni»); che il problema del Medio Oriente non è la questione israelo-palestinese, come ha ripetuto Bersani ricorrendo a una retorica di sinistra vecchia di vent'anni, ma l'Iran e i diritti umani; che bisogna ridurre il debito pubblico non perché ce lo impone l'Ue, o la Merkel, ma perché è immorale indebitare i nostri figli e nipoti.
Battuto Bersani anche nelle prime tre misure da adottare una volta al governo: per Renzi tutte e tre sul lavoro, con in testa la flexsecurity di Ichino, mentre il segretario si è limitato ad un generico «qualcosa su lavoro e impresa» (qualcosa?), come terzo punto dopo cittadinanza agli immigrati e anti-corruzione/anti-mafia.
Bersani - che per l'occasione sembrava avesse tirato fuori da un armadio di Botteghe oscure lo stesso completo marrone che indossava Occhetto contro Berlusconi nel '94 - ha puntato sull'orgoglio di partito, sulla sua esperienza, da non rottamare, e sull'insicurezza crescente dovuta alla crisi, che richiede presenza dello Stato e pochi grilli per la testa. Ma molto genericamente, non è riuscito a dire una cosa una che apparisse concreta di politica economica in tutto il dibattito, nemmeno nelle prime tre misure che adotterebbe da premier («governare vuol dire anche sorprendere»).
«Qualcosa bisognerà fare» per questo o quest'altro, è stata la sua risposta buona per tutti gli argomenti. Cose da fare qui e là, roba generica, il «saper fare italiano», «cerchiamo di dare un po' di lavoro» (come se l'economia funzionasse così, con il governo che può «dare» il lavoro), di «muovere l'economia», «mica siamo qui a suonare i mandolini». E' stato più a suo agio sulle liberalizzazioni, finalmente un sorriso rilassato, ma neanche qui ha saputo indicare di preciso cosa ci sarebbe da liberalizzare: «c'è da fare lì, ma meglio non dirlo».
Bene l'appello finale di Renzi - «oggi il vero rischio è non cambiare» - anche se si è segnato l'unico autogol del dibattito, riconoscendo a Bersani di rappresentare il «cambiamento nella sicurezza».
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Thursday, November 29, 2012
Friday, October 26, 2012
Socialismo cattolico in carrozza con Montezemolo
Il flirt tra Fermareildeclino e ItaliaFutura si conclude così: alle idee liberiste Montezemolo ha preferito la potenza organizzativa dell'associazionismo cattolico-solidarista, quello che chiamo socialismo cattolico; a Giannino ha preferito Bonanni, la Cisl, le Acli, insomma il mondo di Todi, che da mesi era alla ricerca di "mezzi" per un impegno politico diretto, che non fossero però i vecchi arnesi Pdl, Udc e Pd, né un nuovo partito cattolico.
Hanno finalmente trovato un "passaggio", e sono saliti sulla "carrozza" di Montezemolo, che negli anni ha sfornato più di un manifesto-appello, una lunga sequenza di testi sempre più annacquati fino ad arrivare a quello democristiano di oggi, che è davvero una presa in giro. Serve sostanzialmente a sancire la nuova alleanza di interesse, con un elenco di firmatari che sembra una lista elettorale già scritta, ma nulla dice di concreto su come riformare il paese. E certo avere la Cisl, primo sindacato nel pubblico impiego, tra gli azionisti di maggioranza non promette grandi spinte al cambiamento nella pubblica amministrazione e nella scuola.
Dietro la retorica anti-partitica e una pretesa «apertura alla società civile», va di moda invocarla anche se nella definizione può rientrare tutto o niente, sono riconoscibili specifici e molto particolari interessi - legittimi, per carità. Da notare che c'è subito una forte presa di posizione contro i «conflitti di interesse», come se molti dei firmatari non fossero espressione di associazioni e cooperative che hanno, ovviamente e legittimamente, i loro interessi economici.
Tra le tante ovvietà, si guarda all'avvento di una «Terza Repubblica», senza nemmeno delinearne i tratti istituzionali che si auspicano abbia, e si rivendica una «continuità» con il governo Monti, per «una stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e liberale». Il nuovo soggetto, insomma, ha la pretesa di professarsi allo stesso tempo democratico, popolare e liberale (culture politiche molto diverse che si dividono quasi tutto lo spettro politico, come accade nel PE). Un po' di tutto, e molto di niente, perché l'importante è esserci, a prescindere dal cosa fare, per un mondo non più disposto a delegare la rappresentanza dei propri interessi.
Il flirt con Fermareildeclino era coinciso con la fase di maggiore impronta riformatrice e liberale di ItaliaFutura. Comprensibile quindi un certo "stupore" nel vedere come dall'oggi al domani si sia trasformata (con un input di certo calato dall'alto, a proposito di democrazia e trasparenza interna) in un'operazione centrista, una ridotta di catto-solidaristi, con un manifesto moderatissimo quando lo stesso Monti ha spiegato che al nostro paese servono riforme radicali e non moderate.
Quanto a FiD, premetto che non ho aderito, pur coindividendo (quasi) tutto il programma, perché nonostante le ottime idee e persone per ora non mi sembra un soggetto in grado di sviluppare alcuna prospettiva politica, quindi condannato all'isolamento e al velleitarismo. Magari maturerà, ma non intende "sporcarsi le mani". Nel caso specifico però, per come la vedo da fuori, è ItaliaFutura che ha deciso di volgersi da tutt'altra parte, anzi forse proprio di scrollarsi di dosso FiD, e non Giannino e compagni ad aver fatto gli schizzinosi. A questo punto, se proprio bisogna "sporcarsi le mani", perché altrimenti non si va da nessuna parte - e io credo che sì, bisogna sporcarsele - tanto vale farsi coraggio e partecipare alle primarie del Pdl, almeno andare a vedere il bluff, piuttosto che salire in carrozza con Montezemolo e Bonanni.
UPDATE ore 17:40
In questo post Andrea Romano smentisce la ricostruzione di Oscar Giannino, che sarebbe stato messo a conoscenza del testo del manifesto due settimane prima e non all'ultimo momento. Al di là di come siano andate le cose tra di loro, mi pare che effettivamente il punto sia il giudizio sul governo Monti, come spiega Romano: da superare, per Giannino e i suoi, da assicurarne la "continuità", per i montezemoliani. Resta da capire 1) quale sia realmente, in concreto, l'agenda Monti se il professore non chiederà esplicitamente agli italiani di essere rimandato a Palazzo Chigi; 2) quali siano, in concreto, le riforme che sosterrà l'alleanza Montezemolo-Todi; 3) come si possa pensare di riformare il paese con uno dei sindacati che ha opposto resistenza persino alle timide riforme avanzate dal governo Monti in questo scorcio legislatura (per non parlare dei danni di cui si è reso responsabile nei decenni).
Hanno finalmente trovato un "passaggio", e sono saliti sulla "carrozza" di Montezemolo, che negli anni ha sfornato più di un manifesto-appello, una lunga sequenza di testi sempre più annacquati fino ad arrivare a quello democristiano di oggi, che è davvero una presa in giro. Serve sostanzialmente a sancire la nuova alleanza di interesse, con un elenco di firmatari che sembra una lista elettorale già scritta, ma nulla dice di concreto su come riformare il paese. E certo avere la Cisl, primo sindacato nel pubblico impiego, tra gli azionisti di maggioranza non promette grandi spinte al cambiamento nella pubblica amministrazione e nella scuola.
