Il governo varerà entro la fine della settimana il pacchetto anti-crisi, ma alcune misure sono già state anticipate negli incontri con le parti sociali e gli industriali. Aspettiamo, quindi, per un giudizio definitivo, ma una prima valutazione non può che essere nel complesso negativa.
Positive la detassazione dei premi di produttività, la possibilità per le imprese di detrarre punti Irap dall'Ires, l'introduzione dell'Iva di cassa e la liberalizzazione dei saldi. Positivi anche lo sblocco dei pagamenti ai privati da parte delle pubbliche amministrazioni e lo stanziamento di 16,6 miliardi di euro per infrastrutture, i cui effetti però non saranno a breve termine.
La «social card» e il bonus fiscale per le famiglie con figli a carico e i pensionati sono diretti ai poverissimi (e presumibilmente a qualche evasore fiscale che dichiara un reddito al limite della sussistenza) e avranno quindi un impatto irrilevante sulla domanda.
La conversione per legge dei mutui a tasso variabile in mutui a tasso fisso, oltre a fare carta straccia di contratti liberamente sottoscritti tra le parti, rischia di essere tardiva, visto che il costo del denaro sta diminuendo, ed è una vera e propria beffa nei confronti di chi dall'inizio si è sobbarcato un mutuo a tasso fisso. Chi restituisce a costoro il denaro speso in più rispetto a quanti oggi passano comodamente a tasso fisso dopo aver usufruito del tasso variabile in tempi migliori?
In generale, se il pacchetto anti-crisi del governo si ridurrà a questo, si tratterà dell'ennesima non scelta tra la disciplina di bilancio e il sostegno alla domanda. Purtroppo, come tutti ma proprio tutti i governi, anche questo sta commettendo l'errore di disperdere le scarse risorse disponibili in una serie di misure che avranno impatto nullo o scarsissimo sulla domanda, senza alcun grande progetto o riforma su cui investire, e per di più mettendo a rischio l'obiettivo della riduzione del debito pubblico sotto il 100% del Pil.
I nostri governi - di qualsiasi colore politico - non sanno far altro che varare pacchetti-fotocopia che danno l'elemosina ai poverissimi (ammesso che la maggior parte non siano evasori o pensionati che lavorano in nero), e che ignorano la classe media. Rischia di essere questo il primo grande errore del governo, che non tarderà a determinare il primo serio calo dei consensi. Berlusconi chiede ai cittadini-consumatori di avere fiducia, ma è il governo per primo a non avere fiducia in loro. Se avesse fiducia nei consumi, infatti, saprebbe che riducendo le tasse al ceto medio (e non solo a quei pochi che dichiarano l'inverosimile reddito di 6 mila euro l'anno) sosterrebbe la crescita aumentando nel medio-lungo periodo anche il gettito fiscale.
Evitare aiuti e sussidi, scrive oggi Piero Ostellino, «alla produzione di beni e di servizi che non rispondono più alla domanda, perché il mercato ne è saturo, o perché i consumi si sono temporaneamente orientati altrove». Per esempio, il mercato delle auto potrebbe essere saturo, perché dopo dieci anni di crescita è probabile che il parco auto sia stato quasi interamente rinnovato e in un periodo di crisi la gente ci pensa due volte prima di cambiare un'auto di soli tre o quattro anni. Più utile sarebbe invece tagliare le tasse, perché la riduzione delle tasse è un intervento non distorsivo del mercato, ma anzi è sempre «market oriented, in quanto i cittadini-consumatori indirizzerebbero la loro maggiore capacità di spesa, soprattutto verso prodotti di largo consumo e secondo le proprie esigenze».
UPDATE 18:48: Nell'audizione di oggi dinanzi alla Commissione Lavoro della Camera, il dott. Ignazio Visco, vice direttore generale della Banca d'Italia, ha auspicato «una riduzione del prelievo fiscale sul lavoro», misura che «evita distorsioni e incentiva la crescita» e che a suo avviso «andrebbe applicata alla platea più vasta possibile» di lavoratori. Invece, «misure selettive che stimolino la contrattazione integrativa, in deroga ai principi di neutralità del prelievo, sarebbero giustificate solo se contribuissero a innalzare la produttività». Perché «il rischio - ha avvertito - è che parte significativa delle agevolazioni vada a beneficio di imprese che avrebbero comunque registrato guadagni di produttività». I provvedimenti cui sta pensando il governo, di sgravio dei premi aziendali, «possono avere effetti redistributivi regressivi, concentrandosi tra i dipendenti delle grandi imprese dove le retribuzioni sono già più elevate, e possono determinare comportamenti opportunistici».
Inoltre, secondo Visco (da non confondere con Vincenzo), «per il buon funzionamento del mercato del lavoro, appare essenziale perseguire una riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, volta soprattutto ad affermare l'universalità della copertura assicurativa, che ora varia tra settori e tipi di occupazione ed esclude ampie fasce di lavoratori». Per «attutire i costi sociali del processo di ristrutturazione delle imprese e riallocazione del lavoro», anzi migliorandone gli esiti in termini di efficienza. «Come mostra anche l'esperienza di molti Paesi europei - ha sottolineato - una riforma in questa direzione è il necessario complemento di un mercato del lavoro flessibile; contribuisce a svilupparne appieno i benefici, favorendo la ricollocazione dei lavoratori verso attività, settori e imprese maggiormente produttivi».
1 comment:
Pienamente d'accordo con la tua valutazione. E ovviamente con Ostellino.
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