Al contrario di quanto si appresta a fare il governo italiano, e probabilmente farà anche la maggior parte dei governi della Vecchia Europa, il presidente neo-eletto Obama annuncia una politica anti-crisi fondata su due pilastri: investimenti in infrastrutture, come strade, ponti, reti, scuole, energia pulita; riduzione delle tasse per tutta la classe media americana (attenzione: la classe media per Obama non inizia dai 35 mila euro in giù, come per i politici italiani di destra e di sinistra, ma dai 250 mila dollari in giù).
Inoltre, pare che per il momento Obama non sia intenzionato a revocare i tagli fiscali voluti da Bush per i più ricchi, ma li lascerebbe arrivare alla scadenza prevista dalla legge, cioè fine del 2010. Insomma, la ricetta con cui l'amministrazione Obama vuole far uscire gli Stati Uniti dalla crisi è più spesa pubblica e meno tasse per tutti. Dunque, più deficit, ma con giudizio, visto che «la maggiore spesa dovrà essere destinata alle aree dove potrà avere l'impatto maggiore» (energia rinnovabile e infrastrutture, biotecnologie e banda larga), come ha di recente scritto Lawrence Summers, prossimo capo del National Economic Council, sul Financial Times. Grandi progetti e ampi tagli fiscali, non briciole.
E d'altra parte, l'orientamento centrista e moderato, si direbbe market-friendly, di Obama è confermato dalla squadra di politica economica che sta assemblando. Tutti uomini esperti e pragmatici, già al governo con Clinton. Il Wall Street Journal accoglie come una «buona notizia» l'arrivo di Larry Summers alla guida del team economico di Obama. Lo chiama il «nuovo deregolatore» alla Casa Bianca. E' di quei democratici cui piace «mungere la mucca», ma anche farla crescere.
Crede che le aliquote fiscali più alte possano crescere anche di molto prima di deprimere l'economia e provocare una riduzione delle entrate, e come Keynes che la spesa pubblica favorisca la crescita. Tuttavia, ammette il quotidiano, sulla regolazione finanziaria in particolare Summers ha svolto un «ruolo costruttivo», favorendo l'approvazione della deregulation Gramm-Leach-Bliley del 1999, e ha compreso cosa è andato storto in Fannie Mae e Freddie Mac.
Anche il Washington Post riconosce che il team economico che Obama sta mettendo su è market-oriented. Un team «molto esperto» di massimi consiglieri economici, «i cui membri chiave credono fermamente che una limitata spesa pubblica, insieme al libero mercato, possa creare una prosperità duratura».
Le prime scelte di Obama preoccupano invece i liberal del Partito democratico e non sembrano essere piaciute al New York Times, che parte subito lanciando accuse contro Summers e il prossimo ministro del Tesoro Geithner. Dovranno dimostrare non il loro induscusso talento, ma «quanto e cosa sono riusciti ad imparare dai loro stessi errori», si legge in un editoriale in cui si ricorda come il prossimo ministro del Tesoro e il prossimo consigliere economico della Casa Bianca abbiano, in modi e tempi diversi, avuto delle responsabilità nella crisi finanziaria.
Da presidente della Fed di New York Geithner «ha contribuito alla risposta contraddittoria, e a volte incomprensibile, dell'amministrazione Bush all'attuale crisi finanziaria, compreso il salvataggio multimiliardario di Citigroup». Il peccato originale che si rimprovera a Summers è ancora più grave, perché da segretario al Tesoro per un anno e mezzo durante la seconda presidenza Clinton, «sostenne la legge che deregolò il mercato dei derivati, gli strumenti finanziari ora diventati titoli tossici», nella «falsa convinzione che il mercato si sarebbe regolato da sé». «Non chiediamo loro un mea culpa [?], ma se non riconosceranno gli errori del passato c'è poca speranza che possano assicurare la valutazione lucida e la capacità di guida necessarie a tirare fuori il paese da questo disperato disastro», conclude il NYT.
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