Dietro la retorica anti-partitica e una pretesa «apertura alla società civile», va di moda invocarla anche se nella definizione può rientrare tutto o niente, sono riconoscibili specifici e molto particolari interessi - legittimi, per carità. Da notare che c'è subito una forte presa di posizione contro i «conflitti di interesse», come se molti dei firmatari non fossero espressione di associazioni e cooperative che hanno, ovviamente e legittimamente, i loro interessi economici.
Tra le tante ovvietà, si guarda all'avvento di una «Terza Repubblica», senza nemmeno delinearne i tratti istituzionali che si auspicano abbia, e si rivendica una «continuità» con il governo Monti, per «una stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e liberale». Il nuovo soggetto, insomma, ha la pretesa di professarsi allo stesso tempo democratico, popolare e liberale (culture politiche molto diverse che si dividono quasi tutto lo spettro politico, come accade nel PE). Un po' di tutto, e molto di niente, perché l'importante è esserci, a prescindere dal cosa fare, per un mondo non più disposto a delegare la rappresentanza dei propri interessi.
Il flirt con Fermareildeclino era coinciso con la fase di maggiore impronta riformatrice e liberale di ItaliaFutura. Comprensibile quindi un certo "stupore" nel vedere come dall'oggi al domani si sia trasformata (con un input di certo calato dall'alto, a proposito di democrazia e trasparenza interna) in un'operazione centrista, una ridotta di catto-solidaristi, con un manifesto moderatissimo quando lo stesso Monti ha spiegato che al nostro paese servono riforme radicali e non moderate.
Quanto a FiD, premetto che non ho aderito, pur coindividendo (quasi) tutto il programma, perché nonostante le ottime idee e persone per ora non mi sembra un soggetto in grado di sviluppare alcuna prospettiva politica, quindi condannato all'isolamento e al velleitarismo. Magari maturerà, ma non intende "sporcarsi le mani". Nel caso specifico però, per come la vedo da fuori, è ItaliaFutura che ha deciso di volgersi da tutt'altra parte, anzi forse proprio di scrollarsi di dosso FiD, e non Giannino e compagni ad aver fatto gli schizzinosi. A questo punto, se proprio bisogna "sporcarsi le mani", perché altrimenti non si va da nessuna parte - e io credo che sì, bisogna sporcarsele - tanto vale farsi coraggio e partecipare alle primarie del Pdl, almeno andare a vedere il bluff, piuttosto che salire in carrozza con Montezemolo e Bonanni.
UPDATE ore 17:40
In questo post Andrea Romano smentisce la ricostruzione di Oscar Giannino, che sarebbe stato messo a conoscenza del testo del manifesto due settimane prima e non all'ultimo momento. Al di là di come siano andate le cose tra di loro, mi pare che effettivamente il punto sia il giudizio sul governo Monti, come spiega Romano: da superare, per Giannino e i suoi, da assicurarne la "continuità", per i montezemoliani. Resta da capire 1) quale sia realmente, in concreto, l'agenda Monti se il professore non chiederà esplicitamente agli italiani di essere rimandato a Palazzo Chigi; 2) quali siano, in concreto, le riforme che sosterrà l'alleanza Montezemolo-Todi; 3) come si possa pensare di riformare il paese con uno dei sindacati che ha opposto resistenza persino alle timide riforme avanzate dal governo Monti in questo scorcio legislatura (per non parlare dei danni di cui si è reso responsabile nei decenni).
Wednesday, May 30, 2012
Alfano raddoppia la posta ma dal Pd solo silenzi
Ieri con una lettera al Corriere della Sera, e la sera prima a Porta a Porta, Angelino Alfano ha rilanciato sulla proposta presidenzialista. Oltre al doppio turno - sistema elettorale da sempre in cima alla lista dei desideri dei Ds prima e del Pd poi - ha messo sul tavolo un'altra pietanza per ingolosire gli avversari. Con l'ok all'elezione diretta del presidente della Repubblica, il Pdl sarebbe disponibile ad una nuova legge sul conflitto di interessi. Un vero e proprio baratto politico, ma stavolta "alto" nel metodo (perché alla luce del sole) e nei contenuti (l'architettura istituzionale). Ma la carta di regole più stringenti sul conflitto di interessi, per controbilanciare i maggiori poteri formali in capo ad un presidente eletto direttamente, suona anche come un messaggio implicito al Pd, in modo da sgombrare il campo da ogni alibi: Berlusconi non si candiderebbe al Colle, anche se ovviamente orgoglio e dignità politica gli impediscono di dare soddisfazione pubblica ai suoi avversari storici.
Alla luce della debàcle alle amministrative, e degli ultimi sondaggi, il Pdl ha davvero pochi margini di bluff. Alla mossa presidenzialista si può solo rimproverare di essere disperata e tardiva. Troppo per sperare di andare a buon fine. Soprattutto dopo il voto locale, infatti, il Pd sente di avere la strada spianata verso Palazzo Chigi con qualsiasi sistema elettorale, quindi non vede alcun interesse nel concedere all'avversario, oggi ridotto all'angolo, di condividere il merito di un risultato politico storico come sarebbe la riforma costituzionale in senso presidenzialista. E tra i due partiti chi in questo momento può permettersi di irrigidire le proprie posizioni, non percependo affatto come un dramma l'eventualità di rivotare con il Porcellum (anzi, forse essendone tentato), è il Pd, non certo il Pdl.
LEGGI TUTTO su L'Opinione
Alla luce della debàcle alle amministrative, e degli ultimi sondaggi, il Pdl ha davvero pochi margini di bluff. Alla mossa presidenzialista si può solo rimproverare di essere disperata e tardiva. Troppo per sperare di andare a buon fine. Soprattutto dopo il voto locale, infatti, il Pd sente di avere la strada spianata verso Palazzo Chigi con qualsiasi sistema elettorale, quindi non vede alcun interesse nel concedere all'avversario, oggi ridotto all'angolo, di condividere il merito di un risultato politico storico come sarebbe la riforma costituzionale in senso presidenzialista. E tra i due partiti chi in questo momento può permettersi di irrigidire le proprie posizioni, non percependo affatto come un dramma l'eventualità di rivotare con il Porcellum (anzi, forse essendone tentato), è il Pd, non certo il Pdl.
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Tuesday, November 29, 2011
Il Cencelli ai tempi dei tecnici

Finalmente - con tempi da Prima Repubblica - la squadra di Monti è al completo. Di indubbia competenza, ma i criteri di scelta dei sottosegretari ricalcano quelli usati per i ministri, tutt'altro che tecnici. Se infatti la politica si è rifiutata di metterci la faccia, non è riuscita tuttavia a cancellare le impronte. Si continua nel segno del tecno-ulivismo (e prodismo) e della "larga Intesa". Quel che è peggio non è tanto che risultino così visibili le matrici politiche e i potenziali conflitti di interesse (anzi, meglio alla luce del sole), ma è che ciò oltre a rassicurare i partiti non garantisca alcuna coesione programmatica, il che non promette nulla di buono in termini di coraggio riformatore. Su due snodi fondamentali per la crescita - il lavoro e l'istruzione - il misurino ideologico usato (o subìto) da Monti è sfociato in contraddizioni potenzialmente esplosive: al Welfare dovranno convivere un liberale blariano come Michel Martone e un'accanita oppositrice della flessibilità, editorialista dell'Unità, come Maria Cecilia Guerra; alla scuola Elena Ugolini, cattolica vicina a Cl e regista delle riforme Moratti e Gelmini, e Marco Rossi Doria, tutto scuola pubblica ed egualitarismo.
Dovrà essere Monti in persona, dunque, ad imporre la sua linea. Come certamente dovrà fare anche all'Economia, dove sopravvive il tremontismo con Grilli viceministro (nominato direttore generale del Tesoro da Siniscalco e in carica sia con Padoa Schioppa che con Tremonti) e con Vieri Ceriani sottosegretario, già a capo dei servizi fiscali di Bankitalia e della commissione sulla riforma fiscale istituita dall'ex ministro, ma nel 1996 regista delle riforme di Vincenzo "vampiro" Visco. Tremontismo appena attenuato dall'altro sottosegretario, Gianfranco Polillo, di storia socialista riformista, capo del servizio di bilancio della Camera e responsabile economico della Presidenza del Consiglio tra il 2002 e il 2004. Per i Rapporti con il Parlamento Monti ha lasciato spazio ai partiti e se il Pd ha indicato il prodiano D'Andrea, il Pdl ha preferito il tecnico Malaschini, segretario generale del Senato. Scelte ben bilanciate e "rassicuranti" per tutti anche alla Giustizia, con Mazzamuto, ex consigliere di Alfano, e Zoppini, consigliere di E. Letta sotto il governo Prodi. Dall'ultimo governo Prodi viene anche il sottosegretario allo Sviluppo De Vincenti, membro dei "pensatoi" di Bersani e Bassanini.
Veniamo ai potenziali conflitti di interesse: all'Ambiente Fanelli, consigliere di amministrazione di GRTN; alle Infrastrutture Ciaccia, che proprio di infrastrutture si occupava per banca Intesa; e all'Editoria Malinconico, il presidente degli editori di giornali, tanto per cominciare col piede giusto nei rapporti con la stampa. Chiudono la squadra la dalemiana Marta Dassù, direttore generale dell'Aspen Institute, e l'onusiano Staffan de Mistura, agli Esteri; il ciampiano Peluffo all'Informazione; Magri dell'Udc alla Difesa; e Patroni Griffi, una scelta bipartisan (un po' Bassanini un po' Brunetta), alla Funzione pubblica. Auguri.
Thursday, November 25, 2010
Murdoch e Caltagirone muovono i fili
«I due puntano a rastrellare le frequenze digitali non appena saranno messe all'asta». I due di cui parla Italia Oggi sono Rupert Murdoch e Francesco Gaetano Caltagirone (suocero di Casini). Se Berlusconi ha il conflitto di interessi che tutti conosciamo, i suoi nemici non sono da meno. Non solo Montezemolo, che si ritiene penalizzato con la sua Ntv (in realtà, come lui stesso ammette, siamo il primo Paese ad aprire ad un operatore privato nell'alta velocità), sono altri i giganti che vedono nell'attuale governo un intralcio per i loro grandi affari. Pronti a piombare nel ricco piatto delle frequenze digitali, Murdoch e Caltagirone già si sentono i nuovi padroni della tv.
Resta un piccolo ostacolo: Berlusconi. Per questo, osserva il quotidiano, «buttare giù il governo è il primo passo obbligato della strategia di attacco del duo Murdoch-Caltagirone». Ecco spiegato l'«insolito vigore» di SkyTg24, che quasi ogni giorno propone un sondaggio contro il governo e che strizza l'occhio a Fini.
Resta un piccolo ostacolo: Berlusconi. Per questo, osserva il quotidiano, «buttare giù il governo è il primo passo obbligato della strategia di attacco del duo Murdoch-Caltagirone». Ecco spiegato l'«insolito vigore» di SkyTg24, che quasi ogni giorno propone un sondaggio contro il governo e che strizza l'occhio a Fini.
«Nella fase successiva, che Casini ha battezzato con fantasia in tutti i modi possibili (governo tecnico, di responsabilità nazionale, d'armistizio, e così via), grazie all'inevitabile clima di concitazione politica, la vendita delle frequenze digitali ad imprenditori ostili a Berlusconi sarebbe facilitata e consumata come un classico colpo di mano, come lo fu la concessione della licenza per la telefonia mobile a De Benedetti con il governo Ciampi nel 1993».Del progetto, scrive ancora Italia Oggi, «nel Palazzo romano si chiacchiera abbastanza apertamente». E aggiunge che «l'intera pagina di pubblicità sul Corriere della Sera che oggi Sky dedica a un evento che vede Montezemolo come protagonista è la migliore risposta a chi si interroga sui possibili alleati del duo Murdoch-Caltagirone. La battaglia è appena iniziata, e si annuncia durissima, senza esclusione di colpi».
Tuesday, December 02, 2008
Sky, Tremonti cala l'asso nella manica
Tremonti ha messo tutti nel sacco. Con quella punta di perfidia che lo contraddistingue si era tenuto l'asso nella manica e ha atteso che l'opposizione prendesse lo slancio. Nella conferenza stampa di oggi, da Tirana, Berlusconi rideva sotto i baffi: se proprio insiste, la sinistra, riportiamo pure l'Iva al 10%, ma secondo i dettami europei (cioè per tutti, a prescindere dalle tecniche di trasmissione utilizzate, facendo un gran favore a Mediaset, evidentemente).
Eh già, perché il premier conosceva il «blocco di documenti» che avrebbe tirato fuori Tremonti: «Dato un medesimo servizio non puoi avere aliquote segmentate in funzione delle tecniche di trasmissione utilizzate». E' quanto stabilisce l'Unione europea. Dunque, per evitare una procedura di infrazione comunitaria, già il governo precedente, il Governo Prodi, si era impegnato per l'allineamento delle aliquote: «C'è un carteggio tra la Commissione Ue e il Governo Prodi che prevede l'impegno ad allineare le aliquote. L'impegno scadeva in questi giorni». Un carteggio che il ministro ha distribuito ai giornalisti presenti alla conferenza stampa al termine della riunione Ecofin.
Certo, la Commissione chiedeva di allineare le aliquote, quindi si poteva anche decidere di portare tutti al 10%, anziché tutti al 20%. Ma se il governo si fosse azzardato a portare tutti al 10%, c'è da scommettere che l'opposizione avrebbe gridato ancora di più allo scandalo, perché in quel caso il vantaggio per le tv del premier sarebbe stato più evidente.
Ancora una volta spiazzato Veltroni e nel caos il Pd. Erano partiti in quarta, ma ecco che viene fuori che l'impegno era stato preso da Prodi, ed è ragionevole ritenere che forse qualcuno dei prodiani se lo ricordasse, ma ha pensato bene di non avvertire l'inconsapevole Walter.
Rimane però, se non mi sbaglio, l'anomalia della Rai, che gode di un abbonamento obbligatorio (il canone), su cui si applica un'aliquota Iva del 4%. Questo privilegio il governo non si azzarda a toccarlo.
Eh già, perché il premier conosceva il «blocco di documenti» che avrebbe tirato fuori Tremonti: «Dato un medesimo servizio non puoi avere aliquote segmentate in funzione delle tecniche di trasmissione utilizzate». E' quanto stabilisce l'Unione europea. Dunque, per evitare una procedura di infrazione comunitaria, già il governo precedente, il Governo Prodi, si era impegnato per l'allineamento delle aliquote: «C'è un carteggio tra la Commissione Ue e il Governo Prodi che prevede l'impegno ad allineare le aliquote. L'impegno scadeva in questi giorni». Un carteggio che il ministro ha distribuito ai giornalisti presenti alla conferenza stampa al termine della riunione Ecofin.
Certo, la Commissione chiedeva di allineare le aliquote, quindi si poteva anche decidere di portare tutti al 10%, anziché tutti al 20%. Ma se il governo si fosse azzardato a portare tutti al 10%, c'è da scommettere che l'opposizione avrebbe gridato ancora di più allo scandalo, perché in quel caso il vantaggio per le tv del premier sarebbe stato più evidente.
Ancora una volta spiazzato Veltroni e nel caos il Pd. Erano partiti in quarta, ma ecco che viene fuori che l'impegno era stato preso da Prodi, ed è ragionevole ritenere che forse qualcuno dei prodiani se lo ricordasse, ma ha pensato bene di non avvertire l'inconsapevole Walter.
Rimane però, se non mi sbaglio, l'anomalia della Rai, che gode di un abbonamento obbligatorio (il canone), su cui si applica un'aliquota Iva del 4%. Questo privilegio il governo non si azzarda a toccarlo.
Monday, December 01, 2008
Più tasse su Sky, mossa tafazziana del governo
Come gli italiani difesero Mediaset dalla scure dei referendum del 1995, così si schiereranno dalla parte di Sky oggi che il governo, riportando l'Iva sugli abbonamenti al 20% dall'attuale 10, decide di cancellare lo sgravio fiscale di cui finora hanno goduto la pay tv di Murdoch ma anche milioni di abbonati. I cittadini hanno sete di varietà nell'offerta televisiva. E come hanno dimostrato di gradire le tv commerciali, che negli anni '80 arrivavano a svecchiare l'ingessato monopolio Rai, così oggi apprezzano Sky, che ha portato un'altra ventata d'aria fresca dopo 20 anni di asfittico duopolio Rai-Mediaset nell'analogico.
Come avrebbe reagito Berlusconi se le sue tv fossero state oggetto di un provvedimento così punitivo? Facile rispondere, perché è già accaduto in passato che le sue tv fossero in pericolo e, giustamente, Berlusconi lanciò una campagna di comunicazione che ebbe i suoi effetti. La stessa cosa farà Sky, sebbene il danno non sia certo paragonabile a quello che i referendum avrebbero inferto a Berlusconi nel '95.
E' incredibile che proprio Berlusconi, che conosce bene l'impatto mediatico che può avere la reazione di una tv ferita, sia incappato in questo doppio errore, che non mancherà di ripercuotersi negativamente sull'immagine del governo, che vedrà calare per la prima volta in modo consistente i consensi sul suo operato. E' una decisione doppiamente sbagliata. Innanzitutto, perché aumentare l'Iva (anche se si tratta di riportarla al livello standard del 20%), significa comunque aumentare la pressione fiscale, ed è sbagliato ancor di più oggi che ci troviamo in un periodo di crisi. A pagare il 10% di Iva in più sul loro abbonamento a Sky saranno 4,6 milioni di famiglie. Tra l'altro, essendo un'imposta indiretta, pagheranno tutte allo stesso modo, senza distinzioni di reddito.
Ma è un errore anche dal punto di vista strettamente politico. Non solo Berlusconi ancora una volta presta il fianco alle accuse di conflitto di interessi - un'arma ormai quasi del tutto spuntata nelle mani di un'opposizione priva di credibilità - ma soprattutto smentisce clamorosamente la promessa elettorale enunciata con maggiore enfasi e chiarezza: il governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani. E invece, si becca 30 spot al giorno di Sky che dimostrano il contrario, il tutto per circa 210 milioni di euro in più che forse finiranno nelle casse dello stato. Né mi pare che questa misura preluda a una risistemazione del sistema radiotelevisivo, culturale o dell'editoria che elimini distorsioni e privilegi.
Infine, è un errore dal punto di vista comunicativo. Nella delicata opera di comunicazione dei contenuti del pacchetto anti-crisi sarebbe stato meglio puntare sulle misure positive (sì, alcune ce ne sono), piuttosto che rischiare di impantanarsi in un provvedimento tutto sommato minore che porta il volto antipatico dell'esattore.
Ed è proprio facendo leva sull'argomento tasse che inizia a reagire Sky. «A partire dal primo gennaio ogni cliente di Sky avrà un aumento delle imposte sul suo abbonamento pari al 10%», ha annunciato in una nota l'azienda, spiegando che «come qualsiasi aumento dell'Iva, è integralmente a carico del consumatore». Dal punto di vista commerciale, sono convinto che non molti abbonati decideranno di disdire il contratto, ma certo tra i possibili nuovi abbonati, quelli che proprio sotto le feste stanno decidendo se sottoscrivere o regalare un abbonamento, potrebbero essere molti quelli indotti a desistere. Ma tra qualche mese Sky metterà a punto nuove offerte in cui si farà carico anch'essa dell'aumento dell'Iva. Insomma, nessuno qui "piange" per Sky.
Ma intanto, il danno è fatto. Sky sta già mettendo in onda uno spot che recita:
Chi legge questo blog sa che non sono un fanatico dell'ambientalismo, ma un'altra misura, di minore impatto, che il governo poteva risparmiarsi, è la decisione di ridurre gli sgravi fiscali per gli interventi di efficienza energetica sulle abitazioni. La spesa per montare pannelli solari, installare doppi vetri o caldaie più efficienti in casa, poteva essere detratta fino al 55% dalla dichiarazione dei redditi. Il governo ha ridotto il tetto al 36%, fino ad un massimo di 48 mila euro da ripartire in 10 rate annuali. Inoltre, la norma è retroattiva, quindi tutti coloro che hanno già avviato i lavori a casa propria confidando nel 55% si dovranno accontentare di una detrazione del 36%, sempre che venga riconosciuta dall'Agenzia delle Entrate dopo un farraginoso iter burocratico. Anche in questo caso una misura che rischia di deprimere, e non di sostenere la domanda, in un settore tra l'altro tra i più dinamici.
Come avrebbe reagito Berlusconi se le sue tv fossero state oggetto di un provvedimento così punitivo? Facile rispondere, perché è già accaduto in passato che le sue tv fossero in pericolo e, giustamente, Berlusconi lanciò una campagna di comunicazione che ebbe i suoi effetti. La stessa cosa farà Sky, sebbene il danno non sia certo paragonabile a quello che i referendum avrebbero inferto a Berlusconi nel '95.
E' incredibile che proprio Berlusconi, che conosce bene l'impatto mediatico che può avere la reazione di una tv ferita, sia incappato in questo doppio errore, che non mancherà di ripercuotersi negativamente sull'immagine del governo, che vedrà calare per la prima volta in modo consistente i consensi sul suo operato. E' una decisione doppiamente sbagliata. Innanzitutto, perché aumentare l'Iva (anche se si tratta di riportarla al livello standard del 20%), significa comunque aumentare la pressione fiscale, ed è sbagliato ancor di più oggi che ci troviamo in un periodo di crisi. A pagare il 10% di Iva in più sul loro abbonamento a Sky saranno 4,6 milioni di famiglie. Tra l'altro, essendo un'imposta indiretta, pagheranno tutte allo stesso modo, senza distinzioni di reddito.
Ma è un errore anche dal punto di vista strettamente politico. Non solo Berlusconi ancora una volta presta il fianco alle accuse di conflitto di interessi - un'arma ormai quasi del tutto spuntata nelle mani di un'opposizione priva di credibilità - ma soprattutto smentisce clamorosamente la promessa elettorale enunciata con maggiore enfasi e chiarezza: il governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani. E invece, si becca 30 spot al giorno di Sky che dimostrano il contrario, il tutto per circa 210 milioni di euro in più che forse finiranno nelle casse dello stato. Né mi pare che questa misura preluda a una risistemazione del sistema radiotelevisivo, culturale o dell'editoria che elimini distorsioni e privilegi.
Infine, è un errore dal punto di vista comunicativo. Nella delicata opera di comunicazione dei contenuti del pacchetto anti-crisi sarebbe stato meglio puntare sulle misure positive (sì, alcune ce ne sono), piuttosto che rischiare di impantanarsi in un provvedimento tutto sommato minore che porta il volto antipatico dell'esattore.
Ed è proprio facendo leva sull'argomento tasse che inizia a reagire Sky. «A partire dal primo gennaio ogni cliente di Sky avrà un aumento delle imposte sul suo abbonamento pari al 10%», ha annunciato in una nota l'azienda, spiegando che «come qualsiasi aumento dell'Iva, è integralmente a carico del consumatore». Dal punto di vista commerciale, sono convinto che non molti abbonati decideranno di disdire il contratto, ma certo tra i possibili nuovi abbonati, quelli che proprio sotto le feste stanno decidendo se sottoscrivere o regalare un abbonamento, potrebbero essere molti quelli indotti a desistere. Ma tra qualche mese Sky metterà a punto nuove offerte in cui si farà carico anch'essa dell'aumento dell'Iva. Insomma, nessuno qui "piange" per Sky.
Ma intanto, il danno è fatto. Sky sta già mettendo in onda uno spot che recita:
«In una fase di crisi economica, i governi lavorano per trovare una soluzione che aumenti la capacità di spesa dei cittadini e sostenga la crescita delle imprese. Il governo italiano ha annunciato invece una misura che va nella direzione opposta: il raddoppio delle tasse sul vostro abbonamento a Sky, dal 10 al 20%. Un aumento delle tasse per 4 milioni e 600 mila famiglie. Questo, anche se durante la scorsa campagna elettorale il governo aveva promesso di non aumentare le tasse alle famiglie italiane».Uno spot che ricalca il parere rilasciato al Corriere dall'ad italiano di Sky, Tom Mockridge. Intendiamoci: si tratta di una posizione evidentemente interessata. Ricordarlo è come scoprire l'"acqua calda". Ma considerando in modo obiettivo il merito degli argomenti non si possono avere dubbi: sono tutti efficacissimi. Sky difende i suoi interessi, ma è un fatto che per 4 milioni e 600 mila famiglie aumentino le tasse sull'abbonamento. Un bene non essenziale? Forse, ma non voglio arrendermi alla tipica retorica ridistributiva dei governi socialdemocratici: togliamo ai più ricchi per dare ai più poveri. Laddove i profili di questi "ricchi" e "poveri" lasciano sempre troppi dubbi.
Chi legge questo blog sa che non sono un fanatico dell'ambientalismo, ma un'altra misura, di minore impatto, che il governo poteva risparmiarsi, è la decisione di ridurre gli sgravi fiscali per gli interventi di efficienza energetica sulle abitazioni. La spesa per montare pannelli solari, installare doppi vetri o caldaie più efficienti in casa, poteva essere detratta fino al 55% dalla dichiarazione dei redditi. Il governo ha ridotto il tetto al 36%, fino ad un massimo di 48 mila euro da ripartire in 10 rate annuali. Inoltre, la norma è retroattiva, quindi tutti coloro che hanno già avviato i lavori a casa propria confidando nel 55% si dovranno accontentare di una detrazione del 36%, sempre che venga riconosciuta dall'Agenzia delle Entrate dopo un farraginoso iter burocratico. Anche in questo caso una misura che rischia di deprimere, e non di sostenere la domanda, in un settore tra l'altro tra i più dinamici.
Monday, February 18, 2008
Scoppia la grana Di Pietro
Sono trascorsi pochi giorni da quando Veltroni ha annunciato l'apparentamento con L'Italia dei Valori di Di Pietro, derogando in modo discutibile all'impegno di "correre da solo", ed è già scoppiata la prima grana per il segretario del Pd. Oggi infatti Di Pietro ha diffuso il suo programma elettorale, di ben 11 punti.
Le domande sorgono spontanee: quelle di Di Pietro sono proposte a titolo personale? Veltroni le condivide? Quale programma sta sostenendo chi intende votare per Veltroni premier? Domande che si ritenevano superate per sempre con la decisione del Pd di correre da solo ma che inevitabilmente l'alleanza con Di Pietro fa tornare di attualità.
Ma sono soprattutto la legge sul conflitto di interessi, che l'ex pm torna adesso a brandire, e la sua proposta di «intervento radicale» sull'informazione a mettere in difficoltà Veltroni: «Una sola televisione pubblica, senza pubblicità; limitazione della proprietà per i concessionari privati ad una rete; eliminazione dei finanziamenti pubblici all'editoria». Al di là del merito, il rilancio della questione del conflitto di interessi e la proposta di ridurre Mediaset ad una sola rete, procedendo a quello che di fatto sarebbe un esproprio, appaiono intenti punitivi nei confronti del leader dell'opposizione Berlusconi, che rendono vani gli sforzi di Veltroni per condurre una campagna elettorale pacata, civile, rispettosa dell'avversario nella speranza in questo modo di poter conquistare i voti dell'elettorato più moderato e indipendente.
Ma anche voler ridurre la Rai ad una sola rete, senza pubblicità, rischia di far ribellare il partito-Rai, molto ben rappresentato all'interno del Pd e in generale tra gli elettori di centrosinistra. Per non parlare dell'"effetto confusione" provocato dal sovrapporsi, sui programmi, di più voci che in teoria dovrebbero confluire in una sola.
Insomma, con un colpo solo Di Pietro riesce a far perdere voti al Pd sia al centro che a sinistra. Un po' la riedizione degli autogol di Visco e Bertinotti nel 2006.
Le domande sorgono spontanee: quelle di Di Pietro sono proposte a titolo personale? Veltroni le condivide? Quale programma sta sostenendo chi intende votare per Veltroni premier? Domande che si ritenevano superate per sempre con la decisione del Pd di correre da solo ma che inevitabilmente l'alleanza con Di Pietro fa tornare di attualità.
Ma sono soprattutto la legge sul conflitto di interessi, che l'ex pm torna adesso a brandire, e la sua proposta di «intervento radicale» sull'informazione a mettere in difficoltà Veltroni: «Una sola televisione pubblica, senza pubblicità; limitazione della proprietà per i concessionari privati ad una rete; eliminazione dei finanziamenti pubblici all'editoria». Al di là del merito, il rilancio della questione del conflitto di interessi e la proposta di ridurre Mediaset ad una sola rete, procedendo a quello che di fatto sarebbe un esproprio, appaiono intenti punitivi nei confronti del leader dell'opposizione Berlusconi, che rendono vani gli sforzi di Veltroni per condurre una campagna elettorale pacata, civile, rispettosa dell'avversario nella speranza in questo modo di poter conquistare i voti dell'elettorato più moderato e indipendente.
Ma anche voler ridurre la Rai ad una sola rete, senza pubblicità, rischia di far ribellare il partito-Rai, molto ben rappresentato all'interno del Pd e in generale tra gli elettori di centrosinistra. Per non parlare dell'"effetto confusione" provocato dal sovrapporsi, sui programmi, di più voci che in teoria dovrebbero confluire in una sola.
Insomma, con un colpo solo Di Pietro riesce a far perdere voti al Pd sia al centro che a sinistra. Un po' la riedizione degli autogol di Visco e Bertinotti nel 2006.
Friday, June 22, 2007
Occhio al Tfr
In questi giorni, che ne siate consapevoli o no, effettuerete un'importante decisione riguardo il vostro futuro. Si tratta di comunicare la destinazione del vostro Tfr. In poche parole, le opzioni sono le seguenti: o si decide di conferirlo a un qualche fondo di previdenza complementare, di categoria o aperto, o di lasciarlo in azienda, che nelle aziende di almeno 50 dipendenti significa girarlo all'Inps, ma per il lavoratore non cambia nulla. Nel primo caso, la scelta è fatta e non si potrà più riportare il Tfr in azienda; nel secondo, invece, si potrà in qualsiasi momento cambiare idea e destinare il proprio stipendio differito a un qualche fondo pensione.
C'è però da fare attenzione alla clausola del silenzio-assenso. Cioè, se non esprimerete una preferenza entro il 30 giugno, il vostro Tfr verrà automaticamente conferito al fondo negoziale della categoria a cui appartenete, gestito da Sindacati e datori di lavoro. Per quanto mi riguarda, non mi fido di questa soluzione, né però, mi pare che ci sia ancora un mercato di fondi pensione aperti sufficientemente trasparente e concorrenziale, come per altro osservava il Governatore della Banca d'Italia Draghi.
In ogni caso, vi consiglio di diffidare delle campagne di "disinformazione" governativa e delle informazioni che giungono da varie fonti, quasi tutte, più o meno, in conflitto di interessi. E' legittimo che sia così. Non per questo si devono ignorare i "consigli", ma tenete in considerazione e soppesate i vari interessi in gioco di chi esprime un orientamento per una o l'altra soluzione.
Vi suggerisco di documentarvi sul sito tuapensione.it, che mette a disposizione una guida davvero molto ben fatta, che mette in guardia dalle trappole e smaschera i conflitti di interessi, molto spesso taciuti, dei vari attori coinvolti: datori di lavoro, sindacati, banche, assicurazioni, governo, giornali e tv.
C'è però da fare attenzione alla clausola del silenzio-assenso. Cioè, se non esprimerete una preferenza entro il 30 giugno, il vostro Tfr verrà automaticamente conferito al fondo negoziale della categoria a cui appartenete, gestito da Sindacati e datori di lavoro. Per quanto mi riguarda, non mi fido di questa soluzione, né però, mi pare che ci sia ancora un mercato di fondi pensione aperti sufficientemente trasparente e concorrenziale, come per altro osservava il Governatore della Banca d'Italia Draghi.
In ogni caso, vi consiglio di diffidare delle campagne di "disinformazione" governativa e delle informazioni che giungono da varie fonti, quasi tutte, più o meno, in conflitto di interessi. E' legittimo che sia così. Non per questo si devono ignorare i "consigli", ma tenete in considerazione e soppesate i vari interessi in gioco di chi esprime un orientamento per una o l'altra soluzione.
Vi suggerisco di documentarvi sul sito tuapensione.it, che mette a disposizione una guida davvero molto ben fatta, che mette in guardia dalle trappole e smaschera i conflitti di interessi, molto spesso taciuti, dei vari attori coinvolti: datori di lavoro, sindacati, banche, assicurazioni, governo, giornali e tv.
Tuesday, June 12, 2007
Perché i cittadini hanno il diritto di conoscere
E sono curioso di sapere se da queste parti si sono accorti che il loro amato Berlusconi ha già solidarizzato con D'Alema.
Accade, certo, che venga violato il segreto d'ufficio, ma non è questo il caso. Il giudice Forleo ha stabilito che quelle intercettazioni avessero rilevanza processuale, seppure non per i politici coinvolti (i quali, come si sa, non sono indagati), e quindi dovessero essere trascritte. Ieri ha deciso che le trascrizioni depositate non fossero più sottoposte a segreto processuale.
Non si capisce perché, invece, su quali basi normative, il Tribunale di Milano abbia vietato la riproduzione dei documenti, costringendo gli avvocati a prenderne solo visione, eventualmente segnandosi degli appunti, in poche ore. Mettere gli atti giudiziari non più segreti integralmente a disposizione delle parti e della stampa, quanto meno diminuirebbe il rischio che del materiale venga fatto un uso parziale e distorto.
E infatti, «abbiamo fatto anche più di quello che dovevamo», si difendono i presidenti della Corte d'Appello e del Tribunale di Milano, che ricordano come in modo del tutto legittimo sia stato permesso alle parti processuali di «prendere visione delle trascrizioni depositate, con le sole limitazioni ricavabili dalle norme», e fanno notare come già con la richiesta del Pm al Gip fosse «caduta ogni limitazione di conoscibilità del contenuto di tali intercettazioni per le parti processuali, tant'è che queste ultime erano già state messe in condizioni dalla Procura di ascoltare il supporto fonico di tali intercettazioni».
Eppure, Milano «sta diventando un circolo mediatico illegale», denuncia con bella faccia tosta il senatore Ds Guido Calvi, avvocato. Eppure, Calvi se ne stava zitto, quindici anni fa, quando la Procura di Milano faceva ben altro. In quegli anni, se fossero venuti in possesso di intercettazioni telefoniche nelle quali un indagato, conversando del merito cui si riferiva l'ipotesi di reato, fosse stato invitato da un suo "referente politico" a non parlare, a diffidare delle comunicazioni via telefono, e ad incontrarsi di persona (come nel caso della telefonata tra D'Alema e Consorte), i pm avrebbero fatto subito scattare la richiesta d'arresto, per evitare l'ulteriore inquinamento delle prove e recidere i legami tra l'indagato e il mondo politico, e fatto recapitare un avviso di garanzia a quel politico. Questo accadeva allora, quando Calvi e suoi amici Ds non solo tacevano, ma cavalcavano l'onda giustizialista e spalleggiavano la Procura di Milano. E se accadesse oggi, sì che ci sarebbe da protestare.
Oggi, invece, senza che alcun politico sia oggetto di persecuzioni giudiziarie, e nemmeno sotto inchiesta, la "casta" s'indigna semplicemente perché vengono divulgati stralci di conversazioni da cui il pubblico può venire a conoscenza di alcuni conflitti di interessi e comprenderne l'entità, eventualmente sanzionandola nelle urne.
Il ministro della Giustizia Mastella è prontamente tornato a chiedere l'immediata approvazione al Senato della sua legge-bavaglio contro la pubblicazione delle intercettazioni (si badi: parliamo di quelle non più sottoposte a segreto processuale), già varata dalla Camera, guarda caso quasi all'unanimità (ecco come hanno votato i deputati).
L'art. 68 della Costituzione, spesso chiamato in causa, garantisce i deputati da provvedimenti dell'autorità giudiziaria nei loro confronti, ma non dalla divulgazione di notizie che li riguardino, né tutela la loro privacy.
Il fatto che i politici intercettati non abbiano commesso un reato non rende il contenuto di quelle telefonate meno rilevante. E dal momento che le intercettazioni sono state autorizzate da un magistrato - non carpite in modo illegittimo da un media scandalistico o da avversari politici - e ritenute processualmente rilevanti (sebbene a carico di altri) da un giudice, il fatto che esse vedano coinvolti politici di primo piano, addirittura ministri, le rende notiziabili. Se poi l'intera inchiesta dovesse rivelarsi infondata, allora i malcapitati politici potrebbero accusare i magistrati di aver abusato del loro potere, sollevando un polverone giudiziario al solo scopo di poterli intercettare.
Ma come si fa, oggi, a negare il carattere di notizia e la rilevanza di conversazioni, legalmente intercettate, tra politici di primo piano e banchieri indagati, circa operazioni che riguardano l'assetto bancario italiano e i rapporti tra banche e partiti? La magistratura sta indagando su alcune scalate bancarie presunte illegali all'Antonveneta e alla Bnl e sui protagonisti di quelle operazioni. Come non ritenere di estremo interesse pubblico il fatto che, pur non infrangendo alcuna legge, i vertici dei Ds e di altri partiti "tifavano" e si adoperavano per favorire quelle scalate? I cittadini devono sapere, anche perché il Parlamento dovrà presto decidere se autorizzare o meno l'utilizzo di quelle intercettazioni nei processi. Come non rendersi conto che in questo caso il diritto del pubblico a essere informato e la funzione di controllo democratico attraverso la conoscenza prevalgono senz'altro sul diritto del politico alla privacy e alla riservatezza della sua attività?
Per quanto mi riguarda, né manette, né campagne moralizzatrici. Non pretendo che D'Alema e Fassino vengano indagati, né ritengo il loro comportamento "immorale". Anzi, sono persino orientato a concordare con Oscar Giannino, quando osserva che «per il pluralismo finanziario del Paese... il piano industriale banco-assicurativo Unipol-Bnl sarebbe stato di grande utilità». E, soprattutto, come i lettori di questo blog possono testimoniare, non mi sfuggono né «l'oliata e silenziosa macchina da guerra del potere prodiano, che da Telecom ad Alitalia non consente a nessuno di toccar palla senza che nessuno scriva una riga né intercetti», né altri conflitti di interessi.
Non pretendo nulla dai Ds, se non che la loro pretesa superiorità morale sia seppellita per sempre e sia acclarato che i conflitti di interessi esistono, riguardano potenzialmente tutti e l'unico modo per controllarli è che siano noti.
La questione è politica: sono convinto che poter gettare l'occhio sulle stanze del potere attraverso il buco della serratura che a volte la stampa dischiude, anche se spesso in modo non del tutto disinteressato, è la sola arma in possesso dei cittadini per valutare, soppesare in che modo e quanto i politici siano influenzati dai loro conflitti di interessi. Sono questi squarci sul funzionamento dell'oligarchia che si aprono periodicamente, e non leggi illiberali che prevedono ipocrite incompatibilità, gli unici strumenti di controllo. Che i conflitti di interessi di ciascuno siano trasparenti. Saranno gli elettori a sanzionare o meno i comportamenti dei politici se giudicheranno il loro operato troppo condizionato o condizionabile.
Non per il comportamento in sé di D'Alema e compagnia bella, per il loro conflitto di interessi, ma per aver negato con forza e insistentemente, all'epoca di quelle telefonate, di essersi interessati dell'Opa di Unipol alla Bnl, quindi per aver mentito di fronte all'opinione pubblica, in altri paesi non sospettabili di giustizialismo sarebbero state chieste a gran voce le loro dimissioni.
*****
Altri testi:
«Siete padroni della banca».
Fassino-Consorte, 18 luglio 2005, ore 13:26.
- Consorte: Ciao Piero, sono Gianni.
- Fassino: Allora? Siamo padroni della Banca?
- C.: E' chiusa, sì.
- F.: Siete padroni della banca, io non c'entro niente (ride).
- C.: Si, sì, è fatta.
- F.: E' fatta.
- C.: Abbiamo finito proprio cinque minuti fa, è stata una roba durissima però, insomma...
- F.: E alla fine cosa viene fuori? Fammi un po' il quadro, alla fine.
- C.: Alla fine viene fuori che noi abbiamo... eh... diciamo quattro banche... dunque, quattro cooperative...
- F.: Sì...
- C.: Che sono...
- F.: Che prendono?
- C.: Quattro cooperative il 4%...
- F.: L'una...
- C.: No, l'1% l'una...
- F.: L'1% per quattro, perfetto.
- C.: Per quattro... poi abbiamo...
- F.: Diciamo Adriatica, Liguria...
- C.: Piemonte...
- F.: Piemonte...
- C.: E Modena.
- F.: E Modena, perfetto. E poi?
- C.: E Modena... Poi ci sono, diciamo quattro banche italiane...
- F.: Sì.
- C.: Che l'un per l'altra hanno il 12%.
- F.: Come totale?
- C.: Come totale.
- F.: E quindi...
- C.: Quindi le banche più... più la...
- F.: Sì?
- C.: Le cooperative...
- F.: 1.2% e poi?
- C.: Poi abbiamo tre banche internazionali, che sono Nomura, Credit Suisse e Deutsche Bank...
- F.: Uhm...
- C.: Che hanno l'un per l'altra circa il 14 e 1/2%...
- F.: 14 e 1/2%...
- C.: Sì, poi abbiamo Hopa che ha il 4 e 99...
- F.: Sì
- C.: Poi abbiamo 2 imprenditori privati: Marcellino Gavio e Pascop, che hanno l'1 e 1/2...
- F.: Insieme?
- C.: Insieme. E poi ad oggi c'è Unipol che ha il 15...
- F.: Chi? Unipol?
- C.: Unipol. Quindi la prima cosa è che queste quote acquisite sono... sono state acquisite da... non da noi, ma dagli alleati...
- F.: Uhm
- C.: Dagli immobiliaristi che sono totalmente fuori...
- F.: Tu adesso...
- C.: Io?
- F.: Che operazione fai dopo questa?
- C.: Ho lanciato l'OPA!
- F.: Hai già lanciato l'OPA obbligatoria?
- C.: Esatto, questa mattina...
- F.: Sì
- C.: Allo stesso prezzo...
- F.: Sì...
- C.: Al quale sono state fatte le cessioni delle quote delle azioni degli immobiliaristi...
- F.: Due e sette?
- C.: Esatto. Per eliminare ogni tipo di speculazione che non... non sono trattate tutte allo stesso modo...
- F.: E certo, bene!
- C.: La legge ci avrebbe permesso di lanciare a 2 e 52...
- F.: E la BBVA cosa offre?
- C.: 2 e 52, ma in azioni. Noi offriamo soltanto cash!
- F.: Cazzo!
- C.: No? Quindi è una cosa totalmente diversa. E in realtà noi abbiamo già in mano il 51 però. Per cui, tutti questi soldi...
- F.: Perché tu.., perché la cess... perché, va beh, noi abbiamo 15 più 4 delle COOP, fa il 19 a noi...
- C.: Sì, sì...
- F.: Certo, certo...
- C.: Quelle aziende...
- F.: Uhm...
- C.: Ci hanno rilasciato a noi un diritto...
- F.: Sì
- C.: Ad acquisire le loro azioni...
- F.: Sì.
- C.: A nostra semplice richiesta, se dall'OPA non dovessero arrivare azioni
- F.: Ho capito.
- C.: Quindi noi, come Unipol, prendiamo comunque il 51...
- F.: Ho capito...
- C.: Se invece dall'OPA ci arrivano le azioni, loro quelle se le tengono...
- F.: E cioè se tu arrivi al 51 in altro modo loro si tengono quelle.
- C.: Esatto. Quindi è un'operazione che nessuno aveva né immaginato né pensato.
- F.: Bene, bene, bene.
- C.: E abbiamo smontato l'alleanza con gli immobiliaristi perché non c'è. Non siamo noi che abbiamo comprato gli immobiliaristi. Abbiamo smontato i parvenu che dicevano operazioni nazionalistiche, perché abbiamo tre banche internazionali!
- F.: Certo!
- C.: Poi abbiamo alleati delle aziende, quindi soci stabili e noi abbiamo il 51...
- F.: Eh...
- C.: Poi... abbiamo smontato il discorso...
- F.: Possibili ricorsi in sede giudiziaria o...?
- C.: Ad oggi ne vediamo neanche uno, ma se li fanno...
- F.: Cioè il fatto che contestualmente si abbiano tutte queste cessioni, loro cosa lo con...
- C.: Eh. E abbiamo proprio costruito così, questo è il concreto...
- F.: Uhm...
- C.: Di cui... che le azioni le azioni le avevano già in mano, no?
- F.: Uhm...
- C.: Per cui lanci l'OPA, ma guarda caso allo stesso prezzo cui è stato trattato queste azioni, quindi non hai penalizzato proprio nessuno. E la nostra offerta è decisamente migliore di quella degli spagnoli.
- F.: Bene, bene.
- C.: Invece quello che avverrà è che io li denuncio. Tutti. Uno per uno.
- F.: Prima di denunciare, aspetta. Prima portiamo a casa tutto.
- C.: E qui. .. l'operazione è finita, eh!
- F.: Perché loro sono... adesso si scontreranno ancora di più. Ieri hai visto il "Corriere", no? No, tu non l'hai visto, ieri hai lavorato tutto il giorno. Ieri il "Sole" ha fatto un'intera pagina contro di me, eh...
- C:. Eh, ma adesso...
- F.: Intera pagina!
- C.: Ma perché, là, Piero, questi imbecilli guardano a questa operazione in chiave esclusivamente politica...
- F.: Ma sì, ma son dei deficienti...
- C.: Esclusivamente politica. Questi dicono "cazzo! Adesso i Ds oltre ad avere il mondo cooperativo, oltre ad avere Unipol, oltre ad avere il Monte dei Paschi - che non è così - hanno anche Bnl"...
- F.: E va bene...
- C.: Questo è il ragionamento demenziale che fanno, è questo qui...
- F.: E sì, va bene. Intanto noi lavoriamo. Bene!
- C.: Però noi intanto andiamo avanti. Noi andiamo avanti.
- F.: Bene... demenziale (ride)...
- C.: No, direi proprio di no. Ma noi sosterremo che è demenziale (ride)...
- F.: Ma voi avete fatto un'operazione di mercato, quello che ho sempre detto io...
- C.: Industriale. Un'operazione industriale e di mercato.
- F.: Industriale e di mercato... esatto, esatto!
- C.: La verità. Oh, e poi è indiscutibile...
- F.: bene, molto bene.
- C.: Quindi... niente, Piero, andiamo avanti, ma...
- F.: Congratulazioni!
- C.: Fino a che abbiamo. .. siamo raggiunti... Ti ringrazio!
- F.: E, bravo, bravo...
- C.: Anche per l'aiuto che ci hai dato. Siamo arrivati ad un punto importante secondo me...
- F.: Bene, bene, bene...
- C.: Va bene?
- F.: Ottimo, vediamo.
- C.: Ciao Piero. Grazie, ci sentiamo presto.
- F.: Adesso dovete occuparvi bene... no, un consiglio.
- C.: Sì.
- F.: Occupatevi bene di cosa comunicate in positivo, il piano industriale...
- C.: Sì. Ma adesso chiamo Barabino.
- F.: Perché il problema adesso è di costruire che noi abbiamo... che voi avete un piano industriale...
- C.: No, ma l'abbiamo veramente!
- F.: E, lo so... non ne parla mai...
- C.: faremo, faremo adesso... faremo anche una conferenza stampa...
- F.: Perché sembra... fino adesso loro stanno accarezzando l'idea che... che era soltanto un problema di accaparrarsi la banca, poi, però non... non sanno cosa fare. .. non è così, capito? Eh?
- C.: Guarda, noi invece sosterremo questa tesi...
- F.: Eh...
- C.: Che loro la banca la stavano svendendo...
- F.: Esatto!
- C.: E che...
- F.: No, e anche quello... che l'hanno gestita coi piedi...
- C.: Quello, quello...
- F.: Bnl è stata gestita coi piedi...
- C.: Sì, però quello non lo voglio dire oggi...
- F.: Eh?
- C.: Questo lo dirò fra 4 o 5 mesi, quando avrò visto dentro...
- F.: Eh...
- C.: Io adesso dico che era un'operazione...
- F.: Uhm...
- C.: Che stava svendendo, visto i valori proposti da BBVA...
- F.: Uhm...
- C.: La banca agli spagnoli, svuotandola di contenuti...
- F.: Uhm...
- C.: E che, come tutte le banche, avrebbero portato via tutte le attività qualificate a Madrid...
- F.: Eh...
- C.: E avrebbero ridotto Bnl ad una rete. Noi, invece, la banca rimarrà a Roma, gli porteremo milioni di clienti...
- F.: Uhm
- C.: Forse un milione e due, contemporaneamente rilanceremo tutte le attività, gli porteremo Unipol Banca e faremo una delle prime 4 o 5 banche italiane. E' tutto dimostrato. Adesso vedremo.
- F.: Bene.
- C.: E dopo ci...
- F.: Bene, auguri...
- C.: Adesso si poteva parlare. Grazie, Grazie!
- F.: bene, bene. Vediamoci presto.
- C.: Ciao, sì presto...
- F.: va bene.
- C.: Richiamo per fissare la settimana. Ciao.
- F.: Ciao.
- C.: Ciao.
